LA ESPLOSIVA "QUESTIONE TEDESCA"

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La tumultuosa crisi dell'Est e della RDT ha impresso un'accelerazione fortissima al processo di riunificazione della Germania. Due grandi potenze stanno per risorgere, in una prospettiva sempre più ravvicinata, nel centro dell'Europa: il capitale tedesco unito, il proletariato tedesco unito. È un doppio, tremendo incubo per i massimi beneficiari dell'ordine imperialista sancito a Jalta. Mentre sale ovunque di tono la propaganda anti-germanica, la consegna per il proletariato cosciente e per i comunisti internazionalisti è chiarissima: battersi contro lo sciovinismo non tedesco, innanzitutto, e tedesco, per l'unità del proletariato in Germania, in Europa e nel mondo intero.


Con uno dei suoi imprevedibili scatti, la storia si è messa a correre nel cuore dell'Europa. E così la marcia dell'unificazione tedesca che l'altroieri si misurava in decenni (e col punto interrogativo) e ieri era ancora, nell'ipotesi più favorevole, questione di svariati anni, risulta oggi affare di mesi e addirittura di settimane, almeno per quel che riguarda le prime decisioni "congiunte". Se è vero, come è vero, che la divisione della Germania fu voluta soprattutto dagli USA e dalle democratiche potenze europee vincitrici della seconda guerra mondiale, per punire un pericoloso concorrente borghese e per mettere sotto doppia chiave l'ancor più pericoloso antagonista proletario, non può sorprendere il grande allarme di quei briganti per il processo in corso. Né, dalla barricata opposta, il nostro "evviva!" nel vedere il tramonto di una "pax", di una spartizione imperialista del mondo che ha significato, per la classe operaia e per gli sfruttati, un altro mezzo secolo di sfruttamento e di oppressione.

Lo sciovinismo anti-tedesco

Nel nome - si poteva dubitarne? - della "pace", è partita da Washington, da Parigi, da Londra, da Roma, una perfida ondata di propaganda contro la Germania e contro i tedeschi. Molte le sfumature ed i timbri, uno solo il contenuto: "stiamo bene attenti tutti, noi governi e voi cittadini, popoli, (e, sottinteso) proletari; sta entrando in campo un nostro (di tutti noi) avversario potente e prepotente, che già in passato "ci" ha procurato grandi danni; in guardia, dunque, tutti insieme, governi e masse lavoratrici, dalla Germania che va unificandosi".

La ragione materiale di questa propaganda è trasparente. Il subitaneo crollo del "blocco sovietico" ha aperto, a beneficio dell'intero Occidente, un ampio spazio di mercato, a causa della forzata ritirata strategica dell'URSS di Gorbaciov e della piena disponibilità all'affitto e perfino alla svendita delle proprie economie da parte dei paesi dell'"ex"-patto di Varsavia. Contemporaneamente, però, per l'altrettanto repentino montare della pressione per l'unità tra RFT e RDT, gli USA, la Francia, la Gran Bretagna, l'Italia, si trovano di fronte al rischio assai concreto che la Germania unita faccia la parte del leone nella divisione dei cospicui introiti a portata di mano. Per il capitale finanziario, le multinazionali e la mafia politica di questi paesi, che quest'ennesima grande tranche dei dividendi della "pace" imperialista del 1945 venga intascata dalla nazione vinta, è del tutto intollerabile. Di qui un susseguirsi di furiosi attacchi incrociati contro il presente e il futuro della Germania in nome del suo passato (di nazione... sconfitta) ed una fitta rete di trame volte a frenare, condizionare, imbrigliare il processo della riunificazione tedesca.

La campagna sciovinista della grande stampa, al di qua e al di là dell'Atlantico (ci riferiamo a "The Economist", "Le Monde" inclusa la sua celebre pubblicazione mensile, "la Repubblica", "Time", "Newsweek", e così via), sta unendo abilmente allusioni abbastanza soft e proposizioni di smaccata aggressività. La Germania, si dice, è, purtroppo, una sorta di sfinge, indecifrabile, ambigua. Altrettanto ambivalente è la sua riunificazione. Se sarà un bene (garantendo affari e stabilità all'intero Occidente) oppure un male, è difficile dire - si afferma con apparente agnosticismo. Certo, oggi la Germania è un paese democratico ed occidentale; dunque dovrebbe andare tutto per il meglio (capitalisticamente parlando). Ma..., ma sarebbe sensato dimenticare che il "suolo tedesco" (!) ha generato cose come il militarismo prussiano e guglielmino, il nazismo, il genocidio degli ebrei? Forse nelle viscere di questa nazione si nasconde un "démone" della guerra, che potrebbe generare un quarto Reich. O forse si insinua andando a scomodare Karl Marx e Thomas Mann - l'"avventurismo tedesco" riemerge sempre perché può giovarsi di un propellente di eccezione, il "servilismo militante" tipico del piccolo borghese tedesco. Chissà, è difficile dire. Fatto sta - e qui scompaiono i "dubbi" - che la Germania, specie se unita, è una minaccia grave alla sicurezza, a dir poco, dell'Europa. E perciò, concludono all'unisono i portavoce di quelle borghesie che da secoli saccheggiano e insanguinano i quattro angoli del mondo, di quelle borghesie che per due volte hanno provato la propria superiorità, nel sordido "lavoro" della guerra imperialista, rispetto alla propria consorella tedesca, quanto accade in Germania deve restare sotto il controllo dei "popoli amanti della pace", ovvero deve passare al nostro sovrano vaglio.

È un misto di sentimenti di diffidenza, paura, disprezzo e finanche orrore verso il tedesco in quanto tale, il capitalismo tedesco e il proletariato tedesco presentati come se fossero stati e fossero un tutto unico, che si cerca di eccitare (là dove è sopito) o di inoculare (là dove non c'è) nelle grandi masse, ed anzitutto - si badi bene! - nella classe lavoratrice. Alla lotta per la conquista degli spazi apertisi all'Est e non soltanto all'Est, abbisogna il massimo di "unione sacra" tra le classi: tutta la merda dello sciovinismo anti-tedesco non serve ad altro.

La furibonda lotta perle sfere di influenza

I briganti di Washington e di Londra, di Roma e di Parigi, uniti nella "guerriglia psicologica" contro il pericolo germanico, confliggono tra loro, naturalmente, quando si tratta di contendersi la torta messa a disposizione dal crollo del "socialismo reale" e di contrastare "nel concreto" l'avanzata di Bonn.

Muovendosi nel solco della "realpolitik" suggerita da Kissinger, l'amministrazione Bush sta facendo, di fronte alla riunificazione tedesca, buon viso a cattivo gioco. Il primo ad essere colpito dal balzo in avanti del marco è, infatti, proprio il super-imperialismo yankee, già alle prese con crescenti difficoltà nel mantenimento del primato sul mercato mondiale. Tenuto conto dell'impossibilità di impedire la fusione tra le due parti della Germania, l'America si muove nel senso di minimizzare (per sé) i costi immediati, incamerare i possibili vantaggi (capitalizzando a proprio beneficio la paura di una Germania unita) e predisporsi a contrastare ancora più attivamente il concorrente tedesco in Europa e ovunque. Come? Più o meno con la seguente strategia: "accettare" l'unificazione, sforzandosi però di rallentarne il ritmo e di evitare che assuma connotazioni anti-americane (di qui, e non certo per "disarmismo", la proposta di parziale ritiro delle truppe); mantenere la Germania unita entro la NATO, imponendole una particolare tutela in materia di armamenti; ottenere la associazione degli USA alla CEE quale ricompensa per la "condiscendenza" verso le aspirazioni tedesche e per la loro magnanima disponibilità a concedere all'Europa il proprio patronato in funzione anti-tedesca; lasciarsi la porta aperta con l'URSS venendo in qualche misura incontro alle sue richieste di "garanzie di sicurezza" verso uno Stato tedesco unificato (ferma restando la tradizionale direttrice della diplomazia anglo-americana di servirsi della Germania quale bulldozer, o meglio kamikaze, della penetrazione occidentale ad Est).

Vera quinta colonna di Wall Street e del Pentagono, la Gran Bretagna della Thatcher già strepita di non esagerare nel ritiro delle truppe americane, perché sono gli USA i garanti della "libertà" dell'Europa, dal "comunismo" come dal pangermanesimo, e si ripropone come tutrice n.1 delle "giuste preoccupazioni polacche" sulle mire "revisioniste" (dei confini) del capitale tedesco.

Impotente a frenare la non resistibile ascesa del proprio storico avversario, la Francia di Mitterrand, prendendo atto del rapido eclissarsi della "federazione europea" avanzata da Delors, inizia a ripiegare verso un nazionalismo vecchio stile, tutt'al più aperto, se pure, alla "Europa delle patrie". Impedire alla finanza tedesca di monopolizzare lo "spazio vitale" dell'area del Comecon; far appetire la propria "force de frappe" lasciandosi ancheggiare ora verso Mosca, ora (con maggiore trasporto di un tempo) verso Washington; "imbrigliare" (ecco un'altra famosa paroletta degli anni '20 e '30 che sta tornando di attualità) la Germania entro "sistemi di sicurezza" a prova di... bomba: questi sembrano gli atout e gli obiettivi del capitalismo francese, all'insegna, per ora non apertamente sfoderata - però -, del prima di tutto e sopra di tutto la Francia.

Anche l'Italia, naturalmente, prende parte al coro anti-tedesco nel nome della "unità europea", della "sicurezza europea" e della "intangibilità dei confini", tutti ipocriti richiami di bandiera dietro i quali c'è, come per gli altri alleati-concorrenti, la pura e semplice difesa degli interessi del capitalismo made in Italy. Rispetto ad essi, però, l'Italia - che pure si è sempre espressa, fin che ha potuto, contro la riunificazione della Germania - è da un lato meno direttamente e immediatamente coinvolta sia perché non è tra i tutori militari della Germania, sia perché non è contigua alla Germania, e si trova dall'altro in una posizione davvero particolare, in quanto la catastrofe dei regimi "socialisti" le ha aperto una pista molto appetibile su cui parte in vantaggio. Anche per l'Italia, infatti, "in queste settimane, è caduto un "Muro": quello che, dal 1945, - scrive G.Miglio su "Il Sole 24 ore" del 20 dicembre - aveva sbarrato la strada più tradizionale e importante della nostra politica estera: la via verso la valle del Danubio. L'Italia, infatti, è sempre stata un interlocutore privilegiato, e soprattutto "naturale", dei Paesi balcanici", per cui questa riapertura "è una prospettiva esaltante per gli imprenditori, per i tecnici e (n. b.) i lavoratori del nostro Paese". La "filosofia" degli accordi di cooperazione regionale esprime appunto le brame italiane sulla Slovenia, sulla Croazia, sull'Austria (che, sulle orme dell'approccio di Benito verso l'Austria di Dollfuss, "ci" apprestiamo di nuovo a contendere, come zona di influenza, alla Germania) e, se si può, anche un po' oltre. Proprio per questa sua peculiare collocazione, oltre che per il solido intreccio di legami con l'economia tedesca e per il suo "naturale" doppiogiochismo, il capitalismo italiano, più che esporsi nella prima fila dell'attacco anti-tedesco, pare orientato ad usare la propria partecipazione al coro anti-Germania quale possibile merce di scambio con Bonn (tanto per dire: solo da qui è venuta qualche manifestazione di comprensione per "l'interesse tedesco" a ridiscutere "pacificamente" la linea dell'Oder-Neisse, purché - s'intende - l'elefante tedesco "ci" lasci spazio verso il nostro nord-est...).

L'URSS della perestrojka e del "socialismo democratico e umano", benché alle prese con una enormità di problemi, partecipa anch'essa, sulla difensiva, alla contesa ed all'accensione dello sciovinismo anti-tedesco, protestandosi non ostile alla riunificazione purché la Germania unita sia neutrale e smilitarizzata e sempre che tutti i "popoli" interessati diano il loro consenso, trattandosi comunque di una nazione che deve avere una "sovranità limitata".

Inutile dire che tutta questa demagogia reazionaria ha come effetto certo, e certamente non indesiderato, di favorire la diffusione, in Germania e presso le popolazioni di lingua tedesca, dello sciovinismo tedesco.

Il capitalismo tedesco, rinato per la seconda volta dalle proprie ceneri "più forte che pria", sente di avere il vento in poppa e torna a cullare - tra mille dinieghi ed il solito, antico problema: fare i conti con il proprio proletariato anch'esso in via di riunificazione - il suo storico sogno di conquistare l'egemonia continentale, sull'Europa centrale in prima istanza, come base per assurgere al rango di potenza mondiale a tutti gli effetti. "Dio benedica la Germania", ha invocato Kohl da Dresda. "Il treno tedesco non sarà fermato da chi si nasconde dietro l'Europa", gli fa eco laicamente, ma sulla medesima lunghezza d'onda, il socialdemocratico W. Brandt. Il messaggio che la borghesia e la socialdemocrazia tedesca inviano al "proprio" proletariato è anch'esso, sotto il manto del diritto all'autodeterminazione e della riconquista della "parità" per la nazione tedesca, un messaggio di "guerra", imperialista ed antioperaio.

Dove sta l'interesse del proletariato

Davanti alla decomposizione dell'ordine di Jalta, al riesplodere della "questione tedesca", all'inasprimento delle contraddizioni inter-capitalistiche ed al rilancio alla grande dello sciovinismo che a questi fenomeni si accompagna, noi marxisti fissiamo come segue la nostra posizione:

1) siamo per la riunificazione della Germania in una qualsiasi forma, non già, evidentemente, perché abbiamo un debole per il pangermanesimo (la cui sola alternativa storica "progressiva" è il socialismo in Germania e a scala internazionale), bensì perché questa unificazione fa cadere una barriera divisoria quanto altra mai artificiale ed odiosa, posta nel mezzo del proletariato europeo, che è stata negli scorsi decenni causa non secondaria della sua debolezza, quale. classe per sé.

Senza nasconderci le difficoltà che abbiamo di fronte (di cui parliamo in altri articoli di questo giornale) salutiamo perciò con entusiasmo il risollevarsi del secondo gigante che inquieta tutte (e quella di Bonn per prima) le cancellerie imperialiste: quel proletariato tedesco che per tradizioni teoriche, organizzative e di battaglia, per potenza e compattezza materiale, per la posizione strategica che occupa, per la sua multinazionalità (vero punto d'incontro tra Nord e Sud) è il nucleo centrale del proletariato della metropoli europea.

2) La causa dell'acuirsi della lotta per le sfere di influenza in Europa e nel mondo non sta, come vorrebbe l'infame mistificazione corrente, nella ricomparsa sulla scena del "démone" tedesco, ma nel modo di essere e di funzionare anarchico, crescentemente antisociale, del capitalismo mondiale in quanto sistema unitario e nell'avvio del suo ciclo di crisi storica. Nel sistema capitalistico non può esserci né eguaglianza, né vera cooperazione, né stabile convivenza pacifica tra le nazioni, poiché le relazioni sul mercato mondiale (ben dovrebbe saperlo l'Europa) sono regolate solo e soltanto dai nudi rapporti di forza. Gli "spiriti animali" con cui il proletariato deve fare i conti sono, perciò, quelli dell'intero sistema.

3) Nella competizione inter-capitalistica, la cui posta è sempre la supremazia nello sfruttamento della forza-lavoro, sia in tempi di "pace" che di guerra, il proletariato non ha preferenze da fare per l'uno o l'altro stato o "fronte" imperialista: deve combatterli tutti, poiché non ve n'è nessuno "migliore". V'è, però, il peggiore, il più fetente, che è il più forte, quello maggiormente in grado di prolungare, contro il socialismo, l'esistenza della società capitalistica, ed è generalmente quello che, proprio in virtù dei mezzi materiali arraffati nei secoli, può consentirsi il più alto grado di mistificazione dei propri fini, il "massimo" di democrazia e di "pacifismo": l'Inghilterra di metà fine '800, gli USA del 1940 e oltre. È per questo che, senza nulla concedere - specie in Germania - al rinascente nazionalismo germanico, i rivoluzionari e l'avanguardia più cosciente degli operai devono portare una attenzione particolare - specie al di fuori della Germania - nel lottare contro lo sciovinismo anti-tedesco. L'indefettibile politica di unità delle forze della classe fissata definitivamente nel "Manifesto del Partito comunista" richiede che venga combattuta ogni e qualsiasi forma di sciovinismo, ed innanzitutto quello della "propria" borghesia. Giusto l'inverso, tanto per cambiare, di quel che fanno sia Occhetto sia i suoi terribili oppositori "anti-yankee"...