Dossier: "La crisi dell'Est"

 

Aggiornamenti sulla situazione in Urss

I FANTASMI DEL NAZIONALISMO
ED IL FANTASMA DELLA LOTTA DI CLASSE

Due spettri si aggirano per l'URSS: quello del nazionalismo e quello della lotta di classe del proletariato. "Insieme" essi turbano i sogni dei dirigenti del paese, mentre non possono che entrare in aperto conflitto tra loro.

Nel n.13 del nostro giornale abbiamo dato un quadro, che riteniamo tuttora fondato ed esauriente, delle "questioni nazionali" in URSS, indicandone le origini e le vie di sviluppo in stretto collegamento con quelle che sono, e potranno essere, le sorti dello sviluppo dei rapporti capitalistici in URSS. Quel quadro non va in nulla modificato, a nostro avviso, ma semplicemente aggiornato (così come vanno aggiornati tutti i dati che si riferiscono alla complessiva realtà sovietica, in continua e tumultuosa fase di "ristrutturazione").

In questi ultimi tempi è la "questione baltica" ad essersi conquistata - del tutto "meritatamente" - le prime pagine dei giornali. Che succede? Nessuna persona di buon senso potrà sostenere che gli stati baltici siano attualmente sottoposti ad una, magari crescente, "oppressione nazionale" da parte dei poteri centrali. Questi ultimi, al contrario, hanno concesso e stanno concedendo ad essi tutta una serie di guarentigie altrove impensabili. Ve l'immaginate un Sud-Tirolo od una Corsica dove l'italiano o il francese siano cancellati in quanto lingue internazionali e dove addirittura si batta moneta propria o dove sia consentito ai cittadini italiani o francesi il diritto all'elettorato passivo solo a particolari, forcaiolissime condizioni?

E, ad onta di ciò, ecco che i movimenti nazionalistici si espandono ed alzano il tiro anziché accontentarsi della larghissima autonomia conquistata.

Il fatto è che i poteri centrali, ormai affondati in una cronica - storica - crisi, sempre meno riescono a proporsi come i garanti di un "comune" sviluppo (capitalista) di tutta la Federazione capace di intrecciare materialmente i propri fili tra le varie componenti "inter-etniche" della borghesia sovietica. Il decentramento economico (che è in URSS di vecchia data) non ha trovato nella realtà del paese il pendant, proprio dei paesi metropolitani più avanzati dove pure sussistono "questioni nazionali", di un effettivo accentramento da parte del capitale "sovranazionale". A1 contrario, gli squilibri si sono accentuati e, con la marcia dell'Occidente verso Est, paesi come quelli baltici si sentono sempre più svincolati dal "centro" e proiettati verso il "promettente" (ma lo sarà davvero?) mercato occidentale, secondo uno schema di vera e propria "polonizzazione".

Dice bene A. Cekuolis, uno dei massimi esponenti del Fronte Nazionale Lituano "Sajudis", da trent'anni iscritto al PCUS ("anche se non ho mai capito perché io, lituano, faccia parte del PCUS e non del partito comunista lituano"): "Siamo in mezzo al guado. Sappiamo che per il momento con Mosca non abbiamo futuro, ma nel medesimo tempo non possiamo ancora accostarci al mercato occidentale", e tuttavia "siamo pronti a fare anche sacrifici pur di entrare a pieno titolo nella economia internazionale" ("Avvenimenti", n.27, 6 settembre).

Un solo dato a rinforzo. Facendo 1 la produzione industriale del '40, nell'85 abbiamo un 22 per la Federazione Russa, ma un 53 per la Lettonia, un 55 per l'Estonia, un 65 per la Moldavia e addirittura un 73 per la Lituania. Come si vede, non è che Mosca abbia proprio "rapinato" i paesi "oppressi", visto che le risorse di questi non sono state affatto deragliate in massa verso il centro (altrimenti non si spiegherebbero i, relativamente, formidabili tassi di crescita, che presuppongono, per l'appunto, una ricapitalizzazione massiva delle risorse locali).

Proprio Gorbacev ha esaltato, a più riprese, il fervore "perestrojkista" delle regioni baltiche, additandole a modello. Il guaio è che questo sviluppo non poteva, e meno che mai può oggi, essere integrato ad uno sviluppo generale del paese e così l'esperienza baltica finisce per diventare sempre più una "finestra sull'Occidente" attraverso la quale affrettare l'ingresso in URSS del capitale occidentale, con moto... diseguale e combinato, dalla periferia verso il centro del cosiddetto "impero", un po' sul modello delle "zone speciali" cinesi. Ma, a queste condizioni, è ben naturale che le spinte "nazionali" si accentuino, indirettamente favorite da un "centro" impotente, anziché attutirsi.

Nel citato n.13 del nostro giornale, indicando nello sviluppo contraddittorio e squilibrato del capitalismo sovietico le ragioni dell'esplosione dei conflitti "nazionali", individuavamo nella ripresa della lotta di classe proletaria che ad esso si lega, la nostra cura. Senza prospettarci una via d'uscita immediata (non siamo "miracolisti") in questo esclusivo e "puro" senso.

Così è. La lotta di classe (al cui riaffacciarsi dedichiamo larga parte di questo "aggiornamento" sulle cose dell'URSS) dimostra di essere già ridivenuta una realtà tangibile, e forte, seppur impacciata da tutti i pesi del passato. Ma, alla periferia che funge - oggettivamente e, perché no?, anche soggettivamente - da "cavallo di Troia" del capitale occidentale, le cose si complicano ulteriormente. Qui il proletariato appare diviso una volta di più al suo interno: da un lato gli operai russi, che si vedono vittime dello sviluppo capitalista e (al tempo stesso) di un'"oppressione nazionale" in certo qual modo, e scendono in lotta appellandosi "internazionalisti" (un po' sul serio, un po' indulgendo a sirene "grandi russe", non meno pericolosamente nazionalistiche); dall'altro lato gli operai baltici, che pure si trovano in posizione subordinata rispetto al "proprio" capitalismo "indigeno", e - forse - vi reagiscono, ma, ad un tempo, posson credere di aver qualcosa da lucrarvi a patto di aderire al "blocco nazionale" contro Mosca (contro i propri fratelli di classe d'altra stirpe). È precisamente quello che, da tempo, vediamo altrove: e valga, per tutti, il "caso sloveno" nel quadro della Federativa Iugoslava.

Problemi di tal fatta non si scartano con astratte proclamazioni internazionaliste di principio. Occorre intendere il corso oggettivo delle cose. A questa stregua noi siamo certi che si potranno dare le condizioni di una riunificazione, internazionalista sul serio, tra i vari segmenti "nazionali" del proletariato russo. Quando i proletari russi sapranno dire ai loro fratelli baltici: "Siamo tutti schiavi del capitale, uniamoci", ed altrettanto sapranno fare i proletari baltici rispetti ai primi, il nodo verrà a soluzione.

Polonia, Iugoslavia, URSS... Questa scadenza sta approssimandosi per tutti. I borghesi baltici vogliono parlare baltico e parlano nei fatti "yankee" (già lo fanno nelle loro grottesche manifestazioni). I proletari, baltici e russi, etc. etc., parleranno tra loro un'altra lingua, comune, ad onta della Babele dei vocabolari che, dal peccato originale in poi, ci tiriamo dietro...