Classici del marxismo, ieri e oggi

RILEGGENDO "TERRORISMO E COMUNISMO"
NEL MEZZO DEL GRAN GALÀ DELLA DEMOCRAZIA

Indice


Il tracollo dei regimi tardo-stalinisti dell'Est Europa ha dato la stura ad una martellante propaganda sulle "virtù" della democrazia borghese in contrapposizione a quelli che sarebbero i vizi organici del comunismo: Il "totalitarismo "e la "violenza": In questa orgia di menzogne e di melassa, è stata completamente stravolta la realtà vera dei rapporti sociali e politici propri, da un lato, del capitalismo, e dall'altro, della transizione al socialismo. Con l'aiuto dello splendido libro di Trotzkij, "Terrorismo e comunismo", proviamo a mettere in chiaro almeno alcuni aspetti di fondo della questione.


Dai giorni della Tien An Men in crescendo rossiniano fino a quelli del colpo di stato in Romania, un coro è salito in Occidente: democrazia! Democrazia! Ministri e barbieri, preclari accademici e cronisti sportivi, alti prelati, re in esilio e pornodive, "terroristi" pentiti e impuniti terroristi di stato, partiti reazionari e partiti "di sinistra", anche "estrema": in un vero e proprio delirio senile (duecento anni, e li dimostra!), è stato tutto un lodare, un invocare, un intimare la democrazia.

Ce n'è per ogni gusto: monarchia costituzionale (demonarchia) e democrazia cristiana, liberaldemocrazia e socialdemocrazia, democrazia socialista e finanche democrazia comunista. Lungi da noi fare di tutte queste... erbacce un solo fascio. Eppure queste prospettive, tra loro tanto diverse ed "alternative", un termine medio comune, di sostanza e perciò anche di lessico, lo hanno: democrazia. Ed altrettanto accomunante (nel... pluralismo, certo) è il fatto che questa paroletta magica, ringhiata o gorgheggiata che sia, è detta sempre in opposizione, se non a scherno, verso il comunismo che si vorrebbe declassare a barbaro "dispotismo" e, naturalmente, seppellire insieme con lo stalinismo, proprio quando è invece, nelle cose, più vivo e necessario che mai.

Attraverso questa immonda cagnara, la borghesia, giovandosi della collaborazione dei capi socialdemocratici del movimento operaio e di altre comparse "di sinistra", chiama alla spiccia la classe operaia ed i lavoratori a riconoscere la "superiorità storica" delle proprie istituzioni politiche "libere" e "democratiche" e, perciò, a sottomettersi a quella forma di organizzazione della società, il capitalismo, che lo stesso "socialismo reale" in crisi rilegittima come la sola "naturale", la più "giusta" e, a quel che pare, la meno violenta.

Siamo in presenza di una offensiva ideologica e politica della borghesia, condotta a tutto campo, a cui i comunisti autentici possono e debbono rispondere con le armi della teoria marxista, che è perfettamente adeguata, se ben si guarda, a rispondere anche alla straordinariamente ipocrita ed esangue replica dell'89 che di questi tempi tiene banco.

Cosa c'è sotto l'abracadabra della democrazia

Entriamo dunque nel nostro "arsenale" e peschiamo un'arma (t-e-o-r-i-c-a: intenda bene il censore) che faccia alla bisogna. La nostra mano cade, ... per caso, su Terrorismo e comunismo, un testo che Trotzkij scrisse nel 1920, in polemica con un omonimo opuscolo di Kautsky sulla prima linea di quella guerra civile che il potere sovietico nato dall'Ottobre fu costretto a combattere - e seppe vincere - contro le classi proprietarie spodestate e contro l'imperialismo tutto, quello democratico in testa, anche allora voglioso di ridurre la Russia al rango di propria docile "colonia".

Lo stesso Trotzkij ebbe a presentare così questa sua opera: "Il libro si batte per giustificare storicamente la rivoluzione proletaria. La sua idea fondamentale è questa: che fino ad ora la storia non ha escogitato altri modi per far avanzare l'umanità se non quello di contrapporre sempre la violenza rivoluzionaria della classe in ascesa alla violenza conservatrice delle classi in declino" (1). È, dunque, un'opera di battaglia per il comunismo, redatta materialmente su un campo di guerra, in una situazione che per molti versi era assai diversa da quella attuale, nella quale era ben più nitido quel nocciolo di problemi che è al presente tanto offuscato nella nostra "pacifica" e sonnolenta metropoli. E tuttavia Terrorismo e comunismo, proprio perché non elude nessuno degli aspetti essenziali (non transitori) della questione che abbiamo di fronte, è ricchissimo di elementi di analisi e di indicazioni di estrema "attualità".

Lo è, tanto per cominciare, sul primo aspetto da mettere in chiaro: cosa c'è sotto la democrazia e cosa realmente è la democrazia. È sperimentata abitudine della propaganda dominante concentrare le luci della ribalta sulla sovrastruttura politica e mostrare come là regni, formalmente - aggiungiamo noi -, in astratto, un vero e proprio idillio generale di cittadini "liberi" ed "eguali". Ma se andiamo a guardare al di sotto di questa "maschera" politica, alla base reale di essa, ovvero ai rapporti sociali di produzione, ciò da cui l'ideologia borghese cerca costantemente di mantenere lontano l'occhio del pubblico, il fraterno e pacifico idillio scompare. A1 suo posto troviamo invece una società spaccata in due: da una parte la classe proprietaria delle condizioni, dei mezzi e dei prodotti del lavoro, dall'altra la classe lavoratrice espropriata delle condizioni, dei mezzi e dei prodotti del proprio lavoro; da un lato la borghesia che, avendo nelle sue mani le fabbriche, le banche, le terre, le officine, è despota sul mercato (che è anzitutto mercato del lavoro), dall'altro un proletariato che non dispone di altro che della sua capacità di lavoro, ed è perciò sfruttato e oppresso su quel mercato di presunti uguali sul quale è costretto a vendersi come merce.

Al di sotto di una astrazione di "libera" e "non violenta" cooperazione, c'è la realtà di tutt'altro segno della società capitalistica, che è fatta di schiavitù salariata, violenza e guerra permanente contro i lavoratori (abbiano questi ultimi o meno l'auto di media cilindrata, il videoregistratore e - vogliamo esagerare - la casa di proprietà e l'orto). Dall'accumulazione originaria fino ai suoi ultimi giorni il capitalismo non è stato e non potrà essere altro che questo, in quanto organizza il lavoro sociale non nell'interesse dell'intera società, bensì del profitto e dell'accumulazione di capitali.

Le più antiche e blasonate democrazie europee, scrive Trotzkij nella Introduzione alla prima edizione inglese del suo libro, si fondano, all'interno e all'esterno, "sulla paura, sulla cupidigia, sulla violenza". Già: come nel tagliente disegno di Honoré Daumier, il piedistallo della "civiltà" democratica europea è costituito dal corpo denutrito e martoriato dei continenti di colore (e dei "coloured"... bianchi, gli operai).

Ma se queste sono le concrete relazioni occultate dall'abracadabra democratico, allora la stessa democrazia mostra di avere una sostanza alquanto differente da quella di cui si vanta: la sostanza di uno stato di classe, e non certamente di tutti; uno stato il cui governo, il cui apparato amministrativo, il cui esercito, vale a dire "gli strumenti necessari della supremazia e del terrorismo", sono nelle mani non della cittadinanza, ma di una parte estremamente minoritaria di essa. Quella parte che, oltre che i mezzi di produzione e di repressione, monopolizza anche (o no?) i giornali, le TV, le scuole, le università, le tipografie, le chiese, ed ha quindi anche il potere di produrre le idee dominanti nella società.

La formale eguaglianza, nello stato e davanti allo stato democratico, del capitalista e del proletario, del banchiere e della commessa, è perciò semplicemente una beffa. La democrazia borghese è, afferma Trotzkij citando Engels, "una banda armata per la difesa della proprietà", il cui compito è quello di salvaguardare - non, evidentemente, di "creare", come credono gli anarchici - con ogni mezzo lo sfruttamento e l'oppressione che il capitale esercita sulla massa del proletariato.

Sotto la crosta "pacifica" ed "egualitaria" della democrazia c'è la effettiva, brutale dittatura del capitale sul lavoro, non tanto e soltanto nella fabbrica (una realtà di sistematico dispotismo padronale su cui la recente campagna sui "diritti negati" ha appena appena sollevato il velo) quanto anzitutto nei rapporti sociali in generale. Sotto il luccicante smalto della "civiltà" "antitotalitaria" c'è la più totalitaria dominazione del capitale finanziario sulle sterminate e povere "periferie" che circondano il "centro" affluente. La sua ferocia di classe, che oggi rimane coperta da uno spesso strato di cerone (anche quando non si può fare a meno di qualche strage... democratica, nei cantieri edili o alla stazione di Bologna, nel Golfo Persico o in Palestina), non mancherà di manifestarsi a pieno per quello che è anche qui. Intendilo per tempo, lettore incredulo.

Una forma nuova e superiore di organizzazione della società

Ora, constata Trotzkij e noi con lui, l'esperienza storica non si è limitata a mettere a nudo come funziona il capitalismo e quale è il reale contenuto della democrazia capitalistica, bensì ha posto all'ordine del giorno la possibilità e la necessità di passare ad una forma nuova e superiore di organizzazione della società. Né aspirazioni utopistiche, né tanto meno complotti di piccoli gruppi di rivoluzionari "esaltati", è stato lo stesso capitalismo a portare il mondo ad un bivio, ad una alternativa che non ammette "terze vie": socialismo o imbarbarimento della società. All'indomani del macello del '14-'18, Trotzkij scrive: "L'ultima guerra imperialista risultò essere una manifestazione e al tempo stesso una prova della verità storica che il capitalismo mondiale è arrivato al termine della sua missione di progresso. Lo sviluppo delle forze produttive viene ad arrestarsi davanti a due barriere reazionarie: la proprietà privata (cioè di una parte della società -n.) dei mezzi di produzione e le frontiere degli stati nazionali. Se queste due barriere non sono spazzate via, vale a dire se i mezzi di produzione non sono concentrati nelle mani della collettività, e se non c'è un'economia pianificata (per il soddisfacimento dei bisogni umani, e non in vista dell'accrescimento del capitale accumulato -n.), è inevitabile il collasso del genere umano, dal punto di vista sia economico che culturale".

Quella stessa macchina propagandistica che irride al socialismo, si è specializzata nel rimuovere dalla considerazione e dalla memoria delle masse i grandi eventi catastrofici di questo secolo che esprimono, senza possibilità di repliche, come l'anarchia dell'economia capitalistica abbia, lungo il suo corso storico, conseguenze sempre più devastanti in ogni campo. Ma né un tale silenzio-stampa, né la banalizzazione di questi eventi possono produrre il miracolo di riportare sotto il controllo della borghesia le forze produttive "ribelli". Si tratta di forze materiali, le potenze del lavoro umano associato, che la stessa borghesia ha sviluppato e socializzato ad un grado tale che le si può effettivamente disciplinare e dominare solo rovesciando le "istituzioni antiquate della sovrastruttura (proprietà privata e Stato nazionale)" ed incamminandosi verso "l'organizzazione socialista della vita economica su scala mondiale".

Estrapolazioni teoriciste su un passato ormai "superato"? Beh, se proprio lascia indifferenti il rimando alla crisi degli anni '30, alla seconda carneficina mondiale ed alle decine di guerre con decine di milioni di morti di questo quarantennio "di pace", con il che già saremmo abbondantemente al di là del bene e del male, si ponga mente a quel miliardo di esseri umani (giusto, no?, anche se non vestono... Armani) che nell'era dell'abbondanza patiscono - lo afferma l'ONU, non i pazzi del "Che fare" - la più nera f-a-m-e; e poi a quell'altro 50-60% del suddetto genere che, a causa dell'allargarsi del cerchio della crisi, stenta sempre più a conservare l'attuale livello di sopravvivenza; e ancora a come, da più di tre lustri, il capitalismo mondiale non riesca a liberarsi, nonostante svariate terapie d'urto e l'impiego di sofisticati farmaci, di un mal sottile che si sta avvicinando ai suoi organi più vitali; e... in fatto di "collasso del genere umano" (e sia pure esso - come realmente è - il risultato di furiosi periodi di sviluppo), potrebbe bastare, se non si è completamente imminchioniti.

Ché, in caso contrario, non c'è nulla da fare: la comprensione del corso storico tollera un certo grado di ignoranza, mai - però - la minchioneria e il suo parente stretto, l'empirismo, che arriva a "vedere" questi fenomeni, salvo a precludersene l'intendimento, poiché non sa considerarli come aspetti contraddittori e inseparabili di una totalità sociale che si muove secondo linee obbligate, che "crescendo" imputridisce.

Ecco espresso il secondo punto della replica dei marxisti alla mistificatoria campagna in atto: il comunismo non è né il cieco "totalitarismo" né il "medievale dispotismo" di cui si ha l'impudenza di parlare; è "semplicemente" quella teoria e quella conseguente pratica che, avendo constatata l'esistenza delle necessarie precondizioni oggettive, mira proprio a sopprimere la "violenza strutturale" organica al capitalismo (la divisione della società in sfruttatori e sfruttati e la divisione del mondo in nazioni imperialiste e nazioni dominate) e a realizzare una organizzazione del lavoro sociale non più antagonistica. Ad esso gli USA e l'imperialismo tutto non accorderebbero mai, come han fatto con il "comunismo" di Ceaucescu, la clausola della nazione più favorita, ma, come con la Russia del dopo-Ottobre, fior di pallottole e blocco economico.

Far senza la violenza e il terrore?

Ancorché abbastanza rari, al momento, esistono pur tuttavia "interlocutori" che potrebbero convenire con noi sino a questo punto; e qui arrivati, però, opporci recalcitranti la domanda: "perché il marxismo esclude la possibilità di rovesciare l'ordine sociale capitalistico in via pacifica? non intende, forse, quanto è contraddittoria con le sue finalità l'adozione di mezzi violenti?". Alla questione, evidentemente non nuova, ha già risposto Engels ne "I principi del comunismo" (1847) come segue: un rovesciamento "pacifico" del capitalismo "sarebbe desiderabile (...), e i comunisti sarebbero certo gli ultimi a opporvisi. I comunisti sanno troppo bene che le cospirazioni non sono soltanto inutili, ma addirittura dannose (c.n.)". Sanno però altrettanto bene che le circostanze in cui le

rivoluzioni avvengono sono "assolutamente indipendenti" dalla volontà dei singoli partiti e delle stesse classi in lotta, e che sono proprio "gli avversari dei comunisti (che) lavorano a tutta forza per una rivoluzione", per via della oppressione e della repressione che esercitano sul proletariato.

Gli accadimenti successivi hanno ripetutamente confermato questo giudizio. A partire almeno dalla Comune di Parigi, la borghesia ha dato prova di non essere disposta ad alcuna forma di compromesso quando è in gioco il suo potere e la sua stessa esistenza, e di non avere alcuna remora nel ricorrere ai più selvaggi metodi di azione contro la minaccia della rivoluzione proletaria. Anche quando questa è embrionale

o perfino embrionalissima e lontana: pensate, per non andar troppo lontano, al volume di criminale violenza reazionaria che si è abbattuto sulla "semplice" rivoluzione anti-imperialista in Algeria, in Vietnam, in Nicaragua, in Iran, in Palestina o sul Cile "popolare" di Salvador Allende.

L'esperienza dell'Ottobre illumina ancor più questo dato di fatto. "A Pietrogrado - scrive Trotzkij - conquistammo il potere", per una rara combinazione di circostanze favorevoli, "quasi senza spargimento di sangue". Ciò indusse il proletariato ad un iniziale eccesso di liberalità verso le classi proprietarie che ripagarono il potere sovietico con lo scatenamento di una spietata guerra civile. Fortuna volle che i bolscevichi avessero appreso prima del tempo le leggi che regolano la politica borghese e sapessero servirsi di questa conoscenza per organizzare la prima Armata rossa del proletariato mondiale, capace di battere le armate bianche russe e internazionali...

Per ragioni - lo ripetiamo - indipendenti dalla sua volontà, il proletariato rivoluzionario trova a sbarrare il suo cammino la più potente macchina da guerra che le "scimmie senza coda" abbiano saputo costruire. Non ha scelta: per emanciparsi dalla schiavitù salariata, deve spezzare questa macchina; per spezzarla, deve concentrare al massimo la propria forza ed esercitare senza esitazioni la repressione sistematica della classe sfruttatrice. Violenza contro violenza? Sì, ma è il caso di specificare: violenza rivoluzionaria del fronte degli sfruttati contro violenza reazionaria dei pescecani dello sfruttamento (è una "piccola" differenza che non dovrebbe sfuggire).

Ricomprende questa "ferrea necessità" anche il terrore rosso? Se l'ideologia borghese ha nel camuffamento della sua oppressione di classe la sua vera specialità, il marxismo parla con lingua franca e diretta. Sentite Trotzkij: "Chi di principio ripudia il terrorismo - e cioè ripudia le misure di soppressione e di intimidazione nei confronti della controrivoluzione decisa e armata - deve rifiutare ogni idea di supremazia politica della classe operaia e rinnegare la dittatura del proletariato" e il socialismo.

Piaccia o non piaccia, così stanno le cose.

La democrazia borghese ieri e oggi

Due obiezioni a raffica contro la nostra "scolastica" o "insostenibile" ripresa di queste posizioni "classiche": 1) tutto ciò poteva andare bene (se pure...) di contro a regimi autocratici come lo zarismo o a democrazie zoppe, ma non ha senso alcuno nei confronti delle democrazie altamente evolute; 2) tutto ciò è crollato davanti alle "dure repliche della storia" che hanno dimostrato, con la catastrofe del "socialismo reale", che la dittatura del proletariato è soltanto la premessa di un oscuro "totalitarismo" che i "popoli" e gli stessi lavoratori rifiutano.

Non v'è dubbio che, a partire dalla rivoluzione inglese ad oggi, la democrazia borghese ha conosciuto una serie di trasformazioni. Ma quale è stata la sua direzione di marcia? Anche il sistema politico democratico, come il capitalismo, ha avuto un suo corso ascendente, un acme ed un suo inesorabile declino. La democrazia borghese ha raggiunto il suo massimo storico, per così dire, di avvicinamento (che non è stata mai identità, però) tra involucro politico-giuridico e sostanza economico-sociale, laddove e quando "più importante è stato il ruolo svolto nella vita del paese dalla massa intermedia e meno differenziata della popolazione: la piccola borghesia della città e della campagna". Così, per esempio negli Stati Uniti (celebrati da Tocqueville) e nella Svizzera della prima metà del secolo XIX.

Come sostiene giustamente Trotzkij, l'età dell'oro della democrazia è passata. Sviluppandosi, infatti, la società capitalista si polarizza sempre più. Indipendentemente dalla loro consistenza numerica e dal livello dei loro consumi (ecco due "particolari" incomprensibili per i "critici" del marxismo), le classi intermedie svolgono una parte sempre più secondaria e dipendente nella produzione sociale (che è sempre, per noi, il termine di riferimento fondamentale). Questa passa sempre più saldamente in pugno al capitale più concentrato. In parallelo, il proletariato, che cresce esso stesso in forza e in concentrazione con lo sviluppo del capitalismo, da pericolo virtuale si trasforma in minaccia reale per l'ordine borghese, a misura che quest'ultimo viene scosso ab imis da crisi e guerre di crescente portata. Con l'avvento della fase imperialista del capitalismo, anche la sfera politica borghese muta in profondità. Attraverso una "trasformazione molecolare interna", il vecchio assetto della democrazia deperisce. Il capitale finanziario, il leniniano "pugno di monopolisti", sottomette a sé tutte le "risorse" e le strutture della democrazia (non è di questo che va lamentandosi lo stesso Pci "liberal-democratico"?). Cosicché, mentre il giovane capitalismo si era (quasi) identificato con la democrazia politica, il capitalismo decadente si spoglia di qualsiasi "pregiudizio politico". Ai suoi occhi "tutte le forme statali della supremazia borghese", assolutismo, monarchia parlamentare, democrazia, e poscia, come s'è ampiamente visto, fascismo, nazismo, gorillismo, apartheid, e via dicendo hanno la stessa legittimità - a condizione che siano efficaci nel preservare il sistema capitalistico. Se il "Terzo Stato" in ascesa suscitava ed adunava le energie rivoluzionarie del "popolo" contro il feudalesimo, il capitalismo senile non si perita di arruolare, contro i1 socialismo, ogni sorta di forze reazionarie. C'è bisogno forse di esemplificare?

La democrazia borghese, da fattore di progresso, si è trasformata, dunque, in baluardo della conservazione e della reazione sociale e politica. Ancora una volta sono stati il primo conflitto mondiale e la rivoluzione d'Ottobre a porre all'ordine del giorno l'alternativa tra dittatura internazionale del capitale imperialista (con un presidio sempre più violento di un capitalismo sul piano storico putrescente) e dittatura internazionale del proletariato (come levatrice ben tosta del socialismo).

Questo è quanto, riassumendo l'incandescente Terrorismo e comunismo, opponiamo anche a chi, ammettendo l'esistenza di tendenze o di rischi di "involuzione autoritaria" (senza mai scandagliarne a fondo le cause), propone di andare oltre l'attuale democrazia, verso una democrazia compiuta, diretta, partecipata, socialista o addirittura... comunista. Di andarci - s'intende - democraticamente.

Le vostre, illustri "compagni", sono chiacchiere che hanno una base reale sempre più definitivamente inconsistente. La centralizzazione della ricchezza e del potere, infatti, non solo non si è arrestata, ma raggiunge giorno dopo giorno strabilianti record. In un mondo in cui venti banche, cinquanta (per eccedere) multinazionali e quattro o cinque stati usurai monopolizzano, all'interno della stessa classe borghese, lo sfruttamento del lavoro salariato, e detengono il potere di vita e di morte non solo sull'immensa massa degli sfruttati, ma anche sulle altre aziende e sugli altri centosessanta stati formalmente indipendenti; anche la democrazia che voi tanto decantate, se non altro in quanto "perfettibile", si è sempre più centralizzata e blindata non soltanto contro l'ipotesi di una presa del potere "pacifica" da parte della classe operaia (che un secolo e mezzo fa poteva, in date nazioni e circostanze, non essere del tutto esclusa); non soltanto contro le togliattiane "riforme di struttura"; ma perfino contro il miserrimo "potere di interdizione" di quelle stesse "opposizioni" che sulla democrazia han fatto giuramento solenne. O no?

Ci sentiamo perciò pienamente autorizzati a concludere che, ad onta della moltiplicazione di facciata di istituti di rappresentanza e per giunta anche attraverso essa, la democrazia imperialista è sempre più (altro che superamento di Marx!) un comitato di affari ed una banda armata al servizio esclusivo, totalitario, del grande capitale, un apparato terroristico senza pari nella storia. Per liberarsene il proletariato metropolitano e le masse sfruttate del terzo mondo dovranno far ricorso a mezzi un po' più... pratici e dissuasivi delle schede elettorali. O delle lotte finalizzate ai "giochi" parlamentari. Oggi più (e non meno) di ieri.

Soviettismo e "totalitarismo"

Che lo sfascio dei regimi "socialisti" dell'Est costituisca una bruciante smentita della possibilità di rovesciare i rapporti sociali e politici capitalistici, è una affermazione che si basa esclusivamente sulla consapevole menzogna (2) della esistenza di una linea di continuità tra l'Internazionale comunista dei primi anni '20 e lo stalinismo, tra il potere sovietico nato dall'Ottobre e il "socialismo reale", del quale ultimo - è chiaro - noi non difendiamo alcun aspetto, e non già perché totalitario, bensì perché borghese ed anticomunista (ancorché abbia assolto in Russia e in Cina il compito "rivoluzionario" di costruire capitalismo).

Prima: il trionfo del "totalitarismo staliniano" è stato il risultato del... mancato totalitarismo rivoluzionario, ciò a cui ha contribuito a pieno la "democrazia", tanto con mezzi "pacifici", quanto con il dovuto spargimento di sangue proletario e comunista (Germania 1919, e non solo). Questo "totalitarismo" è stato attivamente salutato, fomentato e utilizzato per la conservazione dell'ordine dittatoriale borghese, a cominciare proprio dalla socialdemocrazia, che mai concluse fronti unici con la dittatura del proletariato ma ben si accomodò a farne con il "totalitarismo" di Baffone. Non dimentichiamo, poi, che proprio all'insegna della democrazia borghese si è realizzato, con il concorso di quel "totalitarismo" su cui oggi sputano i borghesi, lo scannatoio della seconda guerra mondiale.

Seconda: ora il "dispotismo comunista" dell'Est cade e si ricicla democraticamente, ma può farlo solo a condizione di sottomettersi e di sottomettere il proprio proletariato al ben più solido terrorismo effettuale del capitale imperialista di Occidente. I fatti proveranno come questo passaggio agli ordini diretti del FMI e delle banche occidentali non porterà con sé la "conquista della democrazia" né la promessa "pace". Polonia e Jugoslavia ne sanno già qualcosa.

Altrettanto e forse più mistificatoria è la tesi secondo cui i regimi del "socialismo reale" testé caduti, oppressivi sui lavoratori, sarebbero stati la "naturale" conseguenza del soviettismo. Ha avuto ragione Kautsky, si dice: "non si va alla democrazia attraverso la dittatura".

Anzitutto: non solo in quanto schema e programma teorico, ma come incontestabile esperienza pratica, la rivoluzione proletaria in Russia e in Europa suscitò l'entrata in campo e la partecipazione attiva di grandi masse di sfruttati alla instaurazione del potere sovietico ed alla direzione della società. Non vi è dubbio che, rispetto al regime parlamentare, il regime dei soviet era, per usare ancora un'espressione di Trotzkij, "più direttamente ed onestamente legato alla maggioranza del popolo che lavora duramente"; che esso operò per "immettere realmente" nella vita politica masse sempre più ampie di proletari e le masse contadine perché imparassero, sotto la guida del partito comunista, a "governare il Paese secondo gli interessi delle classi lavoratrici"; e che, addestrando il proletariato a difendere i propri interessi generali ed educandolo a divenire, da classe subalterna nelle singole nazioni, forza determinante, per sé, della politica mondiale, il potere sovietico dimostrò di essere "una democrazia un po' più profonda del parlamentarismo". Non è forse in ragione di queste loro caratteristiche che i soviet russi - primo passo della dittatura internazionale del proletariato - si sono meritati l'odio eterno degli sfruttatori e la fraterna solidarietà dei proletari coscienti?

Certo, l’isolamento della rivoluzione in Russia, un paese in cui per giunta il capitalismo (e perciò il proletariato) era scarsamente sviluppato, portò di necessità, per far guadagnare tempo alla rivoluzione in Europa e per realizzare più a pieno lo stesso potere sovietico, ad un "supplemento" di energia concentrata che il partito e lo stato sovietico (per niente affatto "puramente" operaio) furono costretti ad esercitare, sul piano immediato e locale, piuttosto nel senso della "separazione" che del "ricongiungimento" con l'attività "ideale" delle più larghe masse. Nessuno meglio di Lenin avverti la contraddizione (che era in rebus) e la possibilità che divenisse, con il perdurare dell'isolamento, insanabile. In tal caso non era certo previsto dal bolscevismo l'allargamento della democrazia (fino alla Costituzione più... democratica del mondo) in parallelo alla chiusura entro i confini borghesi del "socialismo nazionale", ma il contrario: passaggio all'opposizione rivoluzionaria (nell'impossibilità del perdurare del potere proletario) ed attesa e preparazione per la ripresa internazionale della rivoluzione proletaria. Se quest'ultima "si accartocciò" e "scomparve" non fu certo per difetto di democrazia, ma viceversa perché non riuscì ad avere la forza materiale di spezzare (antidemocraticamente) altri e più decisivi anelli della catena del capitalismo mondiale, e quelli democratici per primi.

"Qui e ora"

In sintesi: la forsennata propaganda anticomunista di questi mesi cerca di nascondere, dietro false contrapposizioni, la vera alternativa della nostra epoca, quella tra capitalismo e socialismo. Il passaggio ad un'organizzazione e conduzione della società posta nelle mani e regolata secondo gli interessi del proletariato del mondo intero, è, a questo punto della storia, l'unico modo per "far avanzare l'umanità". Questa avanzata è ad un tempo materialmente possibile e ormai urgente. Non potrà, però, essere "pacifica", "democratica", "non violenta", poiché la classe irriducibilmente ostile al comunismo, anche e soprattutto quella sua parte che può essere "democratica" in quanto depreda e violenta monopolisticamente il lavoro salariato (3), ha già provato urbi et orbi che non dimissionerà. Dovrà essere sconfitta dalla rivoluzione proletaria con la forza.

Questo "alla fine". E ora che dalla fase "finale" siamo lontani? Nella attuale situazione "pacifica", quello che distingue i difensori "di sinistra" della democrazia, e cioè del capitalismo, dai rivoluzionari comunisti, non è soltanto la indicazione dello scopo ultimo (c'è un certo numero di schiettissimi democratici che si professano "comunisti", ancorché in... orizzontale), ma anche ed inseparabilmente la pratica politica che si fa.

Molle, duro o in sonno, il riformismo deprime l'antagonismo proletario, perfino quando attizza - e lo fa spesso - la conflittualità, poiché trasmette alla classe il proprio scetticismo tanto nella sua missione storica quanto nella sua forza presente, e le inocula la propria soggezione e lealtà alla società ed allo stato borghese, agendo dalla distanza - è ancora un'espressione di Trotzkij - da "organizzatore di disfatte".

I comunisti, invece, in coerenza col loro programma, lavorano a far emergere e potenziare l'antagonismo del proletariato alla classe sfruttatrice, a fargli acquistare fiducia nelle proprie forze (anche e soprattutto in quelle potenziali), a spingerlo all'auto-organizzazione, ad estendere le lotte che intraprende, a comprendere - attraverso l'esperienza - quale macchina di oppressione e di repressione anti-operaia è la democrazia borghese. In questo modo, servendosi di tutti i mezzi utili alla lotta del proletariato, compresi quelli che la democrazia imperialista, suo malgrado, "riconosce" alla classe, immettono nelle masse anticorpi rispetto al virus della impotenza e del "pacifismo" democratici, e predispongono da lontano il terreno al soviettismo ed al totalitarismo rivoluzionario. Anche quando, in apparenza, si tratta "solo" degli autoconvocati, dei "diritti negati" in FIAT o della conquista del posto di lavoro da parte dei disoccupati...


 NOTE

(1) Per non appesantire la lettura, omettiamo di indicare le pagine e quali sottolineature sono di Trotzkij, quali nostre. L'edizione di Terrorismo e comunismo da cui citiamo è quella Surgarco del 1977.

(2) Un solo esempio tratto da Kissinger, Punti fermi, Milano, 1981. Redattore di "Der Spiegel": "Noi non conosciamo nessun paese marxista. Lei ne conosce uno?". Kissinger (in un attimo... fuggente di debolezza del bispensiero): "Di sicuro non a est della cortina di ferro" (pag. 174).

(3) Questo processo si attua, nei paesi dominati dal capitale finanziario, attraverso le più aperte e feroci dittature borghesi, che sono le vere basi d'appoggio della "democrazia" imperialista nel terzo mondo. Per l'Italia si pensi a regimi esistenti in "protettorati" (esclusivi o parziali) quali la Somalia e la Tunisia, o in paesi con cui l'Italia intrattiene ottime relazioni economiche e politiche, quali l'Iraq, Israele, le Filippine, il Sud-Africa, il Guatemala, il Salvador, etc. etc.