Il PCI verso il Congresso:
crescono le difficoltà del riformismo.

"Quello che si tenta di far passare come un documento coerente è in realtà un patchwork confuso. Insomma, si tenterebbe di contrabbandare per solida bistecca un fragile hamburger". (Il Mondo, 16/12/85).

Sarebbe tempo perso entrare in contrasto col PCI rinfacciandogli la sua "proposta di tesi" per il prossimo congresso in quanto proposta puramente socialdemocratica, che nulla più conserva - neppure nel linguaggio - della tradizione rivoluzionaria del partito di Livorno '21.

Il PCI non ha paura di dichiararsi per quello che esso è e vuol sempre più coerentemente essere, nell'azione politica pratica come in campo ideologico. Sin dalle prime righe, il documento lo chiarisce senza ombra di equivoci. Tanto che la "precisazione" che Cossutta aveva cercato di far introdurre, secondo la quale "i comunisti operano per il superamento del capitalismo", ha scatenato le più vive proteste da parte dell'intero staff dirigente che nel capitalismo ci sta ed intende starci all'infinito, pur "non escludendo" che "la storia" possa "un giorno" metter capo a qualche per ora misteriosa "nuova via", diversa dalle forme capitalistiche attuali, senza per questo nulla aver a che fare col socialismo "reale" o pensabile.

Cadono così le ultime bardature di linguaggio "rivoluzionario". Il progresso lineare e continuo nel capitalismo è l'unica realtà accettata e praticata, ed al massimo si può dire che favorire questo progresso è compito "rivoluzionario" permanente. Un'affermazione dentro la quale possono ritrovarsi benissimo papa Karol e i liberali puri...

Il problema, per i comunisti, è un altro: mostrare come questo riformismo esplicito, nell'attuale periodo storico e nella specifica fase di crisi strutturale dei capitalismo che stiamo vivendo a scala internazionale, trova difficoltà a proporre qualcosa di tangibile alle masse lavoratrici anche e proprio al semplice livello riformista. La differenza tra un Turati ed un Natta sta tutta qui: mentre il primo poteva disegnare un piano riformista organico per i decenni a venire (beninteso dopo aver stroncato dall'interno della classe ogni prospettiva rivoluzionaria), Natta non può che arrampicarsi sulle nuvole di astratte dichiarazioni di principio ed intenzionalità destituite da ogni riscontro concreto nella realtà.

"Nelle quaranta pagine del documento si ripetono più di 130 volte le parole: nuovo, rinnovamento e innovazione. Che significa questa ripetizione eccessiva e quasi ossessiva? In molti casi quei termini servono solo a coprire incertezze, imprecisioni, idee vaghe e generiche". Non lo diciamo noi, ma un protagonista dal di dentro del recente CC per le Tesi, R. Villari. Ma si potrà poi indefinitamente sfuggire al buio del presente per la traiettoria di vaghi sogni di uno sconosciuto "nuovo"?

Nella formulazione delle Tesi, si è detto da parte dei commentatori, l'ha spuntata il "centro" raccolto attorno a Natta con l'appoggio della destra di Napolitano; risulterebbero così battute la sinistra e l'estrema destra degli "emiliani" e di Lama (che,. anzi, s'è prese qualche lavata di testa). Ma ciò che caratterizza questo "blocco" centro destro è innanzitutto la difficoltà a presentare un programma concreto di prospettiva.

Proprio mentre il PCI progetta di compiere l'ultimo passo formale della socialdemocratizzazione con l'adesione all'Internazionale Socialista (dopo - si badi bene - che la CGIL ha già deciso di far parte della CISL internazionale), il riformismo si mostra una merce talmente spolpata da indurre ad una seria "riflessione autocritica" le stesse socialdemocrazie europee, sino alla "constatazione che le esperienze di riforma sociale, di redistribuzione del reddito, di estensione della cooperazione, si sono mostrate con l'incapacità di mettere in discussione i meccanismi di accumulazione" (come si legge in uno dei tanti emendamenti presentati dal "terribile" Cossutta che, per parte sua, raccomanda ai compagni soltanto di prestare orecchio a questa "riflessione" per evitare di diventare più realisti del re!). Ma c'è da aggiungere: la funzione del riformismo potrà mai essere quella di aggredire i meccanismi di accumulazione? E se lo credete, fateci sapere come; se invece credete che quei meccanismi vadano salvati, diteci che genere di riforme potete proporci, visto che la "redistribuzione del reddito" si fa oggi ovunque in senso inverso, dal proletariato al capitale.

Negli anni recenti, il processo di socialdemocratizzazione dei PCI è andato avanti di pari passo con mutamenti profondi nella sua base militante, elettorale e di opinione a danno del primitivo blocco operaio o, comunque, "popolare" ed a favore di una crescita egemonica di figure sociali del tutto extraproletarie e destinate, nella crisi, a darsi obiettivi e programmi apertamente antiproletari (dai "quadri" ai produttori "progressisti", dalla piccola-borghesia intellettuale ai commercianti ed artigiani accumulatori). La possibilità di tenere unito questo ventaglio di forze diverse si sfalda con la crisi e col processo di ripolarizzazione sociale che essa mette in atto. Al di là dei dati elettorali, destinati - secondo noi - a presentare sui medi tempi dei conti sempre più salati al PCI, lo "zoccolo duro" su cui il partitone basa la propria forza è già percorso da troppe incrinature.

Di qui il "patchwork", il pasticciaccio di cui parla Il Mondo con sincero rincrescimento, sensibile com'è all'onda riformista che anche dal PCI viene in soccorso alla sacra causa della difesa del sistema, ma contemporaneamente preoccupato della fragilità che essa manifesta. La crisi capitalistica esige centralizzazione effettiva ed effettiva disciplina, non truppe allo sbando, e la borghesia lo sa bene.

D'altra parte, questa difficoltà a mettere insieme un programma organico purchessia non è solo del blocco centro-destra, ma, talora ancor di più, delle pretese ali sinistre del PCI. Queste ultime, nutritesi del periodo di sviluppo capitalista e delle sovrastrutture politico-ideologiche che l'hanno accompagnato e favorito, non vanno oltre la riproposizione di un riformismo duro sin qui puramente verbale (provatevi a vedere che indicazioni concrete di battaglia, nell'immediato ed in prospettiva, suggeriscano i Cossutta o, peggio, gli Ingrao ... ). Se Natta ripropone i fantasmi della fase precedente, di un indefinito progresso riformatore nel migliore dei mondi possibili, il povero Ingrao vorrebbe una "nuova costituente" per riazzerare la situazione deterioratasi ad un nuovo... '45 e, quanto a Cossutta, questi non va più in là dell'ipotesi eterea di una "strategia riformatrice" comune a vari partiti, ideologie e classi "nel pieno rispetto della democrazia politica" (cioè dell'involucro del totalitarismo effettivo del sistema economico-sociale presente!) per un "progressivo controllo dei processi economici" sino alla "fuoriuscita" indolore dal sistema capitalista "attuale".

Insomma, come avevamo già rilevato nel dossier dedicato al PCI nel n.2 del nostro giornale, la polarizzazione in atto è già tale da non permettere più "sistemi" riformisti organici, anche solo a livello di formulazione, e contemporaneamente non è tale da rendere evidente sino in fondo nella pratica sociale e politica del proletariato la contraddizione antagonista fondamentale che sta maturando e squasserà infine la tranquillità apparente dello stagno borghese.