FIAT, OCCHETTO,

FORMICA...

E I DIRITTI NEGATI

Nello stesso momento in cui preparava la sua ennesima "svolta" riscoprendosi "figlio" dei girondini e della rivoluzione francese purgata dal terrore, Occhetto lanciava in grande stile la campagna contro le limitazioni dei diritti dei lavoratori all'interno degli stabilimenti Fiat.

Finalmente, viene da dire! Anche se ciò che aveva fatto sussultare il PCI non erano stati i licenziamenti per rappresaglia all'Alfa, nè le sospensioni ed i trasferimenti all'ordine del giorno negli stabilimenti Fiat per chi non è disposto a subire il modello di Romiti. Ciò che emblematicamente è stato assunto a caso è quello di Molinaro e di operai e tecnici che per la tessera sindacale (naturalmente Fiom) che avevano in tasca non hanno potuto far valere la loro professionalità; tanto che lo slogan che più si attaglia alla politica aziendale contro cui si è svolta questa campagna è quello che recita "Vuoi fare carriera? Non scioperare! ".

Non abbiamo alcuna preclusione di principio contro i "livelli superiori" del lavoro salariato, ma ben altri dovevano essere i casi presi ad emblema sulla questione della repressione in fabbrica.

La normalizzazione di Agnelli ha prima proceduto attraverso il licenziamento e la messa in cassaintegrazione (le famose liste di proscrizione) dei delegati e degli operai più combattivi. In seguito sono state progressivamente smantellate quelle libertà, sia formali che informali, che la lotta degli anni precedenti aveva permesso di conquistare negli spazi angusti della disciplina di fabbrica. Indirizzati da precise disposizioni fornite dagli uffici del personale, capi e guardioni si scatenano, ogni giorno, nella "caccia" agli operai trasgressori:  multe e sospensioni per chi è trovato fuori linea (magari per urgenti necessità fisiologiche), per chi, non resistendo ai ritmi parossistici, si concede una pausa "fuori contratto". Sotto tiro è innanzitutto l'organizzazione operaia. La precisa volontà della Fiat è di schiacciare e scompaginare l'organizzazione sindacale degli operai. A questo scopo vengono, di fatto, creati reparti confino (UPA) in cui, accanto agli invalidi, vengono confinati gli operai che "danno fastidio", pressioni continue, ricatti, minacce vengono esercitate verso chi ha la tessera Fiom in tasca.

Parallelamente procede l'intensificazione dei ritmi e l'aumento dei carichi di lavoro con i conseguenti peggioramenti delle condizioni di lavoro nelle officine. Si moltiplicano gli infortuni (molte volte camuffati dalla direzione sotto forma di malattia) e le malattie professionali, peggiora l'ambiente di lavoro.

Insomma: tutto l'armamentario repressivo è messo in campo da Agnelli alla Fiat-Alfa per stroncare ogni resistenza (Alfa) o ogni possibilità di farla in futuro in modo organizzato (Mirafiori) ai progetti aziendali di risturtturazione ed organizzazione del lavoro.

Nel fuoco della polemica e del battage, giornalistico e non, che ha contraddistinto la questione è, semmai, sembrato che quello della Fiat fosse, non già un caso eclatante, ma una realtà specifica, quasi residuale, in un panorama che sarebbe, invece, caratterizzato da tutt'altra atmosfera nel campo dei rapporti padroni-operai. Sembrerebbe, come hanno affermato Benvenuto e Morese, un caso "anomalo" e come tale da ricondurre nella norma col confronto e la trattativa. E qual'è questa normalità? Forse quella delle fabbriche di Lucchini, o quella di Porto Marghera? Non può essere che così, perché il modello di Romiti costituisce una guida funzionale ed efficiente per garantire al padronato degli eccellenti risultati in termini di produttività e profittabilità. Una più incisiva campagna contro la repressione padronale in fabbrica non poteva esimersi dalla denuncia della generalità dei comportamenti antisindacali nei confronti dei lavoratori e dalla conseguente mobilitazione di TUTTI I LAVORATORI.

Nulla di ciò è stato fatto. La via scelta dal PCI è stata, invece, la più inconcludente (per la classe operaia) e la meno mobilitante possibile: quella della petizione e della denuncia alle "autorità competenti", al Ministro ed a Cossiga.

Commentando in quei giorni, con una nota sul Manifesto, la repressione in Fiat, Novelli (che tutto è fuorché un "estremista") ricordava, a proposito degli innumerevoli atti di violazione dei più elementari diritti dei lavoratori compiuti ai tempi di Valletta, che questi atti venivano compiuti sotto gli occhi "dell'autorità di polizia, dei funzionari degli ispettori del lavoro, della magistratura" senza che nessuno "muovesse un dito".  Orbene, oggi ci si è rivolti precisamente a questi figuri per reclamare "giustizia". Nulla di sorprendente, quindi, che l'indagine governativa abbia negato l'esistenza di ciò che ogni operaio conosce benissimo: la precisa ed articolata strategia Fiat per spezzare ad ogni livello, e con ogni mezzo, l'organizzazione e la conflittualità operaia in fabbrica. Non dobbiamo certo stupirci di ritrovare quasi le stesse parole sulla bocca di Annibaldi (responsabile relazioni esterne Fiat) che il 14 gennaio afferma che "non c'è mai stata alla Fiat una politica discriminatoria ed antisindacale" e Formica che, una settimana dopo, a conclusione dell'inchiesta" governativa afferma che alla Fiat "non esiste un disegno strategico di lotta al sindacato". Per chi ha tuttora fiducia nella neutralità del governo è una lezione da meditare.

Certo, un merito indiscutibile la campagna del PCI l'ha avuto. Quello di sollevare una questione ormai non più procrastinabile; una questione che, comportando la difesa dei diritti di lotta ed organizzazione degli operai, è alla base della ripresa della lotta di classe.

Il vero problema era: affidarsi alla tutela di governo ed ispettorati, che hanno già dato ampia prova di quali interessi difendano, oppure mobilitare gli operai e prepararli ad una lotta, la più generale possibile, contro ogni forma di repressione in fabbrica e per la tutela della vita e della salute operaia? L'amara conclusione della vicenda (al di là di qualche screpolatura nell"immagine" della Fiat, ma è tutto lì ciò che si voleva?) indica seccamente la risposta da dare.