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Edili: una risposta vincente al governo Craxi


Nella seduta dei 22 dicembre '86, con un "blitz contro gli edili", il governo Craxi aboliva di fatto, insieme con la legge 501 del '79, la possibilità per gli edili dei Mezzogiorno di ricorrere alla cassa integrazione. Questa legge prevede, intatti, una integrazione salariale a favore dei lavoratori edili delle aree dei Sud che si trovano in "gravi difficoltà occupazionali". Essa garantisce una quota di salario nella fase che va dalla perdita dei primo lavoro al "probabile" (?) nuovo lavoro. Facile intuirne l'importanza politico-sociale per il Mezzogiorno: solo in Campania sono almeno diecimila gli operai edili da anni senza lavoro, per i quali questa "integrazione" è l'unica, o almeno la principale, entrata salariale.

Anni di crisi dell'edilizia hanno reso ancor più precaria e pesante la condizione di un settore dei proletariato che già è abitualmente alle prese con il cottimo, il lavoro nero e sottopagato senza assistenza di qualsiasi natura e che per ogni, anche minima, forma di organizzazione, deve fare i conti o con sindacalisti corrotti o - nella maggioranza dei casi - con la feroce struttura criminale della camorra.

In molte zone, infatti, la camorra controlla direttamente, tramite prestanome di fiducia, una moltitudine di ditte edili ovvero, in cambio di "regali" mensili, favorisce il "tranquillo" andamento dei lavori contro eventuali operai o rappresentanti sindacali turbolenti. Innumerevoli sono stati, in questi anni, le azioni delittuose contro operai inermi, colpevoli di aver chiesto migliori condizioni di lavoro. Ormai nei cantieri è regola la presenza di giovani sgherri armati, sempre pronti ad intervenire all'occorrenza. Il recente episodio della sparatoria contro gli operai dei cantiere Volani nella zona orientale di Napoli è solo un eloquente esempio di questa prassi.

In uno scenario già di per sé tanto duro per gli edili, è caduto come un'ennesima, pesantissima mazzata il provvedimento governativo di abrogazione della 501. La risposta operaia è stata forte e compatta, crescendo di giorno in giorno fino alla manifestazione nazionale a Roma. Innumerevoli iniziative si sono succedute nelle zone interessate, a dare sbocco ai tanti scioperi spontanei avvenuti a caldo nei cantieri. Non ci poteva essere migliore smentita per tutti coloro che da anni danno per spacciata la classe operaia. Gli stessi sindacati, meravigliati, si sono visti costretti a recuperare gli anni di ritardo accumulati in questa "categoria" ed a premere sui partiti di governo e di "opposizione" per un ritiro in sordina del decreto.

Diecimila operai (e molti giovani operai!) in corteo a Napoli non si vedevano dai tempi della lotta dll’Italsider di Bagnoli oltre cinquemila a Caserta che hanno invaso con la loro rabbia il centro di una città socialmente ostile. Stessa forte risposta anche a Salerno. In tutte queste manifestazioni si respirava un'aria ben diversa da quella dei soliti cortei sonnacchiosi degli ultimi anni. Sui volti stessi degli operai si leggevano rabbia e determinazione, e insieme consapevolezza della portata dello scontro con il Governo. Se passava il decreto, migliaia di proletari si sarebbero trovati senza una lira per campare.

Com'è consuetudine di questo periodo, anche gli edili hanno fatto esperienza dei ruolo anti-operaio delle "forze dell'ordine", che hanno controllato da vicino le mobilitazioni, non rinunciando, all'occorrenza, ad interventi provocatori e apertamente repressivi (l'arresto di alcuni lavoratori all'uscita di un'assemblea sindacale a Napoli, la identificazione degli operai più attivi, ecc.). Ma, anche in rapporto a tali episodi, vi è stata una ferma risposta degli operai, che hanno difeso i propri compagni ed allontanato la polizia.

In questo clima surriscaldato si è preparata la manifestazione dei 6 febbraio a Roma, che, nella volontà di buona parte dei lavoratori, doveva raccogliere le energie espresse nel precedente mese di lotta e che poteva secondo noi -trasformarsi da semplice incazzatura contro il decreto in un momento di lotta su una piattaforma più generale (va notato che il contratto degli edili non è stato ancora concluso, anzi c'è una forte resistenza dei padroni addirittura ad iniziare la fase preliminare).

Molti operai sono andati a Roma con questa consapevolezza. Discutendo con loro emergeva una "sorprendente" voglia di lottare. Il ritrovarsi in tanti (oltre 50.000!) e così compatti ha risvegliato in molti il senso della propria forza in quanto classe.

Ancora una volta, però, non avevano fatto i conti fino in fondo con il sindacato, che anche in questa lotta ha avuto un ruolo diversificato. Inizialmente ha spinto gli operai ad esprimersi contro il decreto. Poi, quando ha toccato con mano la massiccia spinta operaia a generalizzare lo scontro con le controparti, a partire dal governo (la parola d'ordine dei nostro volantino alla manifestazione di Roma che ha riscontrato maggior "successo" era quella contro il governo Craxi), ha ripreso il solito ruolo di pompiere. E si è messo a spingere sulle istituzioni per il ritiro dei decreto ed il rinvio dell'intera questione a quella più generale della riforma della cassa integrazione.

La sera prima della manifestazione nazionale degli edili, il Parlamento faceva decadere il decreto e lo stesso governo (con l'apporto di "stimolo" del PCI) s'impegnava a protrarre la c.i. per tutto il 1987. Alle migliaia di operai che scendevano dai treni e dai pullman i dirigenti sindacali sbandieravano la "grande vittoria" (e vittoria in effetti c'è stata) riducendo la manifestazione ad un qualcosa di puramente simbolico. La classica passeggiata con il fischietto in bocca e con il solito comizio finale di qualche sindacalista che s'appella al buon senso degli operai.

Morale della favola (secondo le direzione sindacali): si torna a casa e sui luoghi di lavoro ad affrontare i soliti problemi, aspettando il prossimo attacco per riprendere la lotta. Crediamo, che gli operai non dovranno attendere per molto, visto che il problema è solo spostato nel tempo. E sarà bene non far disperdere al vento quella volontà di battersi che è emersa in questo frangente. Lo scontro non è chiuso. Ammesso pure che venga accettata la proposta sindacale di inserire la questione degli edili nella riforma generale della c.i.g., il problema non sarebbe affatto risolto: sia per i contenuti punitivi della proposta De Michelis, sia perché una tale "soluzione" non potrebbe che riguardare i soli edili inseriti nei grandi progetti di opere pubbliche, tagliando fuori la maggioranza. Prepariamoci, perciò, ai nuovi round, "capitalizzando" a vantaggio della classe operaia questa prima vittoria.


ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


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