QUALE SBOCCO

PER LA LOTTA

RIVOLUZIONARIA

DEGLI SFRUTTATI

PALESTINESI

E MEDIO-ORIENTALI?

 

La forzata rinuncia di re Hussein a rivendicare la propria sovranità sulla Cisgiordania è stata salutata, dalla "Intifada" palestinese, come una propria "grande vittoria", un "primo passo verso la formazione di uno stato palestinese". Vero. Attenti, però, alle esagerate illusioni. Nonostante la grande forza che continua a sprigionare, la sollevazione di Gaza e della Cisgiordania è più isolata ed accerchiata che al suo avvio. Non solo per l'attacco combinato che subisce da Israele, dall'imperialismo e dagli stati arabi "fratelli", ma anche perché l'OLP la sta frenando dall'interno e la sta deviando verso uno "sbocco politico di pace" che è illusorio e perdente per le masse oppresse. Quali forze sociali e politiche potranno invertire questo corso?

Quali novità da Palestina e dintorni?

Abbastanza scarse sul fronte degli oppressori. Israele prosegue nella brutale repressione dell'"Intifada", cui affianca - non da oggi, né solo da parte laburista - pubbliche e segrete "aperture" negoziali. La borghesia imperialista d'Occidente, rafforzata dalla débacle dell'Iran, trama con accresciuta intensità perché si arrivi ad una generale stabilizzazione controrivoluzionaria di tutta l'area. Con le mani libere per la completa inerzia dei capi riformisti che l'accusano, paradossalmente, di inerzia, da un lato continua a sostenere a tutti i livelli Israele, pur premendo sulle sue componenti più oltranziste perché sia evitata l'improvvida estensione del conflitto; dall'altro si ingerisce in profondità, con e oltre l'Internazionale socialista, nella vita e nelle scelte dell'OLP. L'URSS di Gorbaciov, per proprio conto e tornaconto, ne asseconda l'opera come non mai, facendosi beffe delle "speranze" in senso contrario degli Habash arabi e nostrani.

Le novità più corpose vengono dal campo palestinese, e precisamente dalla direzione dell'OLP, impegnata in quella che essa stessa definisce "una offensiva (?) politica e diplomatica" su scala mondiale. Il disegno complessivo che vi presiede prevede (v. la recente intervista di N. Hammad a "Rinascita") che il prossimo Consiglio Nazionale vari un governo provvisorio (1), riconosca in qualche modo - con o senza la revisione formale della carta fondativa del 1964 - il diritto dello stato di Israele ad esistere in Palestina e richieda all'ONU di assumere un mandato fiduciario sui "territori occupati". Attraverso tali decisioni l'OLP getterebbe, per la parte che le compete, le premesse per un. negoziato che conduca alla formazione di uno stato palestinese. Avviandosi a portare a termine un cammino da molto intrapreso, l'OLP si prepara quindi alla rinuncia definitiva a quella "liberazione di tutta la Palestina", che il Comando unitario dell'"Intifada", in accordo con la tradizione rivoluzionaria palestinese e araba, aveva ribadito essere il fine ultimo della lotta. E dichiara, con Arafat, di essere disposta a definire, insieme con le massine potenze, "una duratura sistemazione (capitalistica - n.) della regione" (si noti che non sono soltanto i "fissati" dell'OCI a considerare "la regione" il reale campo di battaglia -n.). "Lavoriamo per la pace, esorta il presidente dell'OLP, una pace giusta, una pace equilibrata (l'enfasi è sulla "pace", non sulla liberazione nazionale, né - tanto meno - sulla linerazione sociale -n.), cosicché tutti (Israele inclusa -n.) nella regione possano vivere nella sicurezza" (intervista a "Playboy" di settembre).

Perché e in cambio di cosa la rinunzia a liberare tutta la Palestina?

In cambio che ne verrebbe al "popolo palestinese"? Se si ragiona senza mistificare e si tiene conto di cosa significa, per i suoi protettori imperialisti, la "sicurezza" di Israele, la risposta è inequivoca: un micro-"stato" composto da una fetta di Cisgiordania e dalla sovrappopolata e misera striscia di Gaza. Un che di assai simile, hanno osservato in molti, ai Bantustan sudafricani, interamente dipendente da Israele e dal regno haschemita, dagli stati arabi e, soprattutto, dal capitale imperialista. In cifra è un 10-15% della Palestina, in valore reale meno. È questo lo "sbocco politico" coerente della settantennale lotta rivoluzionaria delle masse palestinesi, che ha scritto e scrive, col proprio sangue, un'epopea ben differente - tanto per dire - dall'operettistico Risorgimento italiano?

A cosa è dovuto un simile disarmo politico che arriva a prefigurare di assumersi "l'onere di atti unilaterali di riconciliazione" proprio nel vivo della più grande dimostrazione di forza mai data dal "popolo palestinese"?

L'enigma non è di quelli insolubili. La direzione dell'OLP, che è nelle mani della borghesia  nazionale palestinese, guarda con crescente preoccupazione ad avversione alla possibile radicalizzazione dell'"Intifada" ed alla sua tendenza a trasbordare in Israele e nel Libano, in Siria e Giordania, e perfino oltre. Se un tale processo si sviluppasse, ad essere minacciati, con gli interessi borghesi arabo-ebrei ed imperialisti, sarebbero anche gli interessi della stessa borghesia palestinese, desiderosa - certo - di acquisire un proprio territorio, ma non al prezzo di pregiudicare gli spazi già conquistati dentro e fuori il mondo arabo e di lasciarsi sfuggire dalle mani il controllo del "movimento nazionale".

"OLTRE IL MURO DI PAROLE"

Tre le sparute iniziative di solidarietà proletaria con la sollevazione palestinese, è stata di particolare interesse quella presa a Bologna dal Consiglio dei delegati della Coop. Emilia- Veneto, che ha proposto alla direzione dell'azienda di interrompere i rapporti commerciali con Israele e ai lavoratori di boicottare i prodotti israeliani.

Apriti cielo! La proprietà "rossa "ha intimato l'alt al Consiglio, minacciando, come ogni padrone che si rispetti, misure disciplinari, con la motivazione, assolutamente democratica, che il mercato è sovrano e la "libertà di scelta del consumatore " non si tocca. A ruota, Zani, segretario del PCI di Bologna, se l'è presa prima con il boicottaggio in genere, che sarebbe una "forma di lotta che isola" (chi da chi?) e poi, più al fondo, con un "vecchio internazionalismo" che è incapace di parlare alla "maggioranza dei cittadini", ai "tanti" giovani e donne, ai quali (sentite un po') si disvela ormai la velleità e l'inganno di un isolamento individuale e narcisistico ("II Sabato"? No, "l'Unità" del 7 maggio).

Niente sovversivismo in casa e bottega riformista. Si continua regolarmente la vendita; a sinistra, avocadi, pompelmi e datteri israeliani; a destra, boccette bianche rosse e verdi di quella "essenza d'internazionalismo" con cui usa profumarsi, nelle grandi occasioni, anche il cittadino Andreotti.

Rifacciamoci il palato. "Per noi - ha dichiarato uno dei delegati colpevoli di "tentato internazionalismo"- il boicottaggio era un voto palese contro la politica aggressiva di Israele, una protesta che va al di là delle indignazioni formali e talvolta (sempre, se ci permetti la correzione) ipocrite di certe forze politiche". E poi. "I lavoratori devono dimostrare nei fatti la solidarietà con i giovani operai oppressi e massacrati nei territori occupati da Israele". Detto a perfezione! Andiamo avanti, dunque, oltre il "muro di parole"e contro la complicità dei dirigenti riformisti, per lottare con più decisione contro il sostegno dell'imperialismo italiano a Israele.

Per lo stadio raggiunto dal sistema capitalistico mondiale al quale le classi proprietarie egemoni nell'OLP sono - pur da dominate dall'imperialismo - legate, per lo stadio cui è pervenuta la lotta antimperialista in Palestina e regione, gli interessi borghesi sono sempre più difficili da comporre con quelli degli "shabab", i giovani lanciatori di pietre, e di tutti gli sfruttati. Ci provano e ci riprovano gli "oppositpri" piccolo-borghesi della maggioranza arafattiana dell'OLP, propugnatori di "alternative di sinistra" sistematicamente votate al fallimento, perché tese a conciliare, nella lotta antimperialista, forze sociali che propri questa lotta sempre più divide e polarizza.

Se la direzione dell'OLP si predispone ad uno "scambio" tanto diseguale; se si guarda bene dal fornire alla "Intifada" parole d'ordine e metodi di lotta più avanzati di quelli che le masse "spontaneamente" esprimono, impegnandosi al contrario a moderare le une e gli altri; se delimita ferreamente al terreno nazionale il contenuto della lotta palestinese, escludendo qualsiasi programma sociale rivolto anche alle masse lavoratrici dell'area; se la direzione dell'OLP paga preventivamente il sempre più evanescente "sostegno" dei governi arabi con la sempre più rigorosa consegna del non-disturbo nei loro "affari interni" (che Siria e soci ripagano a dovere!); se da ciò consegue, tra l'altro, la passivizzazione delle masse palestinesi disperse e schiacciate dentro il mondo arabo; se nei "territori" si spingono i "comitati popolari" ad assumere un profilo sempre più tecnico-amministrativo, cercando di depotenziarne la funzione politica embrionalmente "sovietica"; se in Israele l'OLP privilegia il dialogo con le direzione del Labour e del Mapam invece di quello, certamente complicatissimo ma in prospettiva l'unico che può dare frutti, con i lavoratori; se in Occidente, a preferenza della classe operaia e perfino delle sue modernissime "rappresentanze", si sceglie quale partner e tutore decisivo della causa palestinese la borghesia "democratica"; se la direzione dell'OLP legittima l'ONU, proprio l'istituzione borghese-imperialista che sancì la spartizione neo-coloniale della Palestina, come il naturale protettore di fiducia dei palestinesi; non è per singoli, contingenti "errori" o per cedimenti dovuti a sfavorevoli rapporti di forza, domani correggibili o rovesciabili dall'OLP stesso. È  la linea complessiva, programmatica e tattica, dell'OLP, che agisce, e non da oggi, da fattore di freno all'approfondimento ed alla estensione della lotta rivoluzionaria antimperialista e anticapitalista degli sfruttati palestinesi e arabi.

Due modi di lottare contro Israele e l'imperialismo

L'esperienza palestinese torna a confermare, così, una vecchia verità marxista: due sono le vie, i metodi, i modi di lottare contro la dominazione imperialista; la via borghese è contrassegnata dalla esitazione, dalla incoerenza, dallo spirito si conciliazione con l'imperialismo, dalla permanente ambiguità, perché la borghesia nazionale, nel mentre lotta contro la borghesia imperialista, ha un secondo fronte aperto: contro il costituirsi del proletariato in formazione, in polo di classe autonomo; l'altra via è quella del proletariato, che è materialmente interessato a portare a termine con la massima coerenza e radicalità i "compiti borghesi", proprio perché prende parte alla lotta nazionale non per assecondare le aspirazioni della "propria" borghesia, ma per spianarsi la strada verso la propria completa liberazione.

È del tutto falso che la prospettiva fissata (su posizioni sempre più arretrate) dalla direzione dell'OLP sia l'unica soluzione possibile per la lotta palestinese. Un sempre più ravvicinato ed unitario seguito di eventi, che si dipana tangibilmente per lo meno a partire dalla insurrezione di Tall el-Zaatar e culmina, per ora, nella "Intifada", ha portato sulla scena ad un tempo sia la soluzione alternativa coerente con le necessità delle masse super-sfruttate, che le forze sociali che possono e debbono metterla in atto.

La causa della liberazione nazionale palestinese non può essere racchiusa, se non altro (ma c'è altro, come abbiamo visto) per come è ormai strutturata la regione medio-orientale e per come sono stati dispersi i palestinesi, entro i confini della semplice formazione di uno stato nazionale palestinese. Tanto meno se si tratta di un (mini)stato, che non riuscirebbe ad essere tale, forse, neppure di nome. Lungi dal poter rinuciare alla liberazione di tutta la Palestina, la causa della completa emancipazione delle masse oppresse palestinesi e medio-orientali, che è la medesima del proletariato metropolitano, esige invece il rivoluzionamento dell'intera area, la distruzione rivoluzionaria dello stato di Israele e degli stati borghesi arabi con esso confinanti e in vario modo cooperanti in chiave anti-proletaria - nonostante e perfino durante le ripetute guerre - e la sostituzione di questi apparati capitalistici con una "federazione di popoli capaci di 'autodecisione' attraverso i loro soviet di operai, contadini e lavoratori poveri" (così il "Che fare" n. 8, sulla scia dell'Internazionale Comunista). Soltanto per questa via si potrà arrivare, contro e non certamente sotto la supervisione delle massime potenze imperialiste e dell'ONU, a sbrogliare la intricatissima matassa prodotta dal colonialismo e dal neocolonialismo, per instaurare quella reale convivenza fraterna tra lavoratori arabi ed ebrei, beduini e palestinesi, tra contadini poveri e diseredati di ogni fede e nazionalità, che qualsiasi "pace" capitalistica ha reso, rende e renderà una chimera, quand'anche alla sua conclusione prendesse parte, con "pari dignità", la stessa OLP.

Per poter vincere, questa guerra di liberazione ha bisogno, certo, di immense energie. Queste energie, ancorché parzialmente congelate, ci sono! Proprio l'"Intifada" ne fa, da ultimo, prova. Se una sollevazione nata spontaneamente e co-diretta (per lo meno) da una politica conciliatrice è stata in grado di fare tanto, di cosa saranno capaci le masse oppresse se e quando mobilitate, organizzate e dirette con decisione al proprio scopo?

Per poter vincere la guerra contro lo stato di Israele e contro l'imperialismo, il giovane proletariato degli "shabab" dovrà emanciparsi dalla direzione dell'OLP almeno quanto quello della regione deve sbarazzarsi dalla guida dei "suoi" Berri, degli el-Assad, dei Peres e delle eminenze grigie islamiche. Questo è possibile! Se già oggi, nel relativo isolamento, la sollevazione di Gaza e della Gisgiordania ha creato condizioni nuove nelle quali l'egemonia dell'OLP è "minacciata dalla esistenza di una direzione nazionalista indigena" ("Le Monde Diplomatique"), islamica e non, più radicale, cosa avverrà quando altre masse di proletari e di poveri entreranno in movimento nella regione e nel mondo?

"E' difficile - riconosce N. Hammad - convincere i giovani palestinesi protagonisti dell'"Intifada" che Israele (lo stato di Israele, s'intende -n.) non è solo quello che si manifesta ogni giorno... nelle strade di Gaza e della Cisgiordania" attraverso l'uso dei migliori gingilli dell'industria bellica democratica e "socialista". Sì, è e sarà difficile "convincerli" a sottoscrivere una "pace" definitiva tanto amara con lo stato che li opprime e con la borghesia che li sfrutta. Ma supponiamo pure che un concorso di fattori internazionali e locali, cruenti e "pacifici", esterni ed interni al movimento, riesca a dividere e disorganizzare momentaneamente le masse in lotta, costringendole a ripiegare su una tale "pace" come male minore o, addirittura, come pur sempre un avvio alla soluzione del problema. Se dovesse andare così nell'immediato, saremmo sempre e a maggior ragione sino in fondo dalla parte degli sfruttati palestinesi e medio-orientali per incitarli ad andare avanti, a non sottovalutare la propria forza, a darsi un programma di battaglia nazionale e sociale insieme, a ricostruire su nuove basi la propria unità, la propria organizzazione e il proprio armamento, a ricercare gli alleati in medio-Oriente e in Europa nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro, ad avere la fiducia più completa nella vittoria della rivoluzione.


(1) È interessante come ha reagito il governo israeliano in carica a queste intenzioni. Peres ha dichiato secco: "I laburisti israeliani sono disponibili a trattare con l'OLP in cambio del riconoscimento dello Stato di Israele". Shamir, per parte sua, ha fatto sapere che il recente indirizzo dell'OLP contiene "elementi positivi", anche perché "avrà una sua influenza sugli Stati arabi del fronte degli intransigenti, costringendoli ad accettare l'esistenza di Israele e forse negoziati diretti" ("la Repubblica" del 27 agosto). Come si vede, anche il boia Shamir, tramite Ceausescu o altri comuni amici, una porticina per una dialogo fruttuoso con l'OLP- contro l"`intransigenza" attuale o potenziale delle masse palestinesi e arabe - la mantiene aperta... Certo, non gli basta neanche il presente conciliatorismo dell'OLP e dei supporters "pacifisti" dell'OLP, per cui continua a martellare con le armi e con la diplomazia chi con agita altro che ramoscelli d'olivo...