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L'aggressione degli usa al Nicaragua

Inconseguenza dei sandinisti e prospettiva di classe

Indice


Nella prima conferenza stampa del suo secondo mandato presidenziale, Reagan ha confermato di considerare assolutamente naturale che gli Usa facciano il possibile per rovesciare il governo del Nicaragua.

Per questo obiettivo, il più grande stato imperialista ricorre da oltre cinque anni a tutti i mezzi di pressione diretta e indiretta sul governo sandinista. Ricatto economico (chiusura dei rubinetti del credito, embargo dell'importazione di prodotti agricoli etc.), pressione militare (finanziamento e sostegno logistico alle bande di "contras", interventi della Cia, minamento dei porti, etc.) e pressione politica sono aspetti diversi di una strategia che tende a sanare una profonda ferita apertasi nel corpo del dominio imperialista Usa in una zona particolarmente importante sia dal punto di vista strategico-militare che da quello politico ed economico.

Perché gli Usa ricorrono ad una dura politica d'attacco, giunta fino alla minaccia palese di invadere questo paese, grande poco più di un terzo dell'Italia?

In teoria una convivenza nell'area tra Usa e un piccolo regime "autonomo" da essi non sarebbe del tutto impossibile. In più gli Usa potrebbero comunque far leva sulla loro forza economica per predisporre un piano di logoramento, a lungo termine, di buona parte delle aspirazioni all'indipendenza del potere sandinista, il quale, d'altra parte, non si è mai sognato, né prima né dopo l'insurrezione del 19uglio 1979, di dichiarare guerra aperta all'imperialismo.

Colpa, quindi, della volontà reaganiana di mostrare a tutti i costi i muscoli? In realtà questa politica è il risultato di almeno tre esigenze della borghesia nordamericana:

1. il corso della crisi fa emergere sempre più l'importanza della forza imperialista degli stati. La "ripresa" economica americana si è basata essenzialmente sui capitali esteri attirati dalla "corsa del dollaro", ma anche sull’aumento dei sovrapprofitti ottenuto con il conseguente aumento, in valore, dei crediti ai paesi del "Terzo Mondo". Consentire ad un singolo paese di sottrarsi alla sottomissione imperialista corrisponderebbe, nelle condizioni della crisi, ad un harakiri, in quanto ciò minaccerebbe di innescare un processo a catena con il coinvolgimento dell'intera regione.

2. l'apertura e il consolidamento di un processo antimperialista può fungere, infatti, da detonatore di una esplosione sociale e politica in tutta l'area centroamericana, ma esso può produrre effetti a catena sia a nord che a sud verso paesi in cui la presenza maggiore di proletariato e le condizioni generali del capitalismo darebbero una ancora più profonda radicalità al movimento, che minaccerebbe di estendersi fino agli Usa, usando come canale privilegiato milioni di "chicanos", che costituiscono già ora un problema aperto per la borghesia nord-americana.

3. da ultimo anche l'attuale stato dei rapporti tra le grandi potenze imperialiste, che le vede attivamente impegnate nella preparazione delle forze e degli schieramenti in funzione del nuovo conflitto mondiale, contribuisce a consigliare agli Usa una politica del pugno di ferro invece che una commistione di tolleranza e ricatto, che in una prima fase hanno tentato.

Il giardino di casa ribolle: la rivoluzione del ’79

Gli Usa considerano il centro-America come il proprio cortile di casa in modo ufficiale dal 1823 con la dottrina di Monroe.

Inoltre un secolo di dominio incontrastato hanno trasformato l'intera area in una riserva di sovrapprofitti, soprattutto nel settore agricolo. Per questo hanno favorito la formazione in loco di una classe di latifondisti molto ristretta (ad esempio le famose 14 famiglie che hanno, nel Salvador, la proprietà di gran parte della terra); mantenuto al minimo lo sviluppo dell'industria; costituito e foraggiato dittature militari più o meno feroci e mascherate, quando non sono ricorsi a periodi di occupazione militare diretta (in Nicaragua dal 1912 al 1933).

La miscela di contraddizioni è quanto mai lesiva. Le masse contadine e bracciantili sono tenute nella più nera miseria da una struttura della proprietà della terra basata sul latifondo e dipendente dalle multinazionali (United Brands Standard Fruit, etc.) che dominano il mercato agricolo.

Imperialismo Usa e latifondo sono i nemici reali di ogni miglioramento delle masse lavoratrici delle campagne; la riforma agraria è l'obiettivo storico, la somma di speranze e necessità che percorre oltre un secolo di loro lotte.

A questa contraddizione centrale si è aggiunta, col tempo e lentamente, quella della moderna lotta di classe, anche sotto l'aspetto di masse di contadini espulse dall'agricoltura e costrette a vivere in condizioni di miseria ai margini delle città, sopravvivendo col piccolo commercio o con lavori precari e sottopagati nell'industria, soprattutto edile.

Non è importante tanto il dato statistico (Nicaragua '80: 103.000 occupati tra industria e costruzioni, 15% degli occupati totali), quanto quello politico. Per restare al Nicaragua basterà ricordare le grandi lotte vittoriose del '72 contro l'aumento dell'orario da 48 a 60 ore settimanali e quelle che, nel '77-'78, diedero il "la" allo scatenarsi di una serie di massicce rivolte nelle città più grandi.

L'intrecciarsi di queste contraddizioni, acuite dall'andamento della crisi che ha aumentato la rapina imperialista ai danni dei paesi dipendenti, e quindi ai danni degli operai e delle masse lavoratrici, ha prodotto una situazione di conflittualità permanente che si esprime ai più vari livelli, compreso quello della guerriglia, presente in tutti i paesi del Centro-America.

La rivoluzione del Nicaragua si fonda sullo slancio delle masse negli anni tra il '77 e il '79. Contadini, operai, masse semi-proletarie delle città scendono simultaneamente in lotta contro i loro tre nemici: imperialismo, latifondo, borghesia locale. All'immediato il loro nemico principale è il dittatore Somoza. Costui, a partire dal terremoto del '72, si è alienato buona parte dei consensi della stessa borghesia, escludendola sistematicamente dalla gestione dei soccorsi internazionali e dei finanziamenti per la ricostruzione. Infatti la borghesia scalpita contro di lui e giunge persino ad appoggiare e finanziare degli scioperi anti-Somoza nel ’78, salvo chiederne la conclusione non appena questi assumono anche un carattere rivendicativo anti-borghese.

La direzione di questo composito movimento è presa dal Fronte sandinista di liberazione nazionale (Fsln), sorto nel '61-'62 e che entra solo in questi anni in rapporto con la lotta delle masse, praticando a volte una tattica discutibilissima: prendere delle città e tenerle fino all'avvicinarsi della Guardia nazionale somozista; il che, se consentiva di salvare i militanti guerriglieri esponeva però le masse a violente rappresaglie, con l'effetto di demoralizzare l'attività in prima persona e delegarla ancora di più all'organizzazione armata esterna.

L'Fsln aveva chiarito già prima dell'insurrezione del '79 il suo programma: sovranità nazionale, democrazia popolare, trasformazioni economiche. Il tutto, abbastanza generico, si pone come mediazione tra esigenze di classi contrapposte per realizzarne l'unificazione dapprima contro Somoza e l'imperialismo, in un secondo tempo solo contro Somoza. Non a caso l'insurrezione è preceduta da una frenetica trattativa a tre (Fsln, borghesia, Usa) per sostituire il clan Somoza nel modo meno traumatico, cioè con il minor intervento attivo delle masse. È la non disponibilità del dittatore che eleva il livello dello scontro.

Dopo la partenza di Somoza, l'Fsln continua la sua politica di "unità nazionale", due ministri del primo governo sono, infatti, del Cosep (Consiglio superiore dell'impresa privata, una sorta di Confindustria), ma lancia anche un chiaro messaggio di "convivenza pacifica" al governo Usa. Il 24 settembre '79 i dirigenti sandinista, Daniel Ortega in testa, visitano Carter alla Casa Bianca, promettono moderazione, ottengono 75 milioni di dollari.

La borghesia centro-americana

Si pone così drammaticamente in Nicaragua un problema storico di grande importanza per il proletariato: può la borghesia del Centro America svolgere oggi un ruolo antimperialista?

I sandinisti sperano di sì. Alla radicalità delle masse essi rispondono con il tentativo di allearsi stabilmente con la borghesia, di governarne con essa o (quando questa è costretta dall'imperialismo e dalla pressione delle masse ad uscire dal governo) per conto di essa. Ma ricercare l'alleanza con la borghesia vuol dire inevitabilmente seguirla anche lungo la linea di compromissione con l'imperialismo.

La borghesia nicaraguegna e centroamericana non ha alcuna prospettiva di sviluppo autonomo al di fuori o addirittura contro l'imperialismo americano.

Essa è totalmente dipendente da questo; si è sviluppata sotto il suo dominio e, anche se l'imperialismo l'ha ridotta in dimensioni ristrette, le ha però sempre garantito la realizzazione del profitto, per quanto decurtato, tenendo in piedi il mercato locale, consentendole l’accesso a quello mondiale e mantenendo le condizioni generali, sociali e politiche, per lo sfruttamento della forza-lavoro. Da sola non potrebbe né garantirsi sbocchi autonomi sul mercato, né resistere alla pressione delle masse.

Le varianti possibili al riguardo sono due: o passare a un altro campo imperialista (Russia o Europa), o tendere alla unificazione del mercato centro-americano.

La prima è comunque molto problematica perché comporta ugualmente una acuta conflittualità permanente con gli Usa (non siamo più nella fase economica di sviluppo e politica di "distensione" in cui Cuba poté compiere un tale tragitto all’inizio degli anni ‘60), anche se potrebbe consentire il vantaggio di tenere meglio sul "fronte interno".

La seconda è oggi assolutamente improponibile per la borghesia: porre oggi l’obiettivo (che fu, per un certo tempo, dello stesso Sandino) di unificare il centro-America in funzione anti-Usa vuol dire evocare nella lotta forze che potrebbero rivelarsi, per essa, incontenibili.

La sua debolezza è, insomma, la causa della sua rabbia antimperialista, ma è al tempo stesso la fenomenale catena che la lega indissolubilmente all’imperialismo "oppressore".

Nonostante le ripetute prove di "pavidità" (verso l’imperialismo) della borghesia nicaraguegna, nonostante la sua partecipazione a tutte le attività anti-regime legali e armate, i sandinisti non hanno mai smesso di corteggiarla.

La riforma agraria ha infatti espropriato solo le terre di Somoza, mentre le imprese private non sono state espropriate, né nazionalizzate, anzi lo stato cerca di garantire in tutti i modi l’iniziativa privata, sotto forma di proprietà societaria, in individuale e cooperativa e mena gran vanto del regime di economia mista che vige nel paese presentandolo come un nuovo e non transitorio modello di organizzazione della produzione sociale. Perfino alle imprese straniere il governo sandinista dà tutte le garanzie, anzi elimina quelle tasse che Somoza imponeva loro. Solo la Standard Fruit è stata nazionalizzata, ma dopo aver lasciato, di sua scelta, le attività in Nicaragua. Il governo del Fsln assume l’impegno di pagare tutti i debiti contratti da Somoza, perfino quelli contratti per foraggiare l’apparato militare di sterminio delle masse.

Xabier Gorostiaga, il più noto economista sandinista, così illustra i compiti economici della rivoluzione: colpire quel settore della borghesia che spreca "con un consumo non necessario e superfluo" le risorse della nazione e le impedisce di "aumentare le capacità come produttore di ricchezze". Eliminare il clan Somoza e i suoi sprechi, aumentare la produttività del lavoro per modificare "le caratteristiche strutturali... che non permettono di competere sul mercato internazionale neanche con i grandi paesi latino-americani", partire "dalle necessità popolari di base come fondamento per il nuovo modello di accumulazione" ("Geopolitica de la crisis regional", gennaio 1984).

Per rilanciare il meccanismo di accumulazione, per convincere la borghesia ad aderire al progetto di autonomia nazionale che in sostanza vuole soltanto diminuire la quota di sovrapprofitti imperialisti e utilizzare ciò che riesce a "recuperare" per lo sviluppo interno, c’è però bisogno di pace sociale, c’è necessità di raffreddare la spinta rivoluzionaria delle masse, dimostrare agli Usa e a tutto il mondo (borghese) che la rivoluzione è stata necessaria solo per scacciare Somoza, ma ora essa stessa ripiega verso forme affatto radicali, si istituzionalizza, si blinda progressivamente verso il proletariato, i contadini e le masse diseredate. Il nuovo potere "popolare" commina, infatti, da uno a tre anni a chi "aiuti ad iniziare scioperi, occupazioni di luoghi di lavoro e invasioni di terre in margine al processo di riforma agraria" (El Pais, 11.9.81). Alla aggressione americana i sandinisti rispondono con lo slogan "tutte le armi al popolo", ma le armi nei fatti non vengono distribuite alle masse lavoratrici, e a questa prospettiva radicale viene preferita la costituzione di un esercito di leva, con una ferma di due anni, cui uniscono tutt’al più brigate di supporto costituite da studenti. È vero che, in caso di invasione Usa, è prevista una sorta di "mobilitazione generale", ma tale mobilitazione non prevede l’armamento generale delle masse lavoratrici. Infine, ed è questo l’aspetto più significativo, i sandinisti cercano di comprimere il processo rivoluzionario nell'ambito dei propri confini nazionali, rinunciando all'arma più potente contro gli Usa: l'insorgenza del proletariato, dei contadini, delle masse di tutta la regione.

Le prospettive

La rivoluzione sandinista è stata salutata da molti come una strada finalmente nuova ed originale per il socialismo. La "coniugazione" tra democrazia e socialismo sarebbe la sua qualità preminente, capace di valere come embrione di una formula estensibile a tutto il mondo.

Tutta la politica sandinista dimostra l’esatto contrario, in termini, bisogna riconoscerlo a loro merito, perfettamente chiari: è forse la prima volta che una rivoluzione antimperialista diretta dalla piccola borghesia non si ammanta di una propaganda "socialista". Che poi timidi approcci a "trasformazioni economiche" che prevedono solo un maggiore "partecipazione" dei lavoratori siano scambiate per socialismo, dimostra solo come il centrismo si sia ormai messo in un vicolo cieco alla fine del quale c’è capitalismo puro.

Rimane l’altro dato, il carattere antimperialista della rivoluzione nicaraguegna, che esiste per certi versi, al di là delle stesse intenzioni della direzione sandinista e della sua espressa volontà di stringere un accordo con l’imperialismo Usa direttamente o attraverso la mediazione dei paesi di Contadora (Venezuela, Messico, Panama, Colombia).

Nessuno può richiedere ad un movimento a direzione piccolo-borghese di attuare il socialismo o comunque di avviare un processo che tenda ad esso; si può misurare, pero, la coerenza di questo movimento almeno sul piano della lotta all’imperialismo e, nel momento attuale, sul piano della difesa dall’imperialismo Usa.

In quale modo può difendersi il processo, per quanto contraddittorio, avviatosi in Nicaragua, di autonomia dall’imperialismo Usa? L’unico modo è quello di fondarsi sulla lotta politica e militare delle masse lavoratrici in due direzioni:

a. condurre fino in fondo il processo di rivoluzionamento interno. Nell’immediato il compito non può essere quello di instaurare un, inattuabile nelle condizioni date, modo socialista di produzione e di scambio, ma quello di affrontare radicalmente il problema della riforma agraria, dando tutte le terre ai contadini, nelle forme che la situazione rende possibili e utili ad ottenere una loro adesione nella difesa della rivoluzione, nonché quello di favorire in tutti i modi lo sviluppo dell'industria, il controllo operaio su di essa e la eliminazione di ogni forma di sfruttamento imperialista. Sul piano politico le masse lavoratrici debbono, quanto meno, esprimere un proprio potere "contrattuale" organizzato verso lo stato attuale (che non è il loro), in modo da renderne impossibile la definitiva fissazione sulle attuali basi e da preparare così contadine in armi le migliori condizioni per la sua sostituzione con un potere fondato effettivamente sulle masse proletarie e contadine in armi;

b. ogni conquista interna e la stessa tenuta del potere non potrà comunque essere mai stabile se non si collega ad una rivolta generale delle masse proletarie, contadine e semi-proletarie del centro-America e se non cerca il suo alleato nel proletariato internazionale.

Il sandinismo persegue, invece, una politica che va nel senso opposto. Esso invita le masse alla moderazione, al compromesso continuo con la borghesia, a riconoscersi nella delega "democratica", ad avere fiducia in alleati come l’Internazionale socialdemocratica, le borghesie europee o i paesi del "socialismo reale". In questo modo le disarma politicamente, dopo averle già disarmate militarmente, e non può che continuare nel cedimento continuo, nella ricerca di accordi di pacificazione dell’area tutelati da governi il cui unico scopo è proprio quello di evitare, con tutti i mezzi, che il fermento delle masse si estenda all’interno dei propri paesi.

Pronostico di sconfitta? Niente affatto. Semplicemente la constatazione che una direzione piccolo-borghese della rivoluzione antimperialista è necessariamente inconseguente, e quindi non può che arrotolarsi su se stessa, tornare al punto di partenza ovvero anche soccombere, armi alla mano, alla reazione imperialista, ma dopo essersi scavata la fossa da sola, indebolendo il movimento di massa.

Ancora una volta i fatti tornano a dimostrare come il proletariato sia l’unica classe che può svolgere coerentemente i compiti di natura antimperialista, che ha tutto da guadagnare nel realizzare la riforma agraria nel modo più vantaggioso per le masse lavoratrici delle campagne, che deve prendere, per questo, la testa della lotta di resistenza all’imperialismo, collocandola nell’ambito di un processo di rivoluzione ininterrotta, che trasbordi gli angusti confini economici immediati della costruzione di un’economia in dipendente.

La situazione in centro-America è aperta. La crisi mondiale contribuisce a ricreare di contino le condizioni per cui una vittoria decisiva di lungo periodo dell’imperialismo è difficilissima. Ma crea anche le condizioni per l’emergere del proletariato come forza autonoma di classe.

Per i comunisti diviene, quindi, obbligatorio contribuire in tutti i modi alla organizzazione e alla politica autonoma del proletariato centroamericano e nello stesso tempo unire alla denuncia contro l’aggressione imperialista l’impegno a sviluppare la solidarietà del proletariato mondiale con le masse nicaraguegne.


ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


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