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Cronache sindacali

La Fiom da Betim

a Mirafiori e ritorno

 

Dal 13 al 21 febbraio una de­legazione FIOM di Torino è stata in Brasile per incontrare il sin­dacato dei metallurgici di Betim ­Belo Horizonte (dove ha sede il più grande stabilimento della FIAT auto brasiliana con 24.300 addetti) e i metallurgici dello stato del Minas Gerais (il secon­do distretto industriale di produ­zione dell'auto FIAT dopo Tori­no con 78.000 addetti nella com­ponentistica auto). Obiettivo dell'incontro: costruire una rete di rapporti internazionali fra or­ganizzazioni sindacali, in pro­spettiva allargato agli altri inse­diamenti FIAT e indotto auto nel mondo. "La globalizzazione del­l'industria automobilistica e del­la FIAT richiede che sindacato e lavoratori trovino gli obiettivi di un'azione sindacale comune che, salvaguardando le reciproche autonomie locali e nazionali (!), consenta di portare il confronto fra capitale e lavoro allo stesso livello di globalizzazione delle imprese multinazionali come la FIAT" (dal protocollo di colla­borazione FIOM-Metallurgici di Betim).

Le prime informazioni raccolte a Belo Horizonte evidenziano il trattamento riservato agli ope­rai brasiliani (i dati sono tratti da un documento FIOM). Il sala­rio in FIAT di un operaio neoassunto è di 482 real pari a 860mila lire e non c'è né 13a TFR (i prezzi in Brasile non sono più bassi che in Italia!). La scala retributiva parametrale è di 100 a 480 (in Italia è 100-220): "bas­si salari - commenta la FIOM - agli operai per garantirsi alti profitti e alti salari a chi deve garantire il controllo sociale del­la forza lavoro". I tempi e i ritmi di lavoro sono unilateralmente gestiti dall'azienda e talmente stressanti che i lavoratori si tol­gono gli strumenti protettivi (guanti, occhiali) pur di fare la produzione; in molte aree dello stabilimento non è riconosciuta alcuna pausa; l'orario medio è di 40 ore e 40 minuti a settimana, su tre turni, con mezz'ora di men­sa in aggiunta e non pagata. La normativa su ambiente e sicurez­za è praticamente inapplicata, non è raro vedere operai in linea con ingessature e fasciature: chi fa più di 7 assenze in un anno viene licenziato! Non ci sono as­semblee sindacali né un sistema o una pratica contrattuale. E le prospettive per questi operai? Una nuova fase di licenziamenti per il crollo delle vendite auto nell'ultimo anno e la "terziariz­zazione" di molte attività (già ap­plicata per logistica e flusso ma­teriali con salari dimezzati).

Queste condizioni non possono non ripercuotersi su quelle della classe operaia italiana. Lo stesso sindacato di qui deve prenderne atto, non potendo sfuggire alla realtà dei "differenziali competi­tivi che la multinazionale... gioca sia al proprio interno che al­l'esterno... dividendo i lavoratori e mettendoli in contrapposizione tra di loro". Salvo il fatto che esso non potrà andare molto ol­tre questa presa d'atto, visto che il suo obiettivo è quello di salva­guardare l'occupazione italiana evitando la fuga dell'azienda ver­so i nuovi mercati (ecco il signifi­cato della "reciproca autono­mia" tra sindacati da preservare) e che il bene supremo della com­petitività del gruppo non viene affatto messo in discussione. Per noi, comunque, una conferma: la globalizzazione pone sempre più all'ordine del giorno la necessità di costruire una reale unità di lotta e di organizzazione tra la­voratori a scala internazionale. Quest'unità, per essere realizza­ta, richiama una prospettiva po­litica di reale difesa degli interes­si operai contrapposti a quelli del capitale globalizzato. L'unità in­ternazionale del proletariato, pa­rola d'ordine storica per i comu­nisti, appare sempre meno un'astrazione lontana e sempre più una possibilità e una necessi­tà dell'oggi.

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