ALLA DANIELI (UDINE)

LO STILE FIAT

HA FATTO SCUOLA

Le trattative per la definizione del contratto integrativo aziendale alla Danieli di Buttrio -la società friulana specializzata nella progettazione e realizzazione di impianti di laminazione e acciaierie - sono ancora al palo di partenza, bloccate da un atteggiamento della direzione aziendale ripetutamente denunciato dalla FIOM, da oltre due anni a questa parte, come arrogante, autoritario e antisindacale.

L'ultima vicenda, in ordine di tempo, si è spostata nelle aule della Pretura, per una denuncia da parte di una quindicina di lavoratori a tutela del diritto alla fruizione del periodo di ferie previsto per l'87, che l'azienda aveva in parte monetizzato, con decisione unilaterale.

Qual'è stata la causa del deteriorarsi dei rapporti in questa fabbrica che fino alla metà degli anni '80 veniva unanimemente indicata, in ambito sindacale, come un invidiabile modello di corrette relazioni industriali, una concreta dimostrazione della possibilità di coniugare crescita industriale e miglioramento della condizione operaia? Si ricorderà che proprio in quel periodo la Danieli aveva assunto una serie di "clamorose" iniziative in contrasto con la linea della Confindustria, quali il mancato riconoscimento della disdetta della scala mobile nell'82, il precontratto dell'83 e il pagamento dei decimali di contingenza nell'84. "Nel Gruppo Danieli i rapporti sindacali - anche negli scorsi anni - sono stati impostati sulla dialettica e sul confronto, senza che ci fossero cioè, pregiudiziali ideologiche da parte dell'azienda", secondo un giudizio largamente positivo del segretario della FIOM udinese Dario Forgiarini (Meta, luglio/agosto 1985),  che evidenziava il raggiungimento di obiettivi significativi su temi di grande rilievo sia per il sindacato che per l'azienda, quali quelli "dell'organizzazione del lavoro, dell'introduzione delle nuove tecnologie e dell'informatica, degli investimenti, dell'occupazione e del salario", garantendo il "riconoscimento pieno del ruolo contrattuale del sindacato" all'interno dei processi organizzativi e produttivi ed un preventivo confronto con il c.d.f. "sull'organizzazione del lavoro all'interno dei reparti e degli uffici".

Avvalendosi di una pressoché totale mancanza di conflittualità interna e sfruttando a proprio favore la crisi dell'acciaio - grazie all'introduzione di nuove tecnologie produttive, volte alla riconversione dei grandi impianti ed alla realizzazione di mini acciaierie "chiavi in mano" - il Gruppo Danieli ha sviluppato una costante progressione del proprio fatturato, che nell'esercizio '86/87 ha superato i 580 miliardi, rispetto ai 150 dell'82/83, con un aumento degli utili da 10,1 a 44,3 miliardi.

L'azienda è così riuscita a collocarsi tra le prime 5 aziende mondiali nel settore siderurgico per impianti lunghi, aggiudicandosi numerose commesse negli USA e soprattutto nei paesi dell'Est (in particolare nell'Unione Sovietica, dove - nel luglio '87 - è giunta a "sponsorizzare" il lancio verso Marte del razzo Phobos 2) e potenziando la propria dimensione strutturale con l'acquisto della società svedese Morgardshammar - Ab (specializzata in impianti di laminazione per acciai speciali) e del 3% del capitale Falk (onde garantirsi ulteriori nuove tecnologie).

E' a questo punto che il teorema: sviluppo industriale = benessere dei lavoratori (la cosiddetta "politica dei redditi") dimostra la propria insussistenza e impossibilità realizzativa.

Il pieno inserimento della Danieli sul mercato internazionale - con le sue ferree regole concorrenziali - ha portato ad un completo allineamento dell'azienda sullo stesso piano delle altre grandi industrie. In sintonia con la strategia padronale a livello nazionale, infatti, anche la Danieli non si accontenta di puntare ad una produttività aggiunta, ma vuole avere mano libera sull'intera organizzazione del lavoro. Ogni rapporto "partecipato" e concordato con i lavoratori diviene incompatibile con gli obiettivi ristrutturativi, con la mobilità e la flessibilità. La direzione si dimostra sempre più chiusa alle richieste in materia di ferie, permessi e riposi. Peggiorano rapidamente le condizioni generali di lavoro anche per quanto riguarda i carichi, le turnazioni, l'ambiente e la nocività, mentre aumentano a dismisura le contestazioni e i provvedimenti disciplinari. Le stesse rappresentanze sindacali dovrebbero assumere - nell'ottica padronale - il ruolo di semplice mediatore tra l'autorità dell'azienda e l'autodifesa dei lavoratori.

Quello che la Danieli vuole, in sostanza, è un potere assoluto all'interno della fabbrica. Per raggiungere tale obiettivo è indispensabile una profonda divisione dei lavoratori, perseguita con incentivazioni e premi individuali a chi accetta supinamente gli ordini aziendali e favorita dall'azione della FIM/Cisl, fedele e prezioso "alleato".

Affinché non sussista alcun dubbio sulle proprie intenzioni di negare ogni spazio di abilità politica ai lavoratori, la direzione parte decisamente all'attacco dei delegati che non accettano di essere integrati nel nuovo modello, con spostamenti di reparto - motivati con esigenze di mobilità - e con limitazioni all'attività sindacale, fino alla minaccia o addirittura all'attuazione dei licenziamenti.

È il caso dei due delegati "scomodi" Zamò e De Martin, il primo - rappresentante FIM - licenziato con il pretesto di un presunto esubero proprio all'indomani di una contrastata ristrutturazione costata ben 130 posti su poco più di un migliaio di dipendenti, ed il secondo - decisivo pilastro della FIOM - entrato nel mirino dell'azienda per averne "appannato" l'immagine nello svolgimento dell'attività sindacale (in cambio del suo allontanamento era stato offerto un rapporto privilegiato con la CGIL e la disponibilità a "formare" nuovi delegati preventivamente individuati dalla direzione e, naturalmente, ad essa graditi).

Lo scontro si trasferisce immediatamente all'interno del c.d.f., dove la FIM si dimostra particolarmente attiva e conseguente nel sostenere le ragioni dell'azienda, sino al punto di boicottare lo sciopero contro il licenziamento dello Zamò (passato, da allora, alla FIOM), dopo avergli tolto ogni copertura legale nell'azione giudiziaria intrapresa per il suo reintegro.

Ma l'opera di divisione messa in atto dalla FIM - in nome dell'unità dei lavoratori, ben s'intende! - non si limita alla sola Danieli, giungendo ad investire i c.d.f. dell'intero comprensorio udinese - investiti del "caso De Martin" - le cui componenti FIM rifiutano la richiesta solidarietà sulla base di una comune vergognosa "velina" che definisce la "manovra" della FIOM una perdita di tempo inopportuna, strumentale e polemica, montata per un caso inesistente e nata "dai vostri cattivi rapporti con la Danieli (che sono e restano affari vostri)".

Altrettanto disgregatrice e filo-padronale è la posizione della FIM/Cisl in merito alla recente vertenza giudiziaria sulla monetizzazione delle ferie, particolarmente sentita da larghi settori di lavoratori che vedono continuamente contrastata ogni prospettiva di effettiva riduzione dell'orario di lavoro. La determinazione nel voler tutelare - anche per via giudiziaria - un diritto "costituzionalmente garantito", viene considerata una scelta sbagliata della FIOM "che, ancora una volta, ha fornito all'azienda il pretesto per poter agire unilateralmente". Constatando poi che "l'atteggiamento di mera protesta e strumentalizzazione dei problemi porta all'irrigidimento dell'azienda con conseguenti impossibilità di dialogo", preannuncia l'avvio di trattative separate sulla piattaforma integrativa.

Le preannunciate ritorsioni - guarda caso - si verificano puntualmente, con la denuncia unilaterale da parte aziendale del vigente accordo in materia di ferie e permessi, con una ridicola e pretestuosa motivazione che confonde il diritto al godimento delle ferie con le modalità per l'effettiva fruizione.

Non si arriva, tuttavia, allo scontro frontale. I delegati FIOM preferiscono aggirare l'ostacolo; facendo presente "che il c.d.f. come tale non ha mai promosso una causa contro l'Azienda nè tantomeno sostenuto le posizioni da Voi contestateci", per cui la disdetta dell'accordo non è ritenuta valida. L'azienda, dal canto suo, propone in extremis di addivenire ad una conciliazione tra le parti, per evitare la sentenza pretorile, rinviando ad una apposita trattativa la definizione dell'intera materia.

Indipendentemente da quello che potrà essere l'esito della vertenza è possibile trarre sin d'ora alcune conclusioni utili per la futura prospettiva.

È definitivamente crollata, innanzitutto, l'illusione di una possibile crescita parallela per l'azienda e i lavoratori, secondo la visione tenacemente sostenuta dalla Cisl. Al contrario, il "boom" alla Danieli ha comportato una smisurata crescita del suo potere economico e politico, coincidente con un drastico attacco alle condizioni di lavoro.

In questa fase non è in gioco solo una parte del salario o della normativa, ma la stessa forza e indipendenza dei lavoratori, la loro capacità di rispondere agli attacchi attuali e a quelli indotti dalla crescente concorrenza interna e internazionale (e non solo a partire dal fatidico 1992!).

Il problema centrale, in questo quadro, resta quello della effettiva tenuta e crescita della forza complessiva dei lavoratori. Pur mancando una lunga tradizione di forti lotte rivendicative, essi hanno manifestato in ripetute occasioni la loro rabbia e volontà di ripresa, soprattutto nel settore operaio (che, nel recente rinnovo del c.d.f. ha "premiato" la FIOM con il 72% dei voti espressi e 10 delegati, contri il 28% e tre delegati della FIM). L'allineamento della fabbrica con i propri partners produttivi ed il conseguente abbattimento delle condizioni salariali e normative dei dipendenti ha comportato anche la necessità di un maggior collegamento con gli altri lavoratori del comprensorio e del settore, favorendo importanti momenti realmente unitari. Questa unità - profondamente sentita - va ulteriormente cementata con un'azione chiara, senza tatticismi o tentennamenti nel bollare le responsabilità antiunitarie della FIM/Cisl o la politica del padronato (come invece appare dalle prodenti dichiarazioni rilasciate alla stampa locale dal nuovo segretario generale CGIL del comprensorio udinese, Mario Zarl secondo cui "lo stile FIAT nelle fabbriche fiulane non ha fatto scuola").

La piattaforma integrativa aziendale deve perciò diventare un fondamentale momento di lotta e verifica unitaria, sui seguenti obiettivi:

 - limitazione dello strapotere aziendale e ritorno all'agibilità politica e sindacale dei lavoratori;

 - forte recupero salariale e rifiuto dello scambio salario/produttività; diminuzione reale dell'orario di lavoro;

- lotta alla nocività e al degrado ambientale;

- conferma in pianta stabile dei lavoratori in contratto di formazione.