E intanto si prepara il Congresso

Occhetto ai compagni: vi  propongo di proporre. Ma il menù è già fissato:

capitalismo, oggi e sempre

Con un`intervista" all' "Unità" del 4 settembre scorso Occhetto ha aperto il dibattito precongressuale. Sarà un dibattito "di tipo nuovo", ci si assicura, come si conviene ad un partito in cerca di un "nuovo corso": nessun vincolo di partenza o d'arrivo per la discussione, nessun documento ufficiale di Partito, ma il diritto sovrano per tutti (per restare nell'atmosfera della Rivoluzione Francese "riscoperta" a Firenze!) di "partecipare alla definizione stessa dei documenti", compagni ed... amici (testuale!) esterni al partito.

A noi fa sommamente ridere questo sfoggio di iper-democrazia, di cui è scontato in partenza l'esito obbligato: ancora e sempre capitalismo; apologia della società borghese; vilipendio dell'idea stessa di socialismo. Il "libero dibattito" annegherà ancor più la voce dei proletari in un mare di chiacchiere di "esperti", compagni o amici, cui sarà dato di limare ulteriormente la definizione di un "nuovo corso" già definito ed al quale la protesta proletaria servirà appena da aromatizzante.

Lo sa bene, e ne gioisce, la borghesia "illuminata", e basti leggere il resoconto che dell'"intervista" ha fatto "La Repubblica" del 4-5 settembre per capire con quanta soddisfazione essa saluti il "nuovo corso" e si schieri tra gli "amici" di esso:

"Il PCI volta pagina. Manda in soffitta la lotta di classe, e scrive sulla sua bandiera un nuovo motto: uguaglianza nella diversità... Ne viene fuori l'identikit di un PCI che ha cambiato alcuni dei suoi connotati storici. All'eguaglianza proletaria, Occhetto vuole garantire "un'eguaglianza che garantisca e promuova le diversità"... Per lui il socialismo è "la massima realizzazione delle libertà individuali". Per arrivarci, bisogna superare "la contrapposizione tra Oriente ed Occidente", prendendo dal primo "il momento dell'eguaglianza" e dal secondo "il momento della libertà", perché il mondo è uno, e in esso il PCI sta dalla parte della "sinistra europea", di Gorbacev e di Dukakis (le tre parti spaiate della Trinità neoriformista "forte").

Nessuno sguardo nostalgico all'indietro, è l'avvertimento di Occhetto (a chi?, alla classe operaia "rétro"), perché "non si tratta di riscoprire un'antica identità offuscata, ma di costruire una nuova identità", e il PCI "ha un rapporto non economico-corporativo con le classi lavoratrici" (beccatevi questa!), ma ne vuol rappresentare gli interessi all'interno della "comune eguaglianza nella diversità" (salvo a "scoprire" il giorno dopo sull'"Unità" che da quarant'anni a questa parte il quadro della diseguaglianza di classe è rimasto immutato, ed anzi s'è aggravato in termini relativi!). Tutto il mondo (ma, si noti bene!, tutto il mondo affluente, che è poi l'unico di cui si parla) è paese, tutti siamo, o dobbiamo diventare, "popolo".

Le "tradizioni" del passato

Naturalmente, nessun nuovo parte dal nulla, ed Occhetto si sente in obbligo di dichiarare, col "dove andiamo", il "da dove veniamo".

In primo luogo, si seppellisca definitivamente il richiamo a Livorno '21 (la cosa ci riempie della massima soddisfazione: finalmente il PCI restituisce l'osso!). Questo PCI riconosce le proprie origini nella 'rifondazione compiuta da Granisci con le tesi del congresso di Lione del 1926" da cui, in opposizione alla Sinistra (italiana ed internazionale) "emerse la funzione nazionale" del PCI quale partito meglio di altri "in grado di battersi più conseguentemente per lo sviluppo, la modernizzazione del paese..." ("meno conseguentemente" ci avevan provato altri, tra cui lo stesso Fascismo prima e la DC di De Gasperi poi, vero?).

Togliatti? "Il merito storico" del suo "partito nuovo" sta nel modo in cui "riuscì a incanalare (leggi: fregare, n.) le componenti ribellistiche presenti nelle masse popolari" (in una recente rievocazione degli avvenimenti successivi al ferimento di Togliatti nel '48 si è chiaramente scritto sull'"Unità" che fu allora "scongiurata" - dal PCI, e non dalla DC, colpevole anzi di averne accesa la miccia - l'insurrezione").

Ottime credenziali storiche, non c'è che dire.

E quanto all'idea del socialismo, questo "non può essere concepito come sistema, come traduzione ideologica, come legge". Di sistemi, ideologie, leggi storiche conosciamo quelle del capitalismo soltanto, che è un fatto reale (e quindi, hegelianamente, razionale, o quanto meno razionalizzabile). Semmai, entro questo quadro "real-razionale", parliamo di Occidente ed Oriente e della loro ricomposizione e sintesi, possibile oggi a partire dal seppellimento ad Est delle residue "componenti ribellistiche" dell'Ottobre sovietico.

La sfida è sulla "modernizzazione" su cui "non siamo più solo noi, ma forti componenti del capitalismo, forze dinamiche, nuove a muoversi". Una "modernizzazione" vissuta, però, non in modo subalterno, ma in vista di una "riqualificazione qualitativa", "che però, questo è il punto, non può essere una risposta retorica, ma un'ipotesi da verificare programmaticamente", cioè "tutta da inventare".

Quale "riformismo forte"?

"Riformismo forte", proclama Occhetto. Che vuol dire? Che il sistema attuale non si tocca nelle sue fondamenta, ma va controllato e regolato razionalmente, da parte di tutti i soggetti progressiti "contro ogni visione classista chiusa" (ma le classi e la "chiusura" tra le classi da dove derivano?).

Sacraticamente, Occhetto sa di non sapere quali debbano essere le linee e gli strumenti dell'ipotesi" riformista-forte.

In negativo, si afferma che è ora di smetterla con lo Stato interventista ("noi abbiamo già messo in discussione lo statalismo tradizionale del movimento operaio"), perché l'occupazione dello Stato" favorisce corruzione e concentrazione di poteri economico-finanziari e con ciò il blocco di ogni "slancio progettuale". Verso uno stato... disoccupato? Ma l'occupazione dello Stato" è la causa o la conseguenza (attivamente reagente) dell'occupazione totalitaria della società da parte del capitale? Più capitalismo ("riformato") con minor Stato? Roba proudhoniana che Marx, e la storia, hanno da tempo sepolto nella spazzatura!

(Lo "statalismo tradizionale del movimento operaio" marxista, sia detto di sfuggita, significa una cosa soltanto: non ipertrofia dello Stato "in sé", ma conquista del potere politico statale per andare alla trasformazione economico-sociale e, quindi, all'estinzione dello Stato "proletario" stesso. Ma qui, orrore!, siamo in presenza di un sistema che pretende di aver leggi proprie da imporre...).

"Democrazia economica" quale sinonimo del "riformismo forte" occhettiano. Aprano bene le orecchie i proletari che aderiscono al PCI nella convinzione di trovare in esso la voce della propria indomabile "diversità". C'è un "interesse generale", dice Occhetto, al quale "tutti i soggetti ("classi" è troppo... forte, n.) devono attenersi", sotto la guida di uno Stato "sovrano". Quale eguaglianza? Quella "delle opportunità e dei diritti, dell'informazione, della cultura, della possibilità di accesso ai beni e ai servizi... Un'eguaglianza che garantisca e promuova le diversità...".

I signori sono serviti. A Cipputi le stesse "opportunità" di Agnelli, e poi ognuno al posto che ha saputo conquistarsi. Leggermente diverso, a seconda dei soggetti. Ma che colpa hanno i capitalisti se i Cipputi non hanno saputo mettere in piedi industrie, catene di servizi, network, giornali etc. etc.? La regola di una società in corsa verso la modernizzazione è: vinca il migliore.

E "il migliore" ha già vinto, soprattutto dal momento che chi avrebbe teoricamente dovuto contendergli il primato ha accettato da lunga pezza di fargli da gregario. E quest'ultimo potrà sempre consolarsi dal momento che "ha vinto la "nostra" squadra".

 

Se questo è l'avvio del dibattito precongressuale "comunista" resta ai proletari coscienti il compito di partire di lì... per imboccare la strada in senso inverso.