Dopo gli eccidi in Azerbajgian

I "club" in URSS e la questione nazionale


L'URSS di Gorbacev è tutta un fiorire di club politici (c'è chi azzarda la cifra "provvisoria" di 30.000 tra gruppi e gruppetti) che hanno in buona parte resa superata la fase del circoli clandestini e relativi "samizdat". È indubbio che questa fioritura è favorita dalle aperture liberali del regime, ma anche che essa esprime a livello politico la stessa domanda di base che si è ufficialmente prima espressa in campo economico. È il ritratto di una società che va sempre più differenziandosi e che ha necessità di dar voce ad un "pluralismo" di spinte ed interessi materiali e, diciamo pure così, "spirituali", cioè, in ultima istanza, politici. I club attuali sono ancora, generalmente, delle "piccole imprese", come possono parere piccola cosa le iniziative economiche private. In realtà, gli uni e le altre sono la fucina sperimentale del futuro dell'URSS: fine del monopolio economico statale (esistente per lo più sulla carta), fine del monolitismo e del monopolio Partito-Stato (idem come sopra) e più che mai… monopolio del sistema capitalista, che è sempre un bel ensemble polifonico su spartito unico…

Torneremo nel prossimo numero su quest'argomento, in quanto la questione del club coinvolge anche parte del tentativi iniziali del proletariato di darsi un proprio partito c ci limitiamo qui alla sola questione del rapporto tra questi gruppi informali e la questione nazionale.

Il fronte del club può dirsi spaccato in proposito. L'ala "progressista" del club avanza delle petizioni di principio e delle concrete richieste di rispetto del diritti nazionali nel quadro dell'unità sovietica, data per acquisita, sia pur con tutte le imperfezioni del caso, e da riformare soltanto. La causa delle nazioni che, soprattutto in passato, hanno subito le maggiori oppressioni è sollevata vivacemente dai `progressisti" (caso del tartari, degli armeni…), con qualche limitazione, ci pare - ma vorremmo esser più documentati in materia -, e, in particolare, con minor attenzione verso i popoli "musulmani", costituzionalmente meno vicini al "cuore" del "patriota sovietico". In ogni caso, non si va in materia oltre l'orizzonte del "diritto", perfettamente democraticoborghese. L'accrescersi della forbice economico-sociale a scala regionale obbligherà ad aggiornamenti in materia, e staremo a vedere.

Contro quest'ala "progressista" è schierata una compatta controala francamente ultrasciovinista e reazionaria, principalmente impersonata, a livello di organizzazione politica, dal gruppo "Pamjat"(Memoria), che vanta di già 23.000 aderenti stretti e milioni di potenziali seguaci. Le origini di questo movimento grande-russo si possono far risalire addirittura alle correnti "slavofile" contrarie all'apertura della "Santa Russia" all'Occidente, alla "scristianizzazione" e, in una parola, all'avvento del sistema borghese nel paese sin lì "incontaminato". Dopo l'Ottobre si deve a Stalin il recupero di un tale "spirito nazionale", con grotteschi incroci tra "socialismo" e tradizione profondo-russa a tinte slavofile. E, di fatto, quelli che sono stati definiti i `fascisti russi" hanno equanimamente tributato le loro lodi a Stalin ed Hitler in quanto artefici dell' "orgoglio nazionale", slavo e germanico rispettivamente, contro il "debosciato"Occidente borghese. Oggi, "Pamjat "' riserva a Stalin le stesse lodi, se la prende, neppur tanto indirettamente, con Gorbacev e le sue riforme, ree di minacciare l' "integrità morale" dell'URSS con inopportune aperture al "Grande Satana" occidentale, protesta per la condizioni di "ineguaglianza" che sarebbero riservate in URSS all'elemento grande-russo (unico depositario dell'incorrotta "civiltà slava"), sul quale sarebbero accollati tutti i pesi di —mantenimento "degli infidi allogeni, ed agita pertanto un nuovo programma grande-russo. Anche senza che si debbano stabilire del fili fisici diretti, è ben visibile la continuità tra queste posizioni e quelle degli "hooligany" moscoviti che si riuniscono a centinaia per "dare una spazzolata" alle baracche degli immigrati asiatici alle porte della metropoli e, visto che ci sono, a chi ci sta dentro.

Allo stadio attuale, il proletariato appare sostanzialmente estraneo alla vita del club, tanto "progressisti" che "reazionari", e ne vedremo nel numero a venire le ragioni. È comunque un dato di fatto che lo spirito sciovinista grande-russo, se non ha trovato sin qui una risposta anche fisicamente organizzata da parte del proletariato, ha fatto i suoi proseliti esclusivamente tra l'elemento (soprattutto giovanile), che ben a ragione può definirsi "piccolo-borghese", di una piccola-borghesia superfamelica e super-incazzata tanto contro le nazionalità "inferiori" che rovinerebbero il paesaggio metropolitano quanto contro l'oggettivo elemento di freno ai loro appetiti rappresentato dal proletariato.

In passato, proletari russi ed extrarussi si sono incrociati in URSS senza troppo fraternizzare, in quanto agenti i primi di un'operazione di espansione del capitalismo nel paese dipartentesi da Mosca ed accompagnata da elementi oggettivi e soggettivi di sciovinismo ed oppressione nazionale ed in quanto privi, gli uni e gli altri, di una propria organizzata identità di classe. Oggi sempre meno può sembrare al proletario extra-russo che a dominarlo sia il suo consimile grande-russo, mentre entrambi sono crescentemente portati a confrontarsi insieme contro il dominio capitalista che pesa su di essi e cresce, all'interno delle rispettive nazionalità, il solco che separa proletari da borghesi. Su queste basi può e deve costruirsi un'alternativa alla pura petizione "democratica" del club "progressisti" ed una risposta bruciante (strictu sensu…) alla rinascente peste sciovinista degli immancabili Diergimorda d'oggi.