A COSA MIRANO LE GRANDI MANOVRE IMPERIALISTE INTORNO ALLA "QUESTIONE PALESTINESE"?


 

Amici…: di chi?

Thatcher: "Occorre lavorare per qualcosa (cosa?) che offra speranze (di cosa?) al popolo palestinese e a tutti gli altri popoli della regione… Occorrono negoziati tra la Giordania (?) e quei palestinesi che rifiutano l'uso della forza (si noti il diktat) da un lato, Israele dall'altro ".

Chirac: "Si deve prendere coscienza dell'urgenza di dare al problema palestinese una risposta (ma il punto è: quale risposta?) pacifica (una sconfessione del terrorismo di Stato israeliano? manco per idea) e negoziata (tra chi e chi, e su che?)".

Andreotti: "Il nocciolo della questione sta nel concreto riconoscimento del diritto all'esistenza e alla sicurezza del paesi della regione, compreso naturalmente Israele e nel riconoscere (manca qui, non a caso, la qualifica "in concreto") al popolo palestinese i diritti fondamentali (quali sono? perché non si parla, chiaro e tondo, del diritto a formare un proprio Stato? Anche la famigerata "dichiarazione Balfour"prometteva la salvaguardia del "diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche") ed il loro pieno esercizio (espressione "forte", ma non si sa a cosa si riferisce)". Altrove Andreotti si è chiarito meglio: "Anche se non si arriva ad una soluzione ottimale, quale è quella che lo Stato palestinese comprenda tutti i territori occupati (come a dire, poveri illusi, quelli che pensano a una soluzione del genere. E chi grida di "liberare Haifa e Tel Aviv?"), si può sempre cercare di arrivare ad una forma di Confederazione con la Giordania". Craxi, che si proclama "amico del popolo palestinese", ha ribadito che oltre la Confederazione con la Giordania (sotto il primato di Amman, sottinteso e beninteso) non si può andare.

I re, i principi e i notabili delle democrazie imperialiste sono preoccupati per la forza e la continuità della sollevazione. Osservano con inquietudine (come dargli torto?) il sostegno del cittadini e del lavoratori arabo-israeliani alla lotta di Gaza e della Gisgiordania, nonché il dissenso sulla "occupazione" e sulla repressione che comincia a manifestarsi in una parte di Israele. Ritengono un sinistro presagio di ciò che il sentimento di fratellanza fra oppressi può produrre, il fatto che a Beirut vi siano stati, in rapida successione, uno sciopero generale ("musulmano") di solidarietà, la fine dell'assedio di Amal ai campi palestinesi e la prima "libera" manifestazione di massa palestinese da molti anni. Si domandano cosa potrebbe succedere se ai primi, limitati, momenti di solidarietà "araboislamica" ed internazionale, ne dovessero seguire altri più massicci.

È così che, intorno ad una "questione" dimenticata, si è messa in moto una vera e propria controffensiva borghese-imperialista, che fa ricorso, come sempre, ai due metodi: la violenza bruta e la lusinga.

L'uso del primo se lo è assunto, con il massimo di accanimento e di criminalità possibile, il governo Shamir-Rabin. Ai nostri lettori, vicini o lontani, nulla abbiamo da "svelare" in materia. L'esperienza diretta e perfino le immagini televisive viste (fino a qualche settimana fa) in tutto il mondo, parlano chiaro. Diciamo soltanto che gli assassinii e le bastonature, gli arresti a migliaia e le deportazioni, la violenza cieca contro le forti donne palestinesi, i cinici danneggiamenti e soprusi, hanno inchiodato definitivamente alla gogna, agli occhi del lavoratori coscienti, la politica likudiana-laburista di "forza, potenza e botte", e lo Stato e la borghesia di cui è degna espressione. Gli stessi massmedia occidentali non hanno potuto evitare di versare qualche lacrima finta sulle vittime palestinesi…

Attenzione, perciò, doppia attenzione a vedere bene che dietro il repressore diretto israeliano, i principali mandanti dell'oppressione sulle popolazioni palestinesi e medio-orientali sono le borghesie egli Stati imperialisti, nel loro ordine "naturale": gli USA, le borghesie europee, l'URSS, ciascuno con i propri interessi specifici, rivali tra loro, convergenti - però - nello sbarrare il passo alla lotta rivoluzionaria del popolo palestinese per la propria autodeterminazione.

Sfumature e concorrenza reciproca a parte, la politica del maggiori governi europei si muove sulle seguenti linee: - evitare, nell'immediato, di eccitare ulteriormente la rivolta delle masse palestinesi, per frenarla, incepparla e sfiancarla con un misto di repressione e di "apertura";

- garantire definitivamente l'esistenza di Israele, ridimensionando un po' il ruolo suo e del suoi "protettori" yankee in Medio Oriente;

- dividere il movimento palestinese al suo interno tra "ragionevoli" e "oltranzisti", pacifici e violenti, dando o promettendo soddisfazione alle sue istanze nazional-borghesi più conciliatrici e colpendone, invece, a sangue, le istanze proletarie di piena autodeterminazione e, tanto più, di liberazione sociale;

- penetrare più a fondo, anche attraverso una prudente differenziazione da Israele e dagli USA, nel vasto mercato arabo, nelle istituzioni arabe e perfino nella simpatia delle masse oppresse arabe.

Penalizzate nel secondo dopoguerra a tutto vantaggio del predominio americano, le borghesie europee non perdono occasione per cercare di riconquistare spazio nella regione. In una certa misura perfino il riaccendersi della questione palestinese può essere utile alla promozione del loro interessi presso il "mondo arabo". È in questo quadro che da anni tengono l'OLP sul filo di un riconoscimento a metà. L'altra metà, fanno capire, la concederanno solo e soltanto quando e se l'OLP sarà pronto a sottoscrivere l'intero diktat degli "imperialisti buoni".

Verso i "diritti del palestinesi "tengono la porta socchiusa, maestri come sono nel coniare formule ambigue (v. riquadro), col ricatto permanente di chiuderla del tutto se essi, per contenuti o anche solo per metodi di lotta, oltrepasseranno i confini del "lecito". I capi riformisti del movimento operaio, succubi di questo vile ricatto non appoggiano di fatto con coerenza la causa palestinese.

Possono le massime potenze imperialiste garantire l'autodeterminazione del popolo palestinese?

Parzialmente differente è la posizione degli USA, sotto il cui quasi esclusivo patronato è lo Stato di Israele, e che non a caso sono in massimo odio alle masse insorte. Lo status quo della regione è, specie dopo Camp David, quello voluto dagli USA. E sebbene dopo il crollo del regime dello Scià e il passaggio del Libano nell'orbita siriana, gli USA si siano indeboliti, dispongono tuttora di solidi "argomenti" per tenere in pugno le forze-chiave dell'area: l'Egitto dipende ad horas dal grano americano, l'Arabia Saudita dal suo apparato militare, Israele dai suoi "aiuti finanziari" e di ogni altro tipo (non si dimentichi che il 5 dicembre scorso l'amministrazione Regan ha concluso con Israele un trattato in base al quale quest'ultimo "godrà dello stesso trattamento del paesi della NATO"). La superpotenza yankee è perciò la meno interessata a cambiamenti dello status quo, preferendo comunque governare direttamente quelli che sono inevitabili attraverso la politica del "piccoli passi" del rapporti bilaterali tra Israele e gli Stati Arabi reazionari con perno su Washington.

Per l'ampiezza degli interessi di sfruttamento e di dominio che hanno nel mondo, e nel medio Oriente in particolare, è evidente che gli USA non possono identificarsi al 100% con questo o con quel capo di governo israeliano. Ciò non toglie che tengano nel massimo conto la posizione complessiva della borghesia israeliana, che è stata ben sintetizzata sul "Corriere della sera" del 23 dicembre: "Nessun governo (israeliano), né di destra né di sinistra, accetterà MAI la nascita, praticamente all'interno del confini attuali, di uno stato palestinese".

Agli USA, del resto, costa poca fatica farsi carico di questa posizione.

Il processo di formazione di uno Stato palestinese, anche nel caso – per noi completamente astratto – in cui dovesse svolgersi senza mettere in discussione l'esistenza dello Stato di Israele, colpirebbe direttamente sia i "vitali interessi" degli USA nell'area, sia quelli del suoi più stretti alleati-subordinati. Se poi dalla cattiva astrazione, si passa all'unica ipotesi realistica di formazione di uno Stato delle masse sfruttate palestinesi, quella per via rivoluzionaria, l'opposizione strenua degli USA risulta ancora più (imperialisticamente) motivata.

Che c'è da sorprendersi se il cosiddetto "Piano Shultz", con cui flirtano i vari Mubarak arabi, non propone altro che quella "autonomia" (o autoamministrazione) del "territori occupati" dentro e sotto Israele che l'OLP e il "Comando unitario della rivolta" hanno già respinto?

E l'URSS? Georges Habash si è detto sicuro che "la nuova politica del compagno Gorbaciov lascerà le sue impronte sulla situazione medioorientale" (intervista a "Il Manifesto" del 25 febbraio), sottintendendo che saranno impronte positive per la lotta del popolo palestinese. Non vi è nulla che autorizzi a crederlo.

Nella complessa storia del rapporti tra URSS e Israele da un lato, URSS e movimento rivoluzionario palestinese dall'altro, mai Mosca ha messo in discussione l'esistenza di Israele, né tanto meno è disposto a farlo in questo frangente. La direzione gorbaceviana, al contrario, sta pilotando un processo di ri-avvicinamento ad Israele. Non è forse vero che, per la prima volta dal '67, una delegazione consolare israeliana si è recata in Russia in gennaio (in piena sollevazione!), mentre da diversi mesi una delegazione di pari grado russa è in Israele? Non si sono forse riaperti, proprio lo scorso anno, i rubinetti dell'emigrazione ebrea dall'URSS, che pompano in Israele forze borghesi e piccolo borghesi quanto mai aggressive, oltre che utili per bloccarne il decremento demografico?

La perestrojka del capitalismo russo abbisogna di buoni rapporti con l'Occidente, dove sono i capitali e le tecnologie cui ambisce. La Russia di oggi, inoltre, per la posizione che ha e per quella che aspira ad avere nella gerarchia imperialista, si guarda bene dal porsi come punto di riferimento di un movimento antimperialista che sempre più, obiettivamente, minaccia l'intero sistema capitalistico. Nel suo discorso per il 70° anniversario della rivoluzione di ottobre, Gorbaciov ha sostenuto senza ambiguità che gli interlocutori della Russia nei nuovi continenti sono "le organizzazioni che rispecchiano i processi del consolidamento interstatale del paesi in via di sviluppo", nelle quali diventa "sempre più manifesta ed attiva la forza dell'originalità e dell'iniziativa" del giovane capitalismo. D'altronde, non è forse con Kuwait, Arabia Saudita, Giordania che l'URSS va intessendo "nuovi" rapporti?

Certo: il governo di Mosca è l'unico, tra quelli delle "grandi potenze", che riconosce a pieno l'OLP. Non altrettanto a pieno, però, riconosce il diritto di autodeterminazione del popolo palestinese. Non appartiene forse a Gromiko la concezione, mai sconfessata, di "uno stato palestinese economicamente legato a (ovvero dipendente da) Israele? E non è stato di recente il "compagno Gorbacev" a dichiarare che l'URSS "si fa garante della sicurezza dello Stato di Israele" (con tutto ciò che questo comporta sulla limitazione, per lo meno, della autodeterminazione palestinese)?

Se si tiene conto, realisticamente, degli interessi materiali che muovono i più forti stati imperialisti, bisogna dedurne che la loro auto-candidatura a "risolvere" il problema palestinese, che essi stessi hanno generato, non promette nulla di buono per la causa della liberazione rivoluzionaria delle masse oppresse.