Ultime del "riformismo forte":

UN ESERCITO DI MESTIERE

A SERVIZIO DEL MESTIERE

CAPITALISTA

Ugo Pecchioli - una vecchia, cara conoscenza... - ha formulato l'ultima "innovativa" proposta del "riformismo forte" occhettiano: basta con l'obsoleta leva di popolo, la "nostra" democrazia ha bisogno di armi nuove: quelle di un (iperdemocratico, c'è da giurarlo) esercito professionale.

Capita di regola ai repubblicani pentiti di diventare più realisti del re. È così che il PCI, che dalla Costituente in qua aveva vantato come conquista propria (e "quindi" dei lavoratori) l'esercito di popolo, sulla base della leva obbligatoria, scopre oggi che nulla più giustifica un tale "anacronismo".

La "nostra" democrazia è sicura, i "nostri" militari di carriera vegliano su di essa. Perché, allora, tenere in piedi un esercito inefficiente, che grava duplicemente sulla "condizione giovanile" (non riuscendo a dare ad essa una reale qualificazione militare) e su quella del "nostro" sistema di difesa? Meglio pensare ad un esercito professionale, e poco male se, su questa strada, il PCI si trova ad avere sin qui un solo compagno di strada (che l'ha, tra l'altro, preceduto, ovvero il MSI). Non c'è nulla da temere, assicura Pecchioli: in Italia, è notorio, non esiste il pericolo di professionisti-Rambo di destra, così come -lo s'è visto- non esiste un pericolo di una polizia irrispettosa dalla democrazia, tanto più che oggi c'è persino la possibilità di una tessera sindacale CGIL a garantirlo.

(Chissà se il MSI proverà un qualche turbamento di fronte a questo "ferreo" ragionamento!).

L'avance di Pecchioli non è che il preludio di prossime iniziative legislative e c'è davvero da temere che al Parlamento si debba vedere la "sinistra" a combattere contro i ritardi e gli "inefficientismi" delle forze di centro e di destra colte in ritardo sul tema!

Si tratta di una "svolta" particolarmente grave, che solo il torpido clima sociale e politico in cui si trova attualmente assonnata la classe fa sì che non abbia sin qui prodotto reazioni di rilievo (salvo un timidissimo intervento semidissuasivo sull' "Unità" da parte di DP).

Per i marxisti, un esercito professionale non può essere che la forma spinta all'estremo della professionalizzazione della funzione militare a diretto ed esclusivo servizio dello Stato borghese. Il capitalista in fabbrica; il poliziotto e il carabiniere a difesa istituzionale di essa, cioè del suo carattere borghese; il prete, l'avvocato, il sociologo e via dicendo a garanzia di un altrettanto "sano" orientamento ideologico. L'attacco proletario al dominio capitalista in fabbrica non può essere pertanto che simultaneo attacco al cuore dello Stato borghese. Nelle lunghe fasi di addestramento militare (termine che Lenin giustamente applicava agli scioperi, in quanto anello dell'unitaria catena della lotta antiborghese) il proletariato, senza riuscire a rovesciare quel dominio, può rafforzare sè stesso ed imporre all'avversario il riconoscimento sul campo di rapporto di forza a proprio favore.

Quel che è un sindacato di classe in fabbrica lo è un'organizzazione su basi di classe dei militari di leva nell'esercito. Braccia e fucili proletari contro braccia e fucili borghesi. La stessa socialdemocrazia classica, nonostante tutto il suo sacro orrore della rivoluzione, ha mantenuto costante l'esigenza di "un certo controllo" da parte operaia sulla fabbrica e sull'esercito per garantire quella "certa democrazia" riformista che conosciamo fin troppo bene. Gli attuali "riformisti forti" del PCI vanno ben oltre. Dio li abbia in gloria!

Per chi non lo ricordasse, richiamiamo di sfuggita come l'esercito cileno fosse a suo tempo vantato (là e qui) come un sicuro presidio a difesa della democrazia per "secolare tradizione". Quel che poi quei "professionisti" abbiano fatto lo si è visto, ma non c'è da "far paragoni" con l'Italia, figuriamoci! Una buona parte di colpa nella "deviazione" di Pinochet, l'abbiamo letto di recente sulle pagine di un organo del PCI, va attribuita proprio al "poder popular" di Allende, coi suoi massimalismi e la conseguente "divisione in seno al popolo". I professionisti auspicati da Pecchioli, a nome del suo partito, saranno sottratti a questo rischio dal sicuro orientamento antimassimalista del PCI...

Ritornando sul tema, al seguito di un miserabile "dibattito" nel corso del quale si è dato voce principalmente a giovani piagnoni che non intendono "sprecare il proprio tempo" inutilmente in un servizio di leva "inefficiente", ma si dichiarano disposti a servire "efficientemente" lo Stato se questo gliene darà l'occasione, Pecchioli ha riprecisato sull'"Unità" del 19 gennaio di quest'anno le posizione del PCI.

Prima esigenza è "quella ineludibile di garantire ai livelli necessari la sicurezza del paese", ed è un primo argomento a favore della professionalizzazione. Naturalmente "nel quadro degli impegni internazionali dell'Italia (leggi: NATO, n.), ma con l'intento preciso di stare dentro la svolta di pace in corso nelle relazioni internazionali" (sul cui senso ci esprimiamo in altra parte di questo stesso numero). E sarà talmente pace, se continua così, che ci vorrà "una moderna concezione della difesa che travalica le funzioni puramente militari... e si identifica con la difesa del patrimonio umano, ambientale, artistico." Si: il padrone in fabbrica si identifica con la difesa della produzione, il poliziotto ci assicura contro gli scippi, il militare monta la guardia alle frane ed ai musei... L'operaio, il più fesso di tutti, fa la sua parte tutelato dai signori di cui sopra, ed altri ancora (tra cui, non ultimi, i nostri "riformisti forti").

Seconda esigenza: non aggravare "sotto il profilo della condizione individuale e sul piano sociale e morale la questione giovanile." In breve: perché mai ingombrare l'allevamento dei giovani polli con dodici o sei mesi di naja quando li si può altrimenti allevare in batteria per le loro specifiche (e "socialmente e moralmente" gratificanti, c'è da giurarlo) funzioni di produttori (o parassiti della produzione altrui, a seconda dei casi)?

Un simile indirizzo corrisponde perfettamente allo stato attuale dell'organizzazione "riformista" della gioventù, da cui è stata espunta ogni connotazione proletaria ed in cui, anche da un punto di vista strettamente sociologico, domina l'elemento piccolo-borghese interessato alla "realizzazione di sé" a servizio di questo sistema e sotto la sua tutela.

Non c'è da stupirsi se, su questo tema, molte voci borghesi abbiano posti al PCI delle obiezioni "marxiste". La funzione dell'esercito di leva -che non esclude, al contrario!, un'alta dose di professionismo e la concentrazione in essa del potere effettivo- è indispensabile per far penetrare il consenso borghese nella società, "in seno al popolo", ha detto in sostanza -e molto bene - Capuzzo, uno che se n'intende sul serio. L'esistenza di un puro esercito di professionisti quando poi s'incorre nell'"emergenza" di dover mobilitare massiciamente i non-volontari fa correre dei rischi non da poco. Lo s'è visto negli USA quando s'è trattato di affrontare la questione Vietnam. E c'è da giurarlo che per il futuro non si tratterà soltanto di proteggere le opere di Leonardo da Vinci, neanche in Italia, "nel quadro degli impegni internazionali".

Negli anni caldi post-'68 i giovani militari di leva non si disperavano né si appiccavano al chiodo per accessi di solitudine. Si riconoscevano uniti, solidali e gioiosi nella lotta dei "proletari in divisa"; oltre il dominio proprio della vita di caserma vedevano la prosecuzione di uno stesso dominio borghese in fabbrica e sul territorio e qui s'incontravano coi proletari in tuta in uno stesso ed unico intento di lotta emancipatrice (al di là di tutti i fumi che hanno frustrato quell'intento ab intus).

Il futuro porterà la spinta di allora ad un gradino assai più in alto, e risolutore, lungo una medesima linea di tendenza. Condizione di ciò che è anche che, sin d'ora, si respingano "riforme", che, indipendentemente dai presupposti e le intenzioni cui si riferiscono, pongono a ciò un ostacolo preventivo di prima grandezza. Poco c'importa di incappare nello sdegno dei polli di batteria di cui sopra che reclamano di esser "liberati" dall'incombenza militare per passare più agevolmente e presto all'ingrasso per poi "realizzarsi" in pentola, come si conviene. Né c'importa che, al momento, l'agitazione di classe nell'esercito di leva non possa trovare eco apprezzabili. Anche di fronte o dentro la fabbrica si possono non trovare, all'immediato, analoga eco. Non è una buona ragione per disertare il campo, nell'uno come nell'altro caso. Posto persino, per assurda ipotesi, che i comunisti incrociassero le braccia, scriveva Engels, saranno gli sviluppi stessi dell'antagonismo di classe, di una guerra di classe mai cessata (e specie quando la si vuol gabellare come pace), a porre uomini e cose di fronte allo storico aut aut.

L'importante è arrivarci schierati. Perciò, mentre il PCI si sbraccia a fare il suo lavoro a servizio della borghesia (nel miraggio di ringraziamenti in solido -Cile insegna...-), noi ci guardiamo bene dall'incrociare le nostre braccia.