Dossier Pci

 


ELEZIONI `87: QUALE ERA LA POSTA IN GIOCO!

Se da marxisti consideriamo che qualsiasi consultazione elettorale della democrazia borghese non può che mascherare, sempre e comunque, la dittatura sostanziale del capitale e giammai costituire un- occasione" per l'emancipazione del proletariato od anche solo (nella fase d'imputridimento imperialista) di vere e stabili riforme, non per questo noi neghiamo alle elezioni borghesi il carattere di scontro reale che coinvolge tutte le classi della società e che interessa, quindi, anche - ed in primo luogo - il proletariato.

L'OCI non ha partecipato a queste elezioni né con proprie candidature né a supporto "tattico", "critico" e via dicendo, a liste altrui e, per vari ordini di ragioni già altrove chiariti, non prevede che il contenuto del "parlamentarismo rivoluzionario" di Lenin (cui essa strettamente aderisce) possa ritrasferirsi in tattiche di partecipazione ad elezioni e parlamenti borghesi. Il nostro astensionismo, però, non ha nulla a che fare col gusto goliardico ed i contenuti anarco-qualunquisti dei vari attacchini di adesivi "rivoluzionari" del tipo: "Chi vota avvelena anche te, digli di smettere". Nelle elezioni noi non vediamo una pura e semplice "truffa" giocata dalla borghesia "in generale" (epperciò "concorde") ai danni della Ragione; meno che mai, di conseguenza, guardiamo all' "antivoto" come ad un'alternativa, "tattica" o "strategica", di per sé stessa, alla maniera di quanti computano astensioni, bianche e nulle per tirarne fuori un "terzo partito" in lizza… elettorale. Il cretinismo astensionista non è meno micidiale del cretinismo parlamentare: ne eredita, anzi, l'essenziale dei contenuti, salvo la capacità di "far politica".

Questa breve avvertenza era necessaria per af-frontare il tema di quest'ultime elezioni. La posta in gioco di esse stava in una lotta reale tra distinte ed opposte frazioni borghesi per un dislo-camento dei reciproci rapporti di forza in vista di un proprio modello di gestione del sistema borghese e, in questo quadro, di un proprio modello di rapporti col proletariato. In nessuna delle forze in campo il proletariato aveva la rappresentanza dei suoi interessi storici di classe, per loro natura antagonisti, rivoluzionari. Questo è certo. Non ne deriviamo, però, che tutte le forze di cui sopra vanno considerate "egualmente (allo stesso modo) reazionarie". Solo di notte – lo abbiamo appreso da tempo – tutte le vacche sono egualmente nere. Per criticare e contrapporci da cima a fondo al PCI non abbiamo bisogno di dire che questo partito è "egua-le" alla DC o al MSI (o persino "più eguale", cioè "peggiore" di essi, come da qualche parte "ultrasinistra" si è scritto). Il partito "operaio"-borghese, borghese sino al midollo, si fonda su un rapporto specifico con le classi salariate: di qui la necessità, per esso, di "progettare" una gestione "operaia" del capitalismo, che non intacca le basi del sistema in quanto tale, ma - a certe condizioni, in una certa misura, entro certi limiti - entra in conflitto effettivo con gli altri partiti borghesi. DC e PSI, da parte loro, si sono poste, concorrenzialmente tra loro, lo "stesso" tema di amministratori del sistema, mirando ad indebolire, secondo metodi e finalità differenziati, il PCI quale strategia di un più ampio attacco al proletariato. Come abbiamo chiarito nel numero precedente, il piccione da centrare era il proletariato colpendo, elettoralmente, il PCI (e ci risparmiamo dal ripetere che PCI e proletariato non sono la stessa cosa…).

Colpire il PCI, non DP o… l'OCI. Forse perché il PCI difende il proletariato a scala storica meglio di DP o di noi? Forse perché il PCI agisce contro il capitalismo? NO! Per la semplice ragione che il PCI comunque incarna - diventa ingombrante per il capitalismo. È un dato di fatto non italiano, ma internazionale: qualsiasi "thatcherismo" (inglese, tedesco, spagnolo, americano…) ha un suo "Labour Party" di cui disfarsi per passare, al di là della testa dei Kinnock, a colpire il cuore della classe antagonista. Perché, nonostante il carattere intieramente ed esclusivamente borghese del riformismo, la classe operaia che si riconosce e si organizza in esso non cessa di costituire un elemento oggettivamente antagonista; perché la preziosa funzione riformista nel ciclo espansivo diventa essa stessa troppo stretta per gli imperativi di un capitalismo in crisi.

Per questo DC e PSI sono andati, in queste elezioni, ognuno per proprio contro e l'un contro l'altro armati, alla caccia dei consensi piccolo, medio (e, in qualche misura, persino alto) borghesi messi in libertà dallo spappolarsi del "blocco sociale" su cui il PCI aveva costruito le sue fortune in linea ascendente sino al '76 con l'obiettivo di stringere questi consensi attorno ad un nuovo blocco "moderato" ("progressista" o "conservatore", a seconda dei casi) per promuovere un rafforzamento dell'esecutivo gratificato da un sostegno consensuale di massa. Contestualmente, si trattava non solo di indebolire elettoralmente il PCI, ma di deprimere su linee più arretrate di "difesa" la parte proletaria tuttora stretta attorno ad esso, giovandosi in ciò del suo tracollo elettorale per far emergere con più nettezza nel partitone l'elemento "migliorista" e inducendo ulteriori motivi di confusione e sconforto nelle file proletarie abituate a ragionare in termini di "poteri contrattuali" di voti e rappresentanze parlamentari. In forma più netta da parte della DC, attorno alla quale si sono polarizzati i consensi più conservatori (sino al travaso netto dalle botti del MSI) assieme a quelli di certo "populismo": cattolico alla CL; in forma più morbida e "aperturista" verso il riformismo "operaio" da parte del PSI.

In quest'offensiva il PSI l' ha fatta da protagonista. L'amo dell'apertura tattica al PCI da parte della DC può anche essere provvisoriamente gettato con successo (si veda il recente "caso Palermo") in quanto esso risollecita pruriti da "forza di governo" nel PCI e può fargli credere ad una maggior acquisizione di potere rispetto al PSI nella prospettiva di "alternativa" che con esso si mira ad attuare. Ma è gioco, per quanto "a tutto campo", di breve respiro. Per un PCI amputato di una fetta consistente di voti e stretto tra l'impossibilità di accedere tranquillamente all'opera di "normalizzazione" dichiarata del proletariato che la DC porta avanti (ed a cui subordinerebbe ogni seria riedizione del "compromesso storico") e un autentico terrore dell'esplodere di tensioni sociali e politiche incontrollabili, la sirena craxiana è quella che segna la rotta: al PSI il compito di preparare le condizioni di un "alternativa praticabile" della "sinistra progressista", dentro e fuori il governo, senza preclusioni preconcette del PCI (cui - è Lama a dirlo - spetta "cominciare ad avere col PSI un rapporto diretto e continuativo, che non sia turbato dalla inevitabile collocazione diversa che avremo rispetto al prossimo governo"); al PSI il compito di condire con un po' di welfare assistenzialistico l'inevitabile" nuovo ciclo di sacrifici "generalizzati" (cioè: del proletariato), al PCI quello di sfrondare ulteriormente i "rami secchi" di un "residuo operaismo massimalista" al proprio interno ed all'interno della classe da esso controllata, a costo di cominciare a perdere, dopo i voti borghesi, quelli di settori "estremistici" del proletariato.

A queste "semplici" condizioni avremmo anche in Italia un "governo delle sinistre" alla Mitterand. Con una variante: che in Francia esso si è consumato prima che fosse raschiato il fondo del barile delle riserve di sviluppo o tenuta, ricollocando per forza di cose il PCF all'opposizione parlamentare e - sia pur con tutti i preservativi ritardanti possibili - sociale, mentre in Italia si darebbe nel pieno della crisi, con un proletariato già in grado di contrapporre i propri bisogni alle "compatibilità", cioè agli ulteriori sacrifici che un "governo delle sinistre" dovrebbe richiedergli e certamente non prova alcuna attrazione per la compagine socialista, il cui carattere anti-operaio si è già in più di un'occasione sperimentato.

E dunque: il PCI è stato indebolito e i suoi "stati maggiori" si sono prontamente mostrati disposti a rivedere i propri programmi, subordinando la dichiarata volontà di rimettere in evidenza la "questione operaia" ad una prospettiva "alternativista" da perseguirsi sul piano delle combines parlamentari (con Craxi obiettivamente in funzione di "garante"). Un vero e proprio vicolo cieco, che al CC di fine luglio si è mostrato in solare evidenza: "un partito indeciso a tutto", ha titolato con buon fiuto un giornale, cogliendo l'impasse del PCI.

In ciò il risultato che i suoi contendenti si prefiggevano è stato, per ora, pienamente conseguito.

È lo stesso per la base proletaria del PCI? Non lo crediamo. Al di là degli inevitabili motivi di sconforto e confusione del momento, cui abbiamo sopra accennato, per una parte di essa almeno il tracollo elettorale non si è tradotto automaticamente in abbandono delle proprie bandiere, ma, al contrario, in una tensione di riscossa, le cui manifestazioni ulteriori potrebbero abbondantemente vanificare le aspettative borghesi.

Dovessimo riassumere in poche parole i sentimenti e i propositi di questa base lo faremmo così: nessuna ulteriore concessione alla borghesia sulla nostra pelle; abbiamo la forza sufficiente a farci sentire; la linea dei continui compromessi non ha in alcun modo pagato: la borghesia ha incrementato profitti e poteri, noi siamo arretrati sia salarialmente sia in quanto a forza di pressione parlamentare; per ricuperare terreno occorre tornare all'offensiva sociale; a tal fine ci serve un PCI che sia davvero in grado di dichiarare e dirigere la lotta; nel nostro partito ci sono resistenze e ritardi che vanno sanati: la destra interna "omologa" alla socialdemocrazia dev'essere battuta, altrimenti i nostri sforzi saranno minati dall'interno.

In tutto ciò vi è, ovviamente, il permanere di illusioni ed errori. Lo stesso punto di partenza (il pensare che il PCI possa "rigenerarsi" per portare "sino in fondo" le aspettative proletarie) è ideologicamente un errore gravido delle peggiori conseguenze. Qui, però, non stiamo a discutere di ciò che il proletariato ideologicamente (cioè secondo, falsa coscienza) si rappresenta, ma delle risorse di un processo di decantazione e movimento in atto che va nel senso potenziale del superamento dei condizionamenti ideologici di cui esso attualmente si riveste e quindi nel senso di una reale acquisizione di coscienza e capacità organizzativa anche soggettivamente oltre la linea di sbarramento riformista.

È un inizio, ma promettente inizio. Ai comunisti il compito di seguirlo passo passo, per intervenire attivamente sui suoi sviluppi. Dove? Evidentemente laddove.esso concretamente si manifesta, e cioè nel PCI, piaccia o non piaccia. Porsi fuori da queste coordinate significherebbe collocarsi al di fuori delle masse, non avere alcuna fiducia in esse e, in ultima analisi, non avere fiducia in genere nelle condizioni oggettive della rivoluzione.