Dove andiamo.


Crisi capitalistica,
difficoltà e risorse della ripresa proletaria,
prospettive dei comunisti

Cominciamo dalla base, come è necessario: la crisi capitalistica, lungi dall'essere finita, si avvia ai suoi passaggi più acuti.

Non siamo solo noi, irriducibili marxisti, a descrivere il quadro a fosche tinte. Perfino il cauto H. Schmidt paragona l'attuale dollaro ad "una bomba ad orologeria che può esplodere improvvisamente sotto l'economia mondiale". Al di là delle parole, sono i duri fatti a provarlo.

Checché ne dica Reagan nei suoi spot pubblicitari sugli USA, la ripresina americana è stata possibile solo a danno degli altri e solo a patto di assecondare speculazione monetaria e militarismo.

Ma quale rinascimento produttivo! Sono la banca e il Pentagono, gli usurai d'alto bordo e i signori della guerra a guidare l'effimera ripresa.

Ma quale nuovo ordine internazionale! Caos e concorrenza minacciano il mercato più di prima.

Il capitalismo s'avvita su se stesso, drogandosi con cartaccia sopravvalutata e imprigionando terra e cielo di armi d’ogni tipo.

Al momento la situazione pare tamponata. Ma il sottosuolo ribolle. Formidabili forze produttive scalpitano nel seno della società (con le nuove tecnologie e una organizzazione sociale comunista sarebbe di 4 ore e anche meno la giornata lavorativa). I ristretti e reazionari interessi del profitto le schiacciano.

Più la resa dei conti sarà ritardata, più quel passaggio sarà catastrofico e devastante.

Per intanto la talpa scava: si accrescono le contraddizioni interborghesi, tra i blocchi e nei blocchi, tra stati e negli stati, tra aziende e tra le diverse forme del capitale.

Centralizzazione e anarchica lotta di tutti contro tutti sono due facce della stessa medaglia. In campo borghese i più forti si rafforzano, i meno forti tengono a fatica, i più deboli regrediscono verso il baratro.

Impaurita dalle stesse forze che ha messo in moto, ma in nessun caso disposta alle dimissioni, la borghesia si arrocca intorno ai propri stati, sempre più blindati, per difendere i privilegi o salvare il salvabile. Il protrarsi e l'aggravarsi della crisi la spingono a portare in profondità l'attacco al proletariato.

Vengono progressivamente meno gli spazi di mediazione interni al sistema e le possibilità di riforma e di cogestione democratica della società capitalistica.

La polarizzazione oggettiva tra proletariato e borghesia va avanti. E questo processo apre forti contraddizioni all'interno del riformismo e—in prospettiva—tra riformismo e masse proletarie.

In un tale contesto, il proletariato non può vivere come prima. Le mazzate lo costringono a tornare in scena .come classe con interessi antagonisti. E il proletariato, puntuale, vi ritorna.

Polonia 1980—Inghilterra 1984/85. La momentanea sconfitta dei minatori inglesi, cui gli stessi borghesi hanno dovuto tributare "l’onore delle armi", non può assolutamente cancellare una lotta che costituisce un ulteriore, formidabile anello materiale della ripresa internazionale della lotta di classe.

Se il proletariato europeo indurisce la difensiva e si mostra non disponibile alle sollecitazioni scioviniste, il proletariato e le masse povere dei paesi arretrati, dal centro-America all'Africa all’Iran, non cessano ai opporsi con eroismo alla doppia e tripla oppressione da cui sono gravati.

I primi ponti tra i due estremi del proletariato mondiale sono ormai lanciati. E contro tutti gli schiattamorti noi vediamo in atto una ripresa proletaria, un andamento non lineare, ad alti e bassi. ma complessivamente ascendente dell'iniziativa proletaria.

Beninteso! Il proletariato torna in campo con la testa e la ... pancia semipiena di illusioni riformiste, illusioni ribattute senza tregua dai difensori del capitalismo nei movimento operaio.

Ma il "riformismo" delle masse operaie non è quello dei partiti riformisti o socialdemocratici: mentre quest'ultimo, anche nelle sue varianti più estreme, resta organicamente legato al capitalismo (magari quello di stato), il "riformismo" dei proletari può, a date condizioni, rovesciarsi dialetticamente in lotta rivoluzionaria per il comunismo.

Una di queste condizioni, ed essenziale, è il lavoro dei comunisti nella classe.

La ripresa del proletariato lo facilita, ma non può sostituirlo. Se non è meccanico il nesso tra crisi e rivoluzione, non lo è neppure quello tra ripresa della lotta di classe e sviluppo del movimento comunista.

Anzi, va ammesso che, rispetto al grado di avanzamento della crisi e allo stesso livello di resistenza del movimento proletario, i marxisti sono in ritardo. Tanto più perché nel campo avverso opera la tendenza alla concentrazione e centralizzazione delle forze borghesi intorno agli apparati statali.

Per favorire la formazione di uno speculare fronte di classe nel campo proletario, non serve esaltare le lotte cosi come sono standone alla coda. E neppure serve mettersi in disparte per paura che le impurità del movimento reale ci contagino, limitandosi a salmodiare i fini supremi aspettando... Godot.

I comunisti debbono partecipare direttamente alla ripresa del movimento proletario, perché sono le contraddizioni reali il terreno su cui competere e scontarsi con il riformismo.

Partecipare come? Caratterizzandosi insieme per il programma generale (potere proletario e trasformazioni comuniste) e per l'intervento su tutti i problemi, immediati e politici, che il proletariato si trova a vivere.

Non mettiamo in congelatore le nostre limitate forze, ma le saggiamo nello scontro, convinti come siamo che la rivoluzione non è una rottura epocale che vien fuori dal nulla, ma il punto culminante di un processo che si sviluppa tra le masse e che tocca ai comunisti anticipare, interpretare e dirigere fin dai suoi primi passi.

La commedia del benessere e della pace è finita. Oggi è in scena il dramma dei sacrifici e dei preparativi di guerra. Domani il passaggio tragico-decisivo: o la rivoluzione proletaria internazionale verso il comunismo o la riaffermazione regressiva di un capitalismo sempre più decadente.

Arriviamoci preparati!