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Lettere

 

Un abbonato di 16 anni

Cari compagni,

sono uno studente medio di 16 anni, e vorrei abbonarmi al vostro giornale. Potreste inviarmi una copia del "Che fare"? Mi abbonerò nel giro di quindici giorni. Finanziare nel limite delle mie possibilità un partito rivoluzionario è per me un gran piacere.

Saluti comunisti. Napoli

Gennaro

 

Questa lettera è uno dei segnali dell'attenzione che il nostro giornale ed il nostro lavoro cominciano a ricevere anche da parte dei più giovani. Inutile dire quale ... gran piacere sia per noi captarli. Ossigeno puro!

Sazia e sicura del domani, solidamente conservatrice è solo una parte minoritaria della gioventù. La grande massa della gioventù proletarizzata ha molte ragioni di disagio e di scontento. Vede il proprio futuro sempre più incerto. Avverte la minaccia e sperimenta sulla propria pelle la pena della disoccupazione, propria, degli amici, dei parenti. Sopratutto al sud, ma non solo al sud. La rabbia per le sperequazioni odiose, per il lavoro nero, per le autorità legali e le camorre illegali che vogliono piegarti la schiena ad una disciplina da servi ... Quanto fuoco cova sotto le ceneri!

 

Una cadenza realmente bimensile per il "Che Fare"

Cari compagni,

sono un vostro assiduo lettore. Innanzitutto vi voglio "rin­graziare" per il grande contributo che date, con il giornale alla defini­zione marxista delle questioni: pen­so al prezioso contributo offerto dal "Che fare" sulla guerra del Golfo (in un panorama politico desolante, anche nella "estrema sinistra") e sulla questione araba in generale; penso alla crisi jugoslava e dell'ex campo "sovietico"; penso all'anali­si dell'imperialismo e della ristrut­turazione capitalistica dello stato; penso al bilancio del movimento di lotta dello scorso autunno, etc.

Il dipanarsi tumultuoso degli eventi non lascia fiato e la necessità di stargli dietro richiede uno sforzo editoriale -non solo, certo- maggio­re. Perché non garantire al "Che fare" una cadenza realmente bi­mensile? Passare, cioè, dai tre nu­meri ai sei. Impegno notevole, me ne rendo conto, date le non molte energie a disposizione, ma necessa­rio.

Condivido in pieno l'analisi svolta sul referendum art. 19. Ri­tengo infatti fuorviante questo ter­reno d'intervento, oltre che perico­loso in quanto occasione di fram­mentazione e divisione del fronte di classe. Il "sindacalismo di base", derivato di una gestione collabora­zionista di CGIL-CISL-UIL, sbaglia ad autocandidarsi come "alternati­va" pensando che questa passi at­traverso il salto di tappe necessarie da compiere, dai proletari, o addi­rittura scorciatoie... referendarie.

C'è da considerare, comunque, che se "la trattativa che il sindacato sta conducendo con il governo e la Confindustria sul costo del lavoro (...) produrrà un altro 31 luglio, la frammentazione delle forze sarà il risultato scontato e pericoloso per la società e i luoghi di lavoro" (de­legato dei Consigli Unitari, "il ma­nifesto" 20/3/'93). A tale proposito rimane sicuramente fondamentale ribadire il concetto-chiave che "deve essere organizzata la mobili­tazione dell'intera massa proletaria dello stabilimento, in direzione e connessione dell'unificazione e del­la scesa in campo di tutto il proleta­riato italiano nella complessiva ver­tenza che lo contrappone a governo e padroni" (Che Fare. n.26). Nello stesso tempo è anche necessario in­dicare in termini più precisi quali possono essere le modalità pratica­bili dell'intervento "sindacale" nelle situazioni materiali dello scontro di classe, nelle fabbriche in primis. Si potranno offrire ai lavoratori, se­guendo questa strada, "armi da combattimento" più adeguate al­l'entità dello scontro per una defini­zione classista della risposta prole­taria all'attacco padronale. Per ora è tutto. Buon lavoro, compagni!

Fraterni saluti comunisti.

 Roma, 27131'93

Antonio

Siamo completamente d'accordo con il compagno che ci scrive quan­do sottolinea la necessità di un mag­giore sforzo editoriale sì da consenti­re al nostro giornale una diversa, più serrata, cadenza, almeno realmente bimensile. Ma questo obiettivo, di­ciamolo con franchezza, deve fare i conti con le nostre limitate forze.

In generale, gli obiettivi che 1'OCI si propone superano oggi, di gran lunga, le nostre possibilità. I militan­ti che possiamo impegnare, ed i soldi che possiamo spendere (un aspetto non secondario), sono enormemente al di sotto dei nostri bisogni. Perciò rivolgiamo a chi ci segue e condivide la nostra lotta l'invito a partecipare attivamente ad essa con la propria militanza e con il proprio contributo anche materiale. Una collaborazione che può, naturalmente, avere una va­rietà di forme, dalla spedizione di informazioni, lettere, materiali per il giornale, fino alla presa di contatto con le sezioni per una conoscenza diretta della nostra attività e la parte­cipazione, in varie forme, ad essa.

Quanto poi alla richiesta di una maggiore precisazione, da parte no­stra, circa le modalità dell'intervento sindacale in fabbrica e nei luoghi di lavoro, a noi sembra di essere in ge­nere il più possibile precisi, sempre tenendo conto di quale è (può esse­re) il nostro compito nelle lotte im­mediate oggi, e cioè quello di indica­re i criteri, gli orientamenti di massi­ma a cui rapportare l'azione sindaca­le. Equanto ci sforziamo di fare an­che in questo numero, discutendo, tra l'altro, della seconda fase della maxitrattativa governo-sindacati.

Ciò non toglie che in quelle circo­stanze (per ora, eccezionali) in cui la nostra presenza nel movimento di lotta lo richiede e lo consente, non ci ritraiamo né dalla discussione parti­colareggiata delle questioni "tattiche" né da impegni più diretti nella stessa direzione delle lotte.

 

Sulla "piattaforma poli­tica" dell'OCI

Cari compagni,

                sono un vostro convinto simpatizzante e vorrei fare alcune sommesse riflessioni sul "Che Fare" sperando di farvi cosa gradita.

Procedo sinteticamente per co­modità di esposizione.

Scorrendo la collezione del "Che Fare" che mi sembra al momento, l'unico unitario strumento di orien­tamento, di propaganda e di batta­glia politica di cui l'O.C.I. dispone, risaltano subito alcune caratteristi­che.

Centrale è per il "Che Fare" la battaglia politica nel vivo di alcune questioni (...la ripresa della lotta di classe dopo l'esaurirsi del ciclo di espansione del capitalismo e su questa sintonia i vari snodi di que­sto decennio: il nuovo corso Gor­bacioviano e il suo epilogo, l'est e la Jugoslavia, il P.C.I. e il suo per­corso, il sindacato ma sopratutto il tema dei paesi dominati: Golfo, Pa­lestina, Africa, America Latina).

Ora se è stato giusto "interveni­re" su queste questioni, sviluppan­do la corretta tattica comunista, mi sembra che il "Che Fare" ed in ge­nerale l'O.C.I. (almeno nella sua produzione di volantini o in qual­che intervento pubblico), sia un in "penombra" per ciò che attiene ai nodi teorici, alla definizione di un vero e proprio corpo di tesi; in generale ad una battaglia più pun­tuale sui temi del comunismo, del bilancio dell'esperienza della Sini­stra Comunista , insomma sui "trat­ti di identità"..

Ma secondo voi, scusate la ba­nalità della domanda, non occorre­rebbe definire una "piattaforma po­litica" dell'O.C.1.?

Questo non per "sancire" una "nuova" organizzazione che si au­toproclama il "Partito Comunista Mondiale" ma per delineare e so­stanziare (anche informa pubblica e sistematizzata) un lavoro, che cer­tamente avete sviluppato, ma che, dalla lettura del "Che Fare" non emerge, essendo preminenti i temi della battaglia politica nelle varie questioni che si succedono. ( )

Saluti e buon lavoro.

 

Napoli, 2.4.'93

Gastone

 

 E' vero che non esiste un nostro lavoro in cui vengano formalmente allineate tutte le nostre posizioni. Non lo abbiamo prodotto perché si­nora non ne abbiamo avvertita la ne­cessità, la domanda dall"'esterno". Può darsi che il mutare della situa­zione consigli in futuro di redigerlo come OCI (ché come Partito sarà indubbiamente obbligatorio farlo), per l'utilità che potrebbe avere verso una nuova generazione di giovani militanti oppure per l'urgenza di un lavoro internazionale meno asfittico di quello a cui siamo momentanea­mente astretti.

Tuttavia, a quanti hanno la possi­bilità di seguirci da qualche tempo ed in lingua italiana, non può non essere chiaro che i nostri punti di riferimento teorico-programmatici e politici sono quelli (non bisognosi di rettifiche e "rifondazioni" a base di iniezioni liberalistiche) del "Manife­sto" del 1848, dell'Internazionale Comunista di Lenin, della lotta della Sinistra Internazionale contro la de­generazione e il tradimento stalini­sti, della tenace ricostruzione dei car­dini del marxismo portata avanti nel secondo dopoguerra da Amadeo Bordiga. Questo vale anche per quella che si può chiamare la nostra piattaforma politico-programmatica (non ancora un completo program­ma di partito, perché Partito 1'OCI è ben lungi dall'esserlo, per qualità e per quantità, ed altrettanto lungi dal pensare di esserlo). Ci si potrebbe, al limite, rimproverare di voler esse­re sempre troppo "complessivi", di risalire metodicamente dalla singola questione particolare alla totalità del­le questioni, all'insieme della linea. Ma forse questo modo di procedere dà qualche garanzia in più su ciò che si pensa e su ciò che si fa, rispetto a quanti allineano come tesi generali "proprie" documenti di grande peso nella storia del movimento operaio (le cui indicazioni sono per noi tutto­ra integralmente valide), salvo poi "attualizzarli" con analisi ed indica­zioni per l'oggi che con essi fanno a cazzotti.

Dalla parte di lettera non pubbli­cata, accogliamo senz'altro in questo numero la richiesta di dare qualche maggiore informazione sulla nostra attività esterna ed internazionale, e sodisferemo nel prossimo numero la richiesta di fornire un elenco com­pleto delle nostre pubblicazioni.

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