Salta la camicia di forza "socialista" in Germania orientale

UNA GRANDE GERMANIA BORGHESE PRENDE FORMA.
MA SI PROFILA ANCHE UN'ALTRA POTENZA:
IL PROLETARIATO TEDESCO UNITO!

 

Indice


Il crollo del Muro è il crollo di una forma ormai anacronistica di capitalismo bloccato ed il conseguente sfondamento ad Est del moderno capitale.

Le masse tedesco-orientali ed il proletariato in particolare hanno propiziato l'evento e lo hanno salutato al canto del "Deutschland über alles". È il trionfo del nazionalismo e la vigilia del "quarto Reich" tedeschi?

Tutto il mondo ufficiale, inclusa una "estrema sinistra" sconcertata da un movimento andato oltre la "riforma del socialismo", non riesce a vedere che questo aspetto.

Soliti ingenui, noi abbiamo salutato ogni colpo al Muro come un colpo dato alla divisione della classe operaia tedesca la cui unità ed indipendenza di classe rappresentano la vera minaccia per i borghesi. Unità ed indipendenza di classe tutte da conquistare, è vero. Ma la strada è ora aperta...


Il sommovimento emerso nella RDT a seguito dell'esodo "verso la libertà" di decine di migliaia di suoi cittadini nel fine estate '89, è proseguito inarrestabile - con potenza e costanza veramente tedesche - dinnanzi ad un regime che ha sperato di contenerlo cedendo di volta in volta alle rivendicazioni della piazza, e che è arrivato, invece, al punto di essere spodestato della sua autorità e della sua legittimazione.

È venuta irrimediabilmente l'ora del tramonto per quel regime "socialista" ormai impotente a dominare le forze della società borghese sulla quale si è eretto per quarant'anni, e incapace di contenere e soddisfare sia le esigenze dei borghesi che quelle dei proletari.

Per calmare la piazza non è bastata la deposizione del vecchio Honecker né quella del gran capo del sindacato Herry Tisch, non è bastato il riconoscimento dei gruppi di opposizione spuntati come funghi.

Per contenere l'onda dimostrando che la riforma del vecchio Stato era cosa seria, è stato abbattuto il Muro; ma allora anche la piazza, e con maggior decisione, ha fatto sul serio. Così è caduto Krenz, ex burocrate riverniciato da riformatore; così la folla è entrata nelle sedi della polizia politica devastandole ed imponendo lo scioglimento della odiata Stasi; così i gruppi di opposizione sono stati chiamati al governo fino a confondersi (ed a scambiarsi i ruoli) con l'ex partito egemone, ora rinnovato, SED in una sorta di unità nazionale d'emergenza.

Ma tutto questo non è bastato per eludere o rinviare nel tempo la questione non già della riforma del sistema ma della sua vita o della sua morte ovvero la questione della riunificazione del paese.

E la risposta della piazza, segnatamente della piazza proletaria tedesco-orientale, è stata di quelle senza appello per lo Stato "degli operai e dei contadini". Dalla caduta del Muro in poi, cioè dal momento in cui il proletariato tedesco-orientale ha potuto toccare con mano le migliori condizioni economiche e sociali dei proletari tedesco-occidentali, il movimento ha subito un'accelerazione progressiva. È stato il proletariato a radicalizzarlo o meglio a spaccarlo coll'emarginazione di una sinistra piccolo-borghese che si cullava nell'idea di "rigenerare" la RDT, di "difendere il socialismo" rafforzandolo con forti dosi di "democrazia" e "libertà", di cercare comunque una "terza via" che non porti alla democrazia della Deutsche Bank, della Bayer, della Thyssen.

Nella prima fase del movimento, diciamo fino al dicembre, la protesta generale che coinvolge tutti i ceti sociali è unificata attorno alle parole d'ordine democrazia/riforme/libertà. Ciascuna classe - però - intende a suo modo tali generali rivendicazioni ed è perciò che quando si tratta di sostanziarle, ogni classe sociale si posiziona a seconda del suo interesse.

Noi sappiamo che dietro la democrazia non può che celarsi la dittatura di una classe sull'altra, che il significato ultimo delle "riforme" è l'attacco alle condizioni di vita proletarie, che "libertà" significa, al fondo della cosa, libertà per il capitale e per il suo possessore di realizzarsi al meglio e non diamo ad intendere, come fanno invece i liberali di estrema-sinistra (trotzkisti ed altri), che tali rivendicazioni abbiano qui - in RDT come negli altri paesi "socialisti" - un carattere diverso essendovi stato "eliminato il potere e la proprietà della borghesia". La piccola-borghesia (e le sue espressioni politiche di sinistra o di estrema-sinistra) può ben accontentarsi di queste proclamazioni, e perciò l'abbiamo vista marciare a Berlino Est cantando l'Internazionale e brandendo le bandiere rosse, credendo effettivamente nella possibilità di una riforma del "socialismo" o nel "vero socialismo" umano, democratico (socialismo sempre, naturalmente, nell'ambito di un solo paese e senza le... complicazioni della rivoluzione mondiale, della guerra di classe, della dittatura di classe). Ma il proletariato non può accontentarsi delle vuote frasi sulla "libertà" e sulla "democrazia", e se non possiamo pretendere che i proletari tedesco-orientali abbiano già svelato il significato di quelle rivendicazioni generali, essi stessi hanno già cominciato ad intenderle a modo loro: hanno diffidato delle chiacchiere della "tavola rotonda", di quelle del parlamento, non fidandosi nemmeno delle "libere elezioni". Esigono in sostanza fatti, cioè miglioramento delle condizioni di vita, subito, "semplicemente" portandole al livello di quelle dei proletari tedesco-occidentali, infischiandosene degli "equilibri politici" e delle manovre verso l'unificazione pilotata e graduata nel tempo che la stessa borghesia tedesca dell'Est e dell'Ovest vedrebbe come optimum.

La nostra, non immediata, prospettiva

Noi non abbiamo nulla da difendere, il proletariato non ha nulla da difendere del vecchio regime "egualitarista", né nella versione passata tipo Honecker, né in quella riformata dei Modrow od altri. Tale sistema, spacciato per "socialista", ha fatto il suo tempo, e deve andare nella spazzatura.

Che fine faranno le "conquiste" della classe operaia e la "giustizia sociale" che nel grigiore di quella società bloccata erano la base, se non del consenso, perlomeno della tolleranza delle masse rispetto al vecchio regime? Questa è l'angosciata domanda di chi ha difeso o continua ancora a difendere l'esistenza della RDT contro l'invadenza del capitale RFT come se fosse possibile, implicito nell'angoscia, sfuggire alle leggi del capitale e del mercato internazionale ancora una volta senza rivoluzione mondiale.

Ebbene, sotto il capitalismo, e la RDT è pienamente capitalista, ogni acquisizione proletaria non è mai scontata, non si dà in eterno. Essa dipende dalla forza che le classi antagoniste mettono sul piatto nella perenne guerra sociale della società divisa in classi.

L'arduo compito che si presenta ora innanzi al proletariato e alle sue avanguardie tedesche una volta stracciata la "camicia di forza", è come difendere ed imporre l'interesse di classe quando la società capitalista RDT viene a cadere, quando le forme proprietarie emergono alla luce del sole e la società borghese naturalmente si polarizza fra chi detiene il capitale e chi è nullatenente.

Per il proletariato la sola strada vincente può venire unicamente dal riconoscere la propria lotta come parte della lotta internazionale dei "senza patria" proletari appunto alla cui meta è: Socialismo! Internazionale ed antimercantile! Questa strada comincia per i proletari tedesco-orientali con il collegare i propri interessi e le proprie lotte a quelle dei fratelli di classe della Germania occidentale (e viceversa).

Questa prospettiva, la nostra stella polare, non può essere forza e guida delle masse proletarie rispetto alla bruciante attualità, ma è allo stadio attuale delle cose un ideale. Perché essa divenga carne, muscoli, cuore ed armi, perché diventi, in breve, forza agente reale, il proletariato deve superare, nella esperienza materiale, uno stato di cose che permette illusioni più che su di una "terza via socialista tedesca", sullo Stato tedesco riunificato come fonte di benessere, prosperità e pace per tutti.

La pressione del capitale, agente destabilizzante suo malgrado

Ci sforziamo di cogliere i moventi sostanziali profondi all'origine dell'esplosione sociale nella RDT e di conseguenza le risposte che oggettivamente ciascuna classe è costretta a dare rispetto all'incedere del capitalismo. Ribadiamo allora che riforme/democrazia/libertà sono le espressioni ideologiche che il capitale in RDT ha espresso per liberarsi dal guscio "egualitario".

Qual'è il senso profondo dell'emorragia continua di uomini verso l'Ovest, della fuga "fuori dal comunismo", se non che gli uomini, una volta cadute o attenuate le misure coercitive, vanno dove il capitale frutta di più, dove le capacità proprie, individuali tecniche ed intellettuali, messe al servizio del capitale rendono di più e meglio? Tanto per concretare: un medico, a valore effettivo della moneta, guadagna 4 milioni ad Ovest contro 200 mila lire ad Est (1).

Perciò, se la RDT vuol bloccare od arginare l'esodo (che continua anche dopo l'apertura delle frontiere), o deve ricorrere alla forza come nel '61 dovette ricorrere al Muro (ipotesi puramente teorica ormai impossibile da verificarsi) evidenziando la inferiorità del suo tipo di capitalismo, oppure deve dare spazio a queste capacità individuali, al capitale in buona sostanza, in maniera che esso possa fruttare liberamente, e che quindi valga la pena, cioè: convenga restare. Le fughe sono comunque la forma più pavida di opposizione, attuata da chi può fuggire guadagnandoci ossia, in larga parte, da borghesi e piccolo-borghesi. Chi è restato, ha espresso la sua opposizione scendendo in piazza.

La base materiale sulla quale si è sviluppato il movimento in Germania orientale è quella della liberazione del capitale dai vincoli livellatori e castranti imposti dal regime "operaio"; questo, però, nel contesto non di un capitalismo internazionale affluente ma in quello della sua crisi storica. Oggi anche nelle metropoli d'Occidente il welfare viene smantellato - certo con ritmi e modi diversi - e le condizioni generali di vita del proletariato sono sempre più compresse.

Questa è, al fondo, la strettoia che rende e renderà delicatissimo il passaggio alla nuova fase per la borghesia, e sono questi i fattori obiettivi che portano il proletariato tedesco, entrato nell'agone della lotta sociale e politica, al varco che noi agogniamo: nel cuore dell'Europa capitalista ed imperialista potrà ergersi materialmente la prospettiva della dittatura proletaria, della rivoluzione comunista. Affermiamo ciò, si badi, coscienti che nessuno - per chiarezza - oggi "vuole" il comunismo né in Germania né altrove, cioè nessuno "vuole" la presa del potere dittatoriale e violenta da parte del proletariato e la rivoluzione mondiale. Ma il processo rivoluzionario non è questione di volontà o di ideali che singoli e masse hanno in testa, bensì è determinato dal corso del capitalismo con le sue fasi affluenti ed i suoi esiti catastrofici.

La strada è aperta! Così abbiamo salutato i colpi di piccone e di bulldozer dati al Muro. Da quei varchi oggi, è vero, scorre il capitale e la sua ideologia, ma con esso scorre il virus della Rivoluzione. E, va detto con forza, opera in senso inverso, reazionario, chi pretende di frenare e bloccare questo corso: la sinistra socialdemocratica e l'estrema sinistra "rivoluzionaria" che, col pretesto di "salvare il socialismo" in RDT dall'abbraccio mortale della RFT e dell'imperialismo, sognano, squallidamente sognano, di tenersi nella RDT soltanto la "libertà", soltanto la "democrazia", mentre per il resto, che è poi l'essenziale, ben vorrebbero ricementare quel Muro squarciato.

Hanno paura della "Grande Germania", dell'imperialismo tedesco che si rafforza e genera il fascismo, temono per la "pace" e per gli "equilibri sconvolti" all'unisono coi leaders delle super-potenze.

Non hanno una parola, una!, per il proletariato tedesco dell'Est e dell'Ovest che non sia quella di starsene buono e chiuso nella gabbia mortale sancita a Yalta e riconfermata a Malta, e che ciascuno dentro alla propria gabbia conduca la sua lotta democratica, progressiva, rispettosa degli "equilibri" e della "pace".

Si è giunti, è incredibile, da parte dei "trotzkisti" alla riproposizione del principio staliniano dell'"emulazione socialista": cioè una RDT emendata con "democrazia" e "libertà" e mantenendo la "base economica socialista", potrebbe diventare il "paese faro" che coniugando benessere e democrazia popolare, dimostri la "superiorità del socialismo" sul capitalismo (2).

Povera, patetica gente. Ci penseranno Kohl, Genscher, Brandt e dietro ad essi Thyssen, Krupp, Bayer, Deutsche Bank a spazzar via queste "prospettive". Ci penserà il proletariato tedesco, unito, ad affrontare nella battaglia decisiva il capitale tedesco. Esso e solo esso potrà tagliare la testa al Mostro ed essere faro e fulcro della rivoluzione mondiale.

Dal crollo del Muro all'unificazione

Una volta aperta la frontiera, attraverso cui scorre il capitale ed impazza il mercato nero, l'economia più forte inevitabilmente fagocita il sistema RDT.

Appena abbattuto il Muro, le banche di Berlino Ovest cambiavano 9 marchi Ovest contro 100 Est, ossia il valore di un'ora di lavoro in RFT contro 2 giorni lavorativi in RDT. Per chiarezza e termine di comparazione, si noti che la rivista amburghese "Der Spiegel" costa 4,5 marchi cioè il valore di una giornata di lavoro di un operaio tedesco-orientale) Se è vero che in RDT i generi di prima necessità ed i servizi essenziali hanno un prezzo bassissimo, incredibilmente basso, è altrettanto vero che questi prezzi stracciati – base essenziale del "socialismo" - non corrispondono al valore effettivo di quelle merci e di quei

servizi. Per colmare la differenza lo Stato "socialista" ha dovuto - senza dirlo troppo in giro - appellarsi e legarsi al capitalismo internazionale ed alla "odiata" Germania borghese. Così che la galera in cui erano tenuti i proletari tedesco-orientali era ed è quella del capitalismo internazionale di cui in realtà i "comunisti" della SED erano e sono i secondini.

Data la diversa velocità delle due macchine produttive, per la borghesia in tutte le sue frazioni e sia dell'Ovest che della RDT, è vitale che il passaggio al libero capitalismo moderno, per meglio dire in questo caso la fagocitazione della RDT, sia assolutamente controllato e non avvenga in forma brutale ed in tempi ristretti. Si tratta di evitare l'emergere immediato e provocatorio di ciò che per decenni è stato celato sotto il casto velo "socialista": da una parte un polo sociale che ha accumulato e che dispone di ingenti ricchezze, dall'altro un proletariato nullatenente e larghi settori di popolazione salariata pesantemente immiseriti.

Lo stesso Kohl, nei suoi famosi "10 punti", non fissava scadenze immediate alla riunificazione. Il defunto Herrhausen, presidente della Deutsche Bank e consigliere del Cancelliere, prevedeva dai "5 ai 10 anni" di transizione "per arrivare agli standards di vita occidentali" da parte della Germania orientale. Brandt, ancora più cauto, indicava invece che il processo di riunificazione "nel caso più favorevole richiede almeno un decennio di avvicinamento" (3), giacché apppunto anche per il capo social-democratico si tratta di "far sparire le differenze economiche e sociali".

Per tutta la borghesia tedesca quindi, il problema è pilotare la parte orientale della Germania verso l'integrazione al moderno capitalismo in maniera indolore e graduata, senza che gli ineludibili contrasti di classe rompano la pace sociale - a questo punto per materiale induzione - anche all'Ovest e sfocino addirittura in moti rivoluzionari del proletariato ad Est, come potrebbe verificarsi se dietro le illusioni nazionaliste fosse presentato subito ai proletari, nudo e crudo, il conto della ristrutturazione e delle riforme capitalistiche (qui ci limitiamo a considerare solo l'aspetto "interno" della necessità di graduazione verso la riunificazione).

Il capitalismo tedesco ha già preventivato per questa fase di transizione una spesa "improduttiva" che è in realtà una spesa per tenere sotto controllo il conflitto sociale e la cifra deve essere di quelle notevoli (4).

Non poteva e non può la borghesia preventivare l'accelerazione del movimento in Germania orientale, ovvero la sua radicalizzazione causata essenzialmente dalle masse operaie. Come detto sopra, queste non possono accontentarsi delle "riforme politiche", peraltro straordinarie, già acquisite ma interessa loro tradurle in pane concreto, in aumento del consumo e del benessere.

Il proletariato tedesco-orientale, muovendosi, è vero, nella sua grande maggioranza con ideali illusori, e micidiali alla distanza se non saranno smentiti dall'esperienza concreta, democratici, nazionalisti, in breve con ideali borghesi con cui riveste, ripetiamo, la sua aspettativa di migliori condizioni di vita (e come possiamo stupircene o esserne contrariati data tutta l'esperienza vissuta sotto i falsari del socialismo?), materialmente presenta – però - il conto non tanto ormai al vecchio regime quanto a quello nuovo di Bonn in cui esso paradossalmente (ma non tanto) ha fiducia.

Il pugno degli operai di Dresda, di Lipsia, di Magdeburgo batte alla porta del capitale tedesco sempre più forte e a ritmi serrati, batte alla porta della stessa ritrosa classe operaia tedesco-occidentale.

Certamente intorno all'incandescente movimento in RDT i partiti borghesi intrecciano le loro manovre, ciascuno tentando di approfittarne, ma la palla deve essere davvero incandescente se i due maggiori partiti della RFT, la CDU e la SPD, hanno richiesto d'urgenza il varo di una riforma monetaria in RDT ovvero l'introduzione del marco moneta unica contro il parere dei tecnici della Bundesbank e del suo governatore Poehl, mentre dall'altro lato il governatore della Staatsbank RDT ammetteva che "non vi è molto tempo a disposizione".

"La gente probabilmente non ha ancora capito bene che cosa significhi una riforma monetaria con le sue durezze e con le sue ingiustizie e con le conseguenze drammatiche sulle aziende della RDT non in grado di reggere la concorrenza" (5): così ha espresso la sua contrarietà al piano il presidente dei liberali che pure fan parte del governo.

Le attese del proletariato tedesco-orientale creano problemi all'Ovest per tutti

Di quale "gente" si parla? Certo del proletariato tedesco-orientale, che dovrebbe a questo punto fermarsi secondo i borghesi, e che comunque la borghesia non può permettersi assolutamente di gettare sul lastrico; ma ci si riferisce anche al proletariato della Germania occidentale, sul quale inevitabilmente dovrà venire scaricato il costo di questa operazione "tecnica", cominciando probabilmente col colpire la classe operaia immigrata. Dal lato della politica estera questo storno di risorse da parte del capitale tedesco in "soccorso ai confratelli", si ripercuote nella difficoltà tedesca di rimanere locomotiva trainante dell'Europa ed altri paesi dovranno farsi carico di ciò; in sostanza abbiamo un acuirsi delle contraddizioni e della concorrenza inter-capitalistiche.

Il sommovimento partito dalla RDT muove così obiettivamente verso Ovest e se il capitale dilaga a Berlino, nello stesso tempo le contraddizioni ed il disordine originati dalle masse tedesco-orientali scuotono il cuore del centro Europa, la Germania tutta. La borghesia tedesca, naturale "beneficiaria" in astratto del movimento in RDT, è messa in difficoltà dalle aspettative reali del proletariato tedesco-orientale nonostante gli "ideali" per cui esso crede di muoversi.

Tuttavia non va nascosto che la stessa classe operaia tedesco-occidentale è messa in difficoltà da questo movimento turbativo delle sue posizioni e del suo ideale di pacifico progresso dentro la società borghese.

È questo il fattore di fondo della cautela e delle contraddizioni della SPD che ha nella classe operaia RFT la sua base sociale. I socialdemocratici sono passati da una originaria difesa della rinnovata RDT alle incertezze rispetto ai "10 punti" di Kohl (6), fino a premere essi stessi per l'introduzione della riforma monetaria ad Est, presentata pudicamente dalla SPD come un "aiuto incondizionato" nel "rispetto della sovranità della RDT"; quando viceversa il varo di questa delicatissima manovra è avvenuto senza la minima consultazione con le "autorità" orientali - del tutto coerentemente, giacché i padroni del capitale giocano con i loro quattrini - provocando le patetiche proteste di Modrow, al quale "è sembrato perlomeno inusuale il modo attraverso il quale il progetto è stato reso di pubblico dominio" aggiungendo che "c'è ragione per esserne diffidenti".

La saldatura fra i due reparti della classe operaia tedesca non è cosa meccanica né immediata.

La social-democrazia potrà anche riuscire a saldare i due reparti - sempre come componenti della Nazione tedesca alla quale subordinarsi - e saperne gestire gli interessi "meglio dei borghesi" attraverso la sua classica politica di "giustizia sociale" e di lotta contro le "asprezze del capitalismo"; ma ciò potrà darsi solo provocando all'interno la crescita dell'indebitamento ed il conseguente disordine strutturale del paese, ed all'esterno una accentata aggressività del capitale tedesco nella difesa e nella conquista di spazi ora per davvero vitali.

Il terreno dell'interesse nazionale cui alla fine tutte le forze borghesi si riconnettono, è quello dove a muoversi più naturalmente e più coerentemente sono le forze di destra. La destra attuale, i Republikaner ed altri minori, può solo raccogliere provvisori o marginali successi profittando, anche in strati proletari, dell'insicurezza determinata dall'incalzare degli avvenimenti; potrebbe gonfiarsi di consensi proletari in Germania orientale solo nella sciagurata ipotesi che il processo di riunificazione sia bloccato dalle mene degli imperialisti "alleati" - avversari di Bonn. Ma, se il processo d'unificazione brucia le tappe in una strada irreversibile com'è a questo punto prevedibile, l'ora della destra non è per l'immediato scoccata. Le sue carte decisive si giocheranno nella fase successiva quando il costo e le contraddizioni anche esterne della riunificazione peseranno sulla solidità della Nazione.

Solo la soluzione di classe, la dittatura proletaria in Germania, potrà sbarrare la strada ai mostri generati, nel precipitare della crisi, dalle contraddizioni capitalistiche portate al diapason qui nel cuore europeo e non originati come si vuole sin d'ora insinuare (o meglio reinsinuare) dalla "maledizione" e dalla "predisposizione fascista" del popolo tedesco.

Fin dalla difficile situazione presente ove è oggettivamente impossibile per le avanguardie rivoluzionarie ottenere un risultato immediato dalla propria azione, esse sono tenute a preparare ed agitare la soluzione di classe, cioè la saldatura dei due reparti proletari tedeschi sulla base dell'interesse di classe che deve portarli ad accomunarsi con i lavoratori immigrati ed a dividersi dai "connazionali" borghesi tedeschi.

Tocca rilevare che l'attuale cosidetta "sinistra rivoluzionaria" tedesca a quanto ci consta, in tutte le sue varie componenti (dagli Jusos, ai gruppetti maoisti e "trotzkisti" fino agli Autonomen ed alla Raf) ha manifestato la sua totale inadeguatezza ed impotenza di fronte alla nuova fase di lotta aperta "inopinatamente" (per chi sostiene che si debba "aspettare prima la rivoluzione ad Ovest") dal procedere tumultuoso del movimento in RDT.

Questa variegata area si è sostanzialmente ritrovata, con sfumature diverse, intorno alla parola d'ordine della "difesa della RDT contro l'aggressione imperialista di Bonn" fino a che i proletari RDT per primi si sono incaricati di evidenziarne l'assurdità. Poi, le armi spuntate del sovversivismo piccolo-borghese occidentale hanno tuonato contro Kohl "nuovo Führer" e contro il nascente "quarto Reich".

Inutile chiedere a tali "rivoluzionari" chi, quale classe in ogni caso possa contrastare il "quarto Reich", cosa fare del proletariato tedesco-orientale (che a qualche "intelligente" potrà ora apparire come una bruta massa di nazionalisti e fascistoidi dopo essere stato fino a qualche mese addietro un solido pilastro dello Stato "socialista"); inutile chiederlo a chi guarda con nostalgia al passato, orfano, a vario titolo, del "socialismo in un solo paese".

Il travaglio della piccola borghesia nella bufera sociale in RDT

Ciò che impressiona degli avvenimenti succedutisi dal settembre '89 in Germania orientale, è il loro incedere travolgente insieme al salto di qualità impresso al movimento dalla discesa in campo della classe operaia. Le esigenze reali poste dal movimento, cioè: 1) libertà per il capitale; 2) miglioramento delle condizioni di vita, di consumo, di benessere, ovvero la materializzazione per il proletariato della parola "libertà" - esigenze che all'immediato si confondono e si intrecciano agli occhi di proletari tedesco-orientali nella rivendicazione dell'unità del paese -, hanno letteralmente tagliato le ali ai sogni della piccola borghesia.

Si poteva leggere nella piattaforma originaria di Neues Forum, movimento gonfiatosi dal nulla e che nella prima fase pareva poter rappresentare e raccogliere "l'opposizione di tutta la società" verso il regime e limitarla alla riforma del "socialismo": "Se per un verso desideriamo che l'offerta di merci si allarghi e l'approvvigionamento migliori, d'altra parte ne vediamo i costi sociali ed ecologici e chiediamo di rinunciare a una crescita incontrollata. Vogliamo spazio per l'iniziativa economica ma senza le degenerazioni di una società in cui ci si fa largo a gomitate. (...) Fannulloni e fanfaroni devono essere rimossi dalle loro sinecure, ma non vogliamo svantaggi per i socialmente deboli e per gli indifesi. (...) Vogliamo partecipare all'esportazione ed al commercio internazionali senza diventare né debitori e servi delle principali potenze industriali, né sfruttatori e creditori dei paesi dalle economie più deboli" (7).

La massa piccolo-borghese crede effettivamente di poter coniugare libertà per il capitale e "libertà", in generale, "democrazia" in generale e socialismo, sogna una società in cui l'abbondanza di merci non significhi schiacciamento di una precisa classe sociale, la classe operaia, in modo da poterne godere i frutti senza che la pace sociale sia turbata. Davvero è un bel paese quello in cui merci e libertà sono per tutti senza che vi siano "deboli" ed "indifesi" e senza che i suoi affari opprimano i "deboli" e gli "indifesi" degli altri paesi. Solo che un tal paese è il paese dei balocchi, dei sogni piccolo-borghesi appunto.

Così questa piccola borghesia, insieme agli "intellettuali di sinistra" di Berlino Est, lanciava appelli contro Kohl e la svendita della RDT in sintonia con gli ex burocrati "comunisti" e con la omologa piccola borghesia tedesco-occidentale. Ma al congresso di gennaio, a cui le fila di Neues Forum arrivano sfaldate - trovando i ceti borghesi altre e più coerenti espressioni politiche, ed avendo il proletariato abbandonato quel movimento dietro il quale si era in parte accodato - rimane solo una minoranza a continuare a voler difendere l'esistenza della RDT e del "socialismo" rinnovato.

Qual'è l'origine del travaglio dei piccolo-borghesi sia dell'est che occidentali (8)?

Willy Brandt nell'intervista sopracitata, parlando dei giovani della RDT in rivolta; afferma: "Loro e le loro giovani mogli sognavano di viaggiare liberamente: vacanze italiane, spagnole, greche. Erano stanchi delle spiagge del Mar Nero, non sopportavano più i diktat sulla loro vita privata. Sogni e speranze non si realizzano con la beneficenza". Esattamente: "libertà" e "democrazia" non sono articoli gratis al mercato capitalista. La massa piccolo-borghese avverte non solo che per tali articoli dovrà pagare il prezzo di un maggior impegno ed integrazione nel meccanismo borghese, ma che ciò avverrà in un contesto sociale sempre più polarizzato, in cui la lotta di classe erode obiettivamente le posizioni intermedie fra borghesia ed alternativa rivoluzionaria del proletariato. Quando quest'ultima si farà luce potrà raccogliere anche il disagio e l'inquietudine della piccola borghesia, ma in assenza di una iniziativa rivoluzionaria del proletariato gli aut-aut posti dal capitale per bocca di Kohl non possono lasciar spazio ad alcuna alternativa vuota, di pura chiacchiera, al capitalismo reale .

... e quello della classe operaia

È pacifica la constatazione che la classe operaia è priva di un suo partito, un Partito Comunista che dichiari chiara ed alta la necessità della presa del potere da parte proletaria; ma il malcontento proletario è così profondo da tradursi nella sfiducia verso tutti i raggruppamenti vecchi e nuovi presenti sulla scena della RDT, essendo ben possibile che le uniche istituzioni credibili agli occhi dei proletari tedesco-orientali siano quelle di Bonn. Per intanto la classe operaia ha cominciato col prendersi alcuni pezzi di "libertà": diritto di sciopero ed attività sindacale indipendente dal regime, e con queste acquisizioni strappate sul campo dovrà venire a fare i conti comunque la borghesia tedesca.

Le forti rivendicazioni economico-sindacali agitate dalla classe operaia tedesco-orientale (aumenti salariali, diminuzione dell'orario di lavoro, riconoscimento d'un sindacato indipendente) non devono essere intese quale nuda e cruda espressione del sano egoismo di classe, del rifiuto operaio delle compatibilità borghesi. Nella sua larga maggioranza essa ritiene che queste vitali e sacrosante rivendicazioni possano essere appagate per una via, per così dire, tecnica; ovvero attraverso la riorganizzazione del sistema produttivo con criteri autenticamente razionali, economici, dando spazio - perché no? - anche all'autonomia delle imprese rispetto al "piano centrale" ed alla stessa iniziativa privata, nella convinzione (illusoria diciamo noi) che da una tale via "indolore", e senza la necessità dell'azione sociale e politica rivoluzionaria, anche la classe operaia possa trarre giovamento. La strada più logica e razionale - e pienamente legittima, aggiungiamo noi - del ricongiungimento con l'Ovest, riassume in sé questa esigenza.

Il proletariato tedesco-orientale si muove quindi dentro una politica generale non sua, pienamente interna al quadro borghese, ma anche in questa situazione esso introduce una prima contraddizione per la borghesia tedesca, laddove ignora gli appelli alla calma ed alla pazienza che tutte le forze borghesi gli rivolgono e reclama invece un deciso ed immediato miglioramento delle sue condizioni di vita.

L'esperienza che la classe operaia tedesco-orientale acquisisce anche con le sue lotte presenti rappresenta il primo passo reale verso la separazione dei suoi interessi immediati (e dei suoi scopi ultimi) da quelli della borghesia. Noi siamo convinti che già una avanguardia proletaria ha coscienza che, una volta unificato il paese, si tratterà, per gli operai, di riprendere la lotta, questa volta direttamente contro il vero padrone occidentale e non più contro l'interposta persona (più brutale nella forma, ma più arrendevole nei fatti) del regime "socialista". Questa è la strada che il proletariato dovrà percorrere e non altra più "ideale" ed agevole.

Anche nell'ipotesi audace, ma puramente teorica, di un moto operaio in RDT che sbaraccando il potere dia luogo ad una Comune, avremmo che una tale Comune, priva di una direttiva rivoluzionaria chiara, avversata dagli Stati borghesi e cadendo nel vuoto data l'assenza di un movimento proletario con essa solidale ad Ovest come ad Est, dovrebbe in breve fare i conti con le obiettive leggi dell'economia. Riconoscere cioè - in queste circostanze - la supremazia del capitalismo.

Perciò, l'esito del travolgente movimento delle masse tedesco-orientali non può essere che lo sfondamento ad Est del fasullo confine "socialista" da parte del capitalismo tedesco.

Questo esito, però, non è quello conclusivo giacché nella fase successiva, in un'accresciuta atmosfera di contrasti interimperialisti e di oggettivi contrasti di classe, il proletariato tedesco ritornerà in avanscena, questa volta come una potenza unita, contro gli interessi della borghesia e dell'imperialismo.

L'interludio fra la vittoria borghese e il ritorno classista del proletariato tedesco

Non si deve tuttavia intendere il passaggio al nuovo stadio della lotta di classe in Germania, una volta unificato (nella sostanza se non nella forma) il paese, come un riflesso né immediato né lineare, tali e tante saranno le ingerenze di ogni genere su questo che è il tracciato oggettivo della nuova fase che si apre.

In questa sede limitiamoci a considerare un solo dato economico, quello che si riferisce alla produttività del lavoro, per ritenere con schematica analisi che obbiettivamente esiste un margine economico per cui l'economia dell'ex-RDT riorganizzata su basi pienamente capitalistiche - e fatte salve tutte le misure di welfare che il capitale tedesco dovrà provvisoriamente concedere alle masse orientali per i motivi di cui sopra - può riprendersi e concedere, questo l'elemento che ci interessa, degli utili anche alla classe operaia o perlomeno ad una buona parte di essa.

Abbiamo sott'occhio il dato della VEB Carl Zeiss di Jena, l'impresa più grande della RDT con 70 mila dipendenti, relativo al fatturato: esso è di circa 750 miliardi di lire, ossia un fatturato pari a circa 10 milioni per dipendente (9). Ebbene, un tale valore è assolutamente irrisorio se consideriamo che una qualsiasi impresa nostrana, per dire di un paese imperialista occidentale, difficilmente ha un fatturato sotto i 150/200 milioni per dipendente e diventa addirittura ridicolo se comparato ai colossi ultra-concentrati tedesco-occidentali. Ad esempio Basf, Hoechst e Bayer hanno un fatturato complessivo di 100 miliardi di dollari per un totale di 400 mila dipendenti: circa 320 milioni di lire per dipendente!

Un valore spaventoso che l'organizzazione capitalistica moderna cava fuori dal lavoro operaio, il quale movimenta e vivifica una massa enorme di "lavoro morto" cioè di macchinari e materie prime.

Cosa si cela dietro tale valore?

Il fatturato, cioè il valore della merce venduta, non è che la somma del capitale fisso e delle materie prime impiegate nel ciclo produttivo, del salario pagato all'operaio e del plus-valore a questi estorto e che rappresenta il profitto del Capitale.

10 milioni contro 320 milioni! Quei poveri 10 milioni significano un'attrezzatura antiquata, un salario irrisorio, un profitto non alla altezza ed un mercato asfittico su cui la merce si riversa.

La riorganizzazione su basi modernamente capitalistiche allora significa certo un innalzamento dei ritmi e della produttività operaia, significa certo un taglio ad una pletorica mano d'opera occupata - e qui dovrà intervenire il welfare - ma significa anche un enorme maggior valore, una fetta di torta più grande di quella consentita dai... 10 milioni, da poter distribuire anche ai lavoratori.

Ma vi è un altro fattore che si cela dietro quei 320 milioni. Esso non è un fattore tecnico o meramente economico, ma è un dato sociale e politico: la spaventosa resa ottenuta dal Capitale occidentale è possibile grazie alla sua concentrazione a livello mondiale e ad un pompaggio inaudito di risorse dal Sud del mondo, è cioè possibile, in una parola, grazie all'imperialismo.

Il reparto orientale della classe operaia tedesca entra ora a pieno titolo in quella arena, nell'arena del mercato internazionale, della concorrenza a coltello.

Dopo i vantaggi che gli potranno derivare dallo sviluppo del moderno sistema capitalistico, sperimenterà non solo quanto essi siano pagati con gli interessi al Capitale in termini di spremitura fisica e psichica nella moderna azienda, non solo che essi sono permessi grazie all'oppressione imperialista, ma che sono quanto mai provvisori ed aleatori.

Cosa accadrà quando la crisi internazionale del capitalismo morderà le carni nelle metropoli, morderà le carni del proletariato tedesco?

Hitler! Hitler! Strillano già borghesi e piccolo-borghesi, "amanti della pace" e "sinceri democratici", in una larvata ed infame campagna contro il popolo tedesco.

Hanno i loro buoni motivi per temere.

Noi ne abbiamo per sperare, per credere che sarà il proletariato tedesco - che parla la lingua nella quale Carlo Marx ha scritto "Il Capitale" - a prendere per la gola la loro "pace" e la loro "democrazia" !


NOTE

(1) Dati dal "Corriere della Sera" del 22.11.'89

(2) Cfr. "Inprecor", rivista della IV Internazionale, particolarmente i nn. 296/297.

(3) Intervista a "Repubblica" del 26/27.11.'89.

(4) Il Ministro delle finanze RFT, Waigel, ha proposto un supplemento di bilancio per il 1990 di 7 miliardi di marchi "con il quale finanziare gli aiuti più urgenti per la RDT". "Di conseguenza l'indebitamento statale salirà fino a 33,4 miliardi di marchi" ("Il Sole 24 Ore" del 7.2.'90). Secondo Axel Boje, consulente economico RFT, "nei prossimi 4 anni la ricostruzione della Germania dell'Est costerà, in termini di investimenti, non meno di 930 miliardi di marchi" ("Repubblica", 9.2.'90).

(5) La riforme monetaria porta con sé, ovviamente, quella economica con buona pace della SPD che finge di non saperlo. Waigel così la riassume: "eliminazione di tutti gli strumenti di economia pianificata, libertà di acquistare beni patrimoniali senza alcun limite di partecipazione ed inoltre la sostituzione del marco orientale con il marco occidentale in un giorno "x" a partire dal quale prezzi, salari, affitti nella RDT verranno espressi in marchi RFT" ("Il Sole-24 Ore", 7.2.'90).

(6) Dei "10 punti" di Kohl il terzo ci sembra essenziale: "Il governo federale allargherà radicalmente l'ambito degli aiuti e della collaborazione in presenza di mutamenti sostanziali e irreversibili del sistema politico ed economico nella RDT, vale a dire libere elezioni, modifica della Costituzione, abolizione della economia di piano. Queste non sono condizioni, ma proposte". Vogel per la SPD si era dichiarato sostanzialmente d'accordo con questi punti, ma poi al Bundestag i social-democratici si sono, significativamente, astenuti. Solo i verdi vi si sono opposti in quanto "intollerabile interferenze e condizionamento di uno Stato sovrano".

(7) "Il Manifesto", 1.10.'89.

(8) Il travaglio e l'impotenza di questo settore è ben espresso da questa dichiarazione di Antje Vollmer, deputata verde al Bundestag: "O uno sviluppo autonomo nella RDT oppure farsi fagocitare dalle coalizioni economiche e dalle insopportabili condizioni di Kohl. (...) Che possiamo fare adesso? La tesi della duplicità statale finora sostenuta dai Verdi e da buona parte della SPD perde sostenitori. I riunificatori fanno nuovi proseliti di qua e di là. Ciò ci costringe ad una precisazione: noi vogliamo una duplicità 'morbida' degli stati. (...) Quindi il compito del momento è organizzare diritti di veto politici per la RDT con cui bloccare i ciechi processi dell'economia" ("Il Manifesto", 3.11.'89)

(9) "la Repubblica", Affari & Finanza, 17.11.'89.