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L’assemblea nazionale dei cassaintegrati

L'assemblea nazionale dei cassaintegrati tenutasi l'11/12/85 a Cinisello Balsamo e preceduta da assemblee cittadine in varie città come Milano, Torino, Padova, Pisa ecc., non si può dire che sia stata un successo. La partecipazione massima ai lavori è stata di circa 500 persone, di cui una buona parte erano anziani lavoratori attratti dalla possibile partecipazione di Pertini o del Cardinale Martini di Milano. La colpa non si può certamente far ricadere sul sindacato, perché, come hanno giustamente rilevato alcuni delegati, "se non si fa un nostro lavoro tra gli operai, è impossibile sperare che il sindacato ci regali la platea". Infatti, tra le forze presenti, soprattutto in DP, vi e l'illusione che sia possibile attivizzare il sindacato nella difesa dei cassaintegrati e dei lavoratori, attuando un'opera di "pressione" sulle sue strutture.

Con questa impostazione si lavora a senso unico verso gli operatori sindacali e le radio "popolari", senza invece fare un lavoro in prima persona verso le fabbriche e, addirittura, puntando sul personaggio di "prestigio", tipo Pertini, che sappia far presa sui mass-media

. Questa esperienza si inscrive, comunque, in quel difficile processo che i lavoratori continuamente compiono per darsi un’organizzazione all'altezza del momento. La difficile situazione in fabbrica e lo stesso boicottaggio delle strutture sindacali certamente non favoriscono, per ora, iniziative generali. La massa degli operai, che in gran parte fa riferimento ai riformisti, si trova disorientata e in essa non si fa ancora luce una minoranza combattiva che spinga verso una radicalizzazione della lotta. Quanto ai gruppi politici a sinistra del PCI, come DP, non hanno né forza, né soprattutto la capacità di supportare da soli — e non a caso — un'iniziativa che sbocchi in un fronte di lotta più ampio e classista.

Il lavoro che ancora bisogna fare verso la massa dei lavoratori, e quindi anche del sindacato, deve essere insieme più capillare e assolutamente non limitato economicisticamente. Non si può pensare di sviluppare dei momenti parziali di resistenza in singole fabbriche, per poi far trascrescere il movimento attraverso assemblee pubbliche e manifestazioni che si prefiggono l'obiettivo di muoversi su un terreno più generale, politico. È un grosso errore e chi lo fa paga non riuscendo a rompere il cerchio delle esperienze particolari.

Iniziative poco positive e fallimentari in questo lungo percorso di ripresa ce ne saranno ancora: se chi "sta alla finestra" se ne compiace, per noi, che vogliamo dare un indirizzo politico marxista, è importante non ritrarsi dal campo d'allenamento proletario, ma intervenire per combattere le diverse impostazioni che via via tentano di incanalare il movimento nella facile via del minor sforzo e per organizzare settori sempre più ampi di proletari nella difesa classista dei propri interessi.

La relazione introduttiva all'assemblea evidenzia quali sono le debolezze opportuniste da superare e si pone a cavallo tra un tradeunionismo "duro" formalmente e una linea riformista tout-court, incentrata su un "diverso modello di sviluppo" che dovrebbe unificare rilancio economico italiano e una miglior "qualità della vita", "produttività" e maggior occupazione, termini tra loro contrapposti e antitetici e come se in questa società l'economia potesse basarsi su leggi diverse da quelle del capitale.

L'assemblea si è sviluppata fondamentale mente su come proseguire l'azione di coordinamento e su come sostenere le eventuali iniziative, mettendo in secondo piano i contenuti delle iniziative stesse. Di fronte alla politica apertamente remissiva del sindacato confederale, la FIM, soprattutto di Milano, chiede al posto della c.i. a zero ore quella a rotazione, insieme ai contratti di solidarietà. Questa politica rivendicativa, che ha avuto alla Ercole Marelli la benedizione di Lotta comunista stessa, non è in grado di contrastare assolutamente l'offensiva padronale fatta di innalzamento della produttività e di ridimensionamento della forza lavoro.

Questioni particolarmente dibattute sono state la funzione che deve avere il coordinamento nazionale dei cassaintegrati e il rapporto sindacato-masse. Tutte le manifestazioni di lotta dei cassaintegrati si sono negli anni e mesi precedenti scontrate, bene o male, con il sindacato e i delegati non hanno espresso dubbi sul fatto che quest'ultimo è più di freno che di organizzazione della lotta, ma le posizioni sulla natura e sul ruolo del sindacato e su come il coordinamento deve rapportarsi ad esso sono state le più varie. Mentre i rari sindacalisti presenti cercavano di tirare l'acqua al loro mulino (giungendo a schernire l'assemblea augurando un "non buon proseguimento"), la tentazione che emergeva in molti delegati era quella di muoversi isolatamente dalle lotte degli operai occupati, dai giovani in cerca di prima occupazione, dalle lotte studentesche.

Vi è l'illusione che si possa ottenere di più mirando gli obiettivi e organizzando delle risposte specifiche. Dopo tante batoste subite è comprensibile che alcuni settori operai pensino di organizzarsi in proprio sui problemi che coinvolgono il loro settore specifico, ma la radicalizzazione della crisi mette sul tappeto in modo più aperto come i problemi dei vari settori che compongono la forza lavoro si intrecciano e come lo stesso attacco della Finanziaria sia diretto all'insieme dei lavoratori e delle loro famiglie.

Va, pero, registrato che le tentazioni corporative nell'assemblea sono state contrastate da vari interventi piuttosto significativi. Rileviamo tra questi quelli di Delle Donne (delegato Alfa Romeo e leader di DP), di Marras (delegato della Montedison di Castellanza), del delegato dei cassaintegrati di Torino e in ultimo quello di un nostro compagno della Breda Siderurgica.

Delle Donne ha denunciato il contenuto e il modo con cui il sindacato ha condotto la trattativa con il padronato sul "costo del lavoro", riconoscendo come nel sindacato sia difficile portare avanti una posizione di reale difesa dell'occupazione e anche agire dall'interno. L'Alfa è stata portata ad esempio di come il sindacato nel suo complesso ha sabotato l’organizzazione dei lavoratori in c.i. e come solo quando essi si organizzano autonomamente questo si occupa di loro per cercare di deviare la lotta sul binario riformista. Chiaramente questa imposizione sottintende che, malgrado tutto, si possa ancora cambiare il sindacato, ma lo scontro che sempre più si accentua in fabbrica spinge questi compagni ad andare fino in fondo o ad accettare la politica riformista. Le mezze verità non possono resistere di fronte ad un PCI e ad un sindacato che si muovono, e un domani in forma anche più "dura", per un progetto politico interno al quadro borghese.

È da segnalare, inoltre, l'accentuazione di questo compagno sulla necessità di costituire un fronte unico operaio in opposizione all'attacco borghese e la necessità di muoversi con gli studenti per costruire un più largo fronte contro la Finanziaria. Quando, però, Delle Donne ha chiarito la propria prospettiva politica è caduto nell'opportunistica impostazione della sua organizzazione sul diverso utilizzo dell'economia in questa società, non uscendo così dalla sfera politica proposta dal PCI e dal riformismo in generale.

Marras, oltre alla denuncia del sindacato che ha boicottato l'assemblea, ha insistito sulla necessità di organizzarsi autonomamente a scala nazionale come cassaintegrati, per dare insieme agli altri lavoratori una reale risposta, tipo quella dei minatori inglesi. Ma, allorché ha precisato su quale base questa lotta deve svilupparsi si è posto sul terreno di un tradeunionismo duro slegato da una conseguente prospettiva politica classista, anche se è da rilevare il suo richiamo agli altri delegati a non demoralizzarsi di fronte alla congiuntura difficile, ma a continuare nel lavoro guardando al futuro che si apre a prospettive più favorevoli per gli operai rivoluzionari.

Nell'intervento di un cassaintegrato di Torino, dove da 5 anni ci si muove contro i licenziamenti, la giusta preoccupazione di non rompere formalisticamente con i lavoratori iscritti a CGIL-CISL-UIL diveniva, nei fatti subordinazione alla politica sindacale generale.

Quanto all'intervento del nostro compagno delegato operaio della Breda, si è soffermato da una parte, sui problemi organizzativi, sottolineando la necessità di un lavoro verso la massa dei lavoratori e non solo verso i burocrati sindacali, andando a momenti assembleari in modo più preparato e con un collegamento più diretto con le fabbriche in lotta e il movimento degli studenti, dall'altra ha ripreso gli interventi precedenti e la loro impostazione complessiva che pensa di risolvere il problema occupazionale con un "diverso sviluppo" dell'economia capitalistica. Gli operai in Italia e a scala mondiale debbono fare i conti con la crisi generale e questa impone politiche di restrizione ai governi di destra come di "sinistra" borghesi. Gli operai possono difendersi solo se impostano un'efficace lotta per la drastica riduzione dell'orario di lavoro, per il salario garantito, unita a quella più generale sul salario e mobilitando attorno ad essa i settori più disponibili, come quello degli studenti. In quest'ottica la mobilitazione per la c.i. a rotazione riproposta dai delegati di DP e dalla FIM permette, è vero, per un certo intervallo di tempo di mantenere un piede in fabbrica, ma, in una situazione di crisi generale, accetta di fatto l' "esuberanza" della forza lavoro, riproponendo la divisione dei sacrifici. Su queste basi è necessario estendere il coordinamento ed è possibile farlo sviluppando per il momento una organizzazione nazionale dei cassaintegrati esterna al sindacato, che, però, agisca per coinvolgere in iniziative di lotta tutte le strutture sindacali di base e la massa dei lavoratori. Se non si fa ciò - ha concluso il nostro compagno - ci si imprigiona, in questa fase, nella struttura sindacale, senza allargare assolutamente l'intervento verso le masse.

L'assemblea é finita con una mozione che, in pratica, cerca di accontentare un po' tutti e in cui hanno peso ancora quelle posizioni che tendono ad avere un piede nel riformismo e che non permettono una reale chiarificazione tra avanguardie ed una lotta coerente contro l'attacco padronale. Non a caso, mentre la mozione chiamava a promuovere una raccolta di firme a sostegno di una "legge di iniziativa sulla C.I.", qualche giorno dopo si mancava un'occasione importante di presenza politica come la manifestazione per il lavoro indetta il: 23/12/85 dai C.d.F. milanesi della GTE-Antella e della Face Standard (pesantemente colpite dalla CI), che, formalmente organizzata dal sindacato, era abbandonata a se stessa, tanto che su 800-1000 persone la quasi totalità era composta da studenti. Non è certo così che si può uscire dalla stretta cerchia degli ex-autoconvocati.

L'allargamento del movimento non può eludere d'affrontare e risolvere i problemi connessi alla prospettiva del come la classe si deve difendere, in più anche se facciamo finta di non vedere questa necessità i nodi da sciogliere si presentano comunque. È indicativo quanto successo all'ultima riunione di coordinamento dell'11/1/86 in cui hanno partecipato rappresentanze oltreché di Milano, di Torino, Viareggio, Pisa, Treviglio, Verona, Padova e Castellanza.

In quest'occasione sono intervenuti due rappresentanti di Torino, ponendo al coordinamento in termini ultimativi una inversione di rotte che lo portasse a presentarsi quale diretta emanazione di CGIL-CISL-UIL e a sostenerne le rivendicazioni in tema di cassaintegrati: riassorbimento dei lavoratori con la flessibilità, estensione del prepensionamento, promozione della legge 444 sui corsi di riqualificazione; inoltre rivendicavano la necessità di impedire la propaganda politica nelle scadenze pubbliche del coordinamento, da parte di quelli che non condividono le posizioni di PCI e sindacato.

La discussione scaturita ha respinto questo tentativo, che ha contraddistinto un salto qualitativo dei torinesi da posizioni più defilate a posizioni apertamente filo-piciste, poste come discriminanti Come ha detto uno dei nostri compagni presenti, delegato operaio dell'Alfa Romeo, questa impostazione porterebbe non solo alla subordinazione alla politica riformista di accettazione della cassaintegrazione nella logica della legittimità dell'esuberanza, ma finirebbe per impedire qualunque estensione e generalizzazione della lotta; ma si tratta anche di chiarire fino in fondo perché non la si accetta e che altre prospettive proponiamo.

È comunque indicativo delle difficoltà riformiste di gestire queste posizioni il fatto che un altro torinese, premettendo di non essere iscritto al PCI e quindi di non seguire le indicazioni date centralmente su come atteggiarsi nel coordinamento, ritenesse ancora aperta la necessità di confrontarsi e di coordinarsi nazionalmente. La stessa contraddizione si è espressa nel comitato Pisano, legato al sindacato dei cui rappresentanti uno ha detto di essere completamente d'accordo con Torino, mentre l'altro ha specificato che non lo era e che comunque il comitato avrebbe dovuto discuterne e decidere a proposito.

Spazi politici, generati dalle contraddizioni materiali prodotte dalla crisi, ci sono e possono favorire la spinta all'estensione della lotta ma ciò è possibile solo affrontando questi problemi e non limitandosi unicamente a riunioni tecnico-organizative sulle scadenze successive.

Il movimento si trova in questa impasse; la crisi lavora con giudizio affinché si facciano dei passi decisivi in avanti. È certo, comunque, che gli operai non lasciano le "vecchie scarpe", magari riciclate, per quelle nuove, se queste non si pongono all'altezza della situazione.

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


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