L' "enigma URSS" e i suoi "disvelatori"

 

Dell'URSS garbacioviana abbiamo già scritto abbondantemente, non fermandoci alla superficie degli "avvenimenti nuovi", ma andando alle loro radici ed ai prevedibili loro sviluppi. Ci torneremo sopra - in altra sede - con un lavoro più complessivo. Valga, per intanto, questo memento riassuntivo di alcuni problemi di fondo su cui non si richiamerà mai a sufficienza l'attenzione dei compagni

L'URSS si trova in una fase di transizione, dicono tutti. Bene. Ma quale ne è il movimento di partenza e d'arrivo?

Dall'apologia dello stanilismo...

Nell'ambiente che, in modo del tutto approssimativo si definisce "filorusso" (e che noi qualifichiamo piuttosto come neostalinista, in tutte le sue variopinte sfumature), cresce l'apprensione per possibili, eccessive "aperture" al capitalismo. Questo milieu riesce, perlomeno, ad intendere che dietro certe categorie del "nuovo" e potenziato "mercato socialista si annida il capitalismo tout court. L'incompatibilità tra leggi del socialismo e quelle del capitalismo resta presente ad esso, ma a partire da una concezione del socialismo (e non della semplice transizione) pienamente ed esclusivamente stalinista. In sostanza: il "socialismo in un solo paese" di Stalin aveva connotati diversi (e questo è vero) da quelli gorbacioviani (o, prima, kruscioviani); rispetto alle attuali "riforme" rappresenta un "modello" suscettibile di sviluppi, ma non di trasformazioni strutturali, pena la ricaduta nel capitalismo. "Ideologia Proletaria" (un polpettone "teorico" in cui confluiscono gli apporti di vari gruppi e personalità del "milieu") già suona l'allerta nel suo ultimo numero contro una tale evenienza, attingendo generosamente agli esponenti sovietici antiperestrojka (beninteso, dopo aver cossuttianamente esaltato la perestrojka a suo tempo quale ennesima "prova di vitalità", del "socialismo reale").

Una simile fanfaronata è avvalorata dall'"antistalinismo" sparso a piene mani dai rinnovatori sovietici, ma non regge al benché minimo esame. Come spiegare i giri di boa attuali? Col "complotto"? Riesumando "gli eredi delle vecchie classi spodestate dall'ottobre" (Antonov)? Proprio Marx motiva il fatto che il socialismo, una volta effettivamente realizzato, rappresenta un traguardo irreversibile, in forza del suo carattere ogettivo di sistema economico-sociale superiore rispetto al capitalismo (ciò che vale "per tutti e per ciascuno"). Per apparire un tantino seria, la teoria "complottista" dovrebbe ammettere la persistenza ed il rafforzamento, alla base della società, di elementi capitalisti in sviluppo rispetto ad elementi socialisti che stentano a decollare. Ma ammettere ciò significherebbe per essi vedere che è borghese il terreno di proliferazione di questi fenomeni, mentre lo si è vantato - e si vanta - "socialista". La borghesia non "sta in agguato" senza solidi contrafforti su cui ergersi e far partire i suoi colpi. Tirare in ballo i nipoti o bisnipoti delle classi spossesate nel '17 non ha più senso del ricorso alle maledizioni bibliche che si trasmetterebbero di generazione in generazione (settanta volte sette) o l'immancabile "istinto alla proprietà" insito nella "natura umana".

Ma come potrebbe un buon neostalinista ammettere che l'attuale corso procede dal (vilipeso) babbo Stalin, così come in Cina Deng procede da Mao? Più facile imboccare la strada della "difesa del vero socialismo di Baffone. Con un doppio effetto: di trincerarsi su barricate indifendibile controrivoluzionarie, contrastando gli effetti macroscopici di un processo a prescindere dalle cause predisponenti di esso.

Come abbiamo insistentemente sostenuto da sempre, il "nuovo corso riformatore" in URSS è sì contrastabile da un punto di vista proletario, purché ne siano messi in causa i presupposti derivati dallo stalinismo. In caso contrario, la perestrojka non solo risulterà storicamente irrinunciabile, al di là delle contingenze, ma persino "progressiva" rispetto ai "modelli" anteriori, ch'essa sviluppa e supera.

Sul piano delle conseguenze sul proletariato, la linea staliniano-tradizionalista di difesa del "vero socialismo" vecchio stile porta direttamente a consegnare gli interessi di classe ad un apparato burocratico che può presentarsi come antiborghese solo in quanto meno direttamente interessato allo sviluppo dei meccanismi di profitto (bastandogli lucrare quanto gli occorre sul piano della ridistribuzione, anche se di basso profilo globale, quantitativo e qualitativo); ma non per questo svincolato dai meccanismi di sfruttamento di classe all'interno della logica capitalista (il famoso "mercato socialista"!), cui, anzi, doppiamente risponde, quanto a struttura del sistema e quanto a suoi ritardi rispetto ad essa.

È nella natura di questi campioni di "ortodossia" stalinista reagire all'insidia capitalistica occidentale (vale a dire alla locomotrice dell'intiero convoglio capitalista) basandosi su un "modello" arretrato economicamente e completamente degenerato politicamente. Per costoro, erano nemici "obiettivi" ieri i proletari in rivolta di Berlino '53, Budapest '56, Polonia '56, '68, '70, '80, '88 e da nemici saranno trattati i proletari sovietici di domani in lotta per la propria affermazione autonoma di classe. Il loro "socialismo" non potrebbe essere altro che quello della KGB, degli alti papaveri "a servizio del popolo" et similia. (Si consolino, non solo soli: ad affiancarli, oggi, ci sono anche segmenti di presunto "trotzkismo"...).

... all'apologia del liberalismo

Un'"opposta" tendenza si schiera decisamente con Gorbacev, salutato quale campione di "antistalinismo" e socialismo "rinnovato", cui si rimproverano, semmai, i ritardi nell'attuazione dei progetti enunciati.

Questa parte (che comprende, ad esempioi, PCI, DP, LCR, socialdemocratici, liberali e democristiani... nell'ovvia autonomia di ciascuna componente) tuona contro il precedente iperstatalismo non in quanto ne è protagonista lo stato del capitale contro il proletariato ed in quanto pars construens dell'unitario sistema capitalista internazionale, ma in quanto illeggittima espropriazione degli spazi di "privata libertà" (politica ed economica) dei "molteplici soggetti" che costituirebbero la "società civile".

Qui l'apologia del capitalismo sotto la classica specie occidentale raggiunge il colmo. Se da un lato la produzione ristagna e dall'altro sono compresse le libertà civili ciò si deve alla scarsa libertà di mercato (delle idee e delle merci, a cominciare da quella costituita dalla forza-lavoro operaia).

Abbiamo mostrato, prendendo in esame il campione DP, come un falso "antistalismo" possa concludersi nel più sperticato pro-capitalismo occidentale (senza il quale, tra l'altro - ed è punto centrale! - neppure il fenomeno stalinista si spiegherebbe, né sul piano economico né su quello politico, reciprocamente legati tra loro).

In opposizione alla linea "filorussa", gli esponenti più "estremisti" (si fa per dire...) di questa tendenza vedono per i proletari sovietici la necessità di lottare contro la vecchia burocrazia dell'"epoca della stagnazione", ma, ancora una volta, per subordinare ad "altri" il loro destino: e questi altri sono i nuovi borghesi, urbani e contadini, le classi medie dell'"intelligencija", i padroni "liberals" della politica e dello Stato (cioè, un ultima - e non prevista istanza - il grande capitale).

Qualcuno ha addirittura l'ardire di richiamarsi, per tutto ciò, a Lenin (o Bucharin): la "terra ai contadini" (con l'aggiunta: le fabbriche ai managers; la piccola industria ai proprietari individuali...), mistificando una fase di lotta economico-sociale e politica a scala russa ed internazionale come un "ideale" ad aeternum, infinitamente al di sotto della pur squallida ideologia delle "comuni" e dell'"autogestione" della scuola anarchica classica.

Aggiungiamo che questo messeri sapranno ulteriormente condire il loro minestrone, all'occorrenza, addossando gli inevitabili squilibri che un tale sviluppo capitalista incontrerebbe in URSS alla pressione dell'imperialismo "esterno", colpevole di perturbare il "corso normale" dello sviluppo "interno" (!!!). Chiacchiere del genere si sono già intese riguardo il caso polacco: qui la sintonia tra neostalinisti e liberali di sinistra è, una volta tanto, perfetta!

L'abbiamo detto, nel settore "liberal" ogni parte gioca per sé. I picisti, ad esempio, sono all'avanguardia - ma non soli! - nell'esaltare le varie perestrojke rendendosi ben conto, e dichiarandolo, che esse costeranno sacrifici ai proletari, i quali sono cortesemente diffidati dal rompere i coglioni per ciò, visto che sono in gioco "i destini generali". Pertanto, non c'è risparmio di bacchettate sulle mani agli insubordinati polacchi, o ai riottosi loro vicini ungheresi e tutti gli altri schiavi salariati dell'Est in vena di "angusti corporativismi". Si legga su "Rinascita" a proposito del caso jugoslavo: "... Le proteste dei lavoratori, per molti versi comprensibili date le difficoltà in cui versano le famiglie..., rischiano di tornare utili a quanti avversano la riforma economica e intendono bloccarla. In tal caso, infatti, si cerca di rimuovere la protesta accordando aumenti economicamente ingiustificabili..." e se "la riforma economica farà sentire (ove coerentemente attuata, n.) il suo morso con maggior durezza" questo è nelle cose... giustificabili e necessarie. (n. 32, 10 settembre).

Una tale posizione ha, perlomeno, il merito di parlar chiaro e borghesemente con piena giustificazione logica. Che dire, piuttosto, di quelle frange (vedi LCR) che propugnano lo stesso tipo di riforma in ordine alle strutture da cui essa muove ed a cui essa obbedisce, ma dando a bere che, sotto un "maggior (!) controllo operaio", riuscirebbe indolore per il proletariato? In questo caso, la mistificazione è doppia, e doppiamente vomitevole.

Breve ponte per le puntate successive

La libera" espansione dei classici raporti proprietari capitalistici dipende, in URSS e in tutto l'Est, dall'esaurirsi delle potenzialità del precedente ciclo precedente, all'insegna dei "metodi" stalinisti di centralizzazione "dispotica" dei meccanismi economici. Ne è quindi la figlia leggitima e necessaria. Il proletariato di quest'area non potrebbe utilmente reagire a questa tappa "ultima" del complessivo sistema di schiavitù salariata cui è sottoposto accodandosi alle esigenze dello sviluppo borghese rivendicandosi a parte un qualche presunto spazio di libertà politica (è qui tutta la lezione della lotta di Lenin contro la vecchia socialdemocrazia russa e internazionale che oggi si rivernicia, magari, di colori LCR); meno ancora lo può fare delegando i propri interessi ad una burocrazia parassitaria ed immobilista capace solo di frenare regressivamente il corso obbligato di cui sopra.

Il proletariato dell'Est può bensì riconoscere la propria identità di classe rivoluzionaria e proiettarsi sino alla presa del potere. Dopo di ciò, e in stretta unità col processo internazionale della rivoluzione, potrà cominciare a smantellare in avanti i meccanismi della produzione mercantile, per il profitto, ed i rapporti giuridici di proprietà che ne derivano. A settant'anni dall'Ottobre questo compito "economico" resta tuttora difficile, ed impossibile anzi nel chiuso di un paese solo, ad onta di tutti i progressi negli indici di produzione.

Questo nessuno dice, noi - e quattro altri gatti - felicemente esclusi.