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Contro la manomissione imperialista dei Balcani

GIÙ LE MANI DALLA SERBIA!

Non sappiamo, al momento, se il nuovo minacciato intervento della NATO contro la Serbia ci sarà.
Sappiamo di sicuro che gli USA e gli altri paesi occidentali non smetteranno di preparare le condizioni (il consenso del proprio proletariato) per poter realizzare una nuova aggressione alla Serbia. I pretesti, come s’è visto, si possono fabbricare su ordinazione; una bella strage di massa inventata di sana pianta, con tanto di efferatezze commesse ai danni dei kosovari, come già ampiamente sperimentato in Bosnia e altrove. Se questa volta lo scoop ha fatto flop, risultando marchianamente falso, vuol dire che la prossima volta ci si attrezzerà meglio, magari partendo all’attacco a notizia ancora calda, per evitare che possa essere smontata prima dell’avvio dell’aggressione militare (Iraq docet).

I Balcani rimangono, infatti, uno dei terreni principali di intervento per i vari imperialismi occidentali -sia pure in concorrenza tra di loro- allo scopo di realizzare un controllo diretto nell’area, senza fastidiose entità statali che, come la "nuova Jugoslavia", pretendano di contrattare, o, peggio, di contrastare l’ulteriore penetrazione dei capitali occidentali. E, come abbiamo già più volte segnalato, i Balcani hanno un’importanza strategica per le varie potenze occidentali che va anche al di la dei territori in questione, perché essi rappresentano il trampolino attraverso cui procedere verso altri e più appetitosi bocconi.

Perciò la presa imperialista sui Balcani non sarà mollata se non quando le si parerà innanzi una ritrovata unità del proletariato e dei popoli dell’area in grado di reagire insieme contro le mire espansionistiche delle potenze occidentali, le quali non a caso continuano a soffiare sul fuoco delle contrapposizioni e delle divisioni per portare avanti i propri progetti. L’altra condizione, non meno decisiva in tal senso, è che il proletariato occidentale si determini a opporsi alle ripetute aggressioni ai danni dei popoli balcanici. Entrambe le condizioni sembrano ben lungi dal potersi realizzare nel breve periodo. Assisteremo quindi ancora all’infame balletto di avvoltoi intorno a quel che resta della ex-Jugoslavia per spartirsene i brandelli. Ma continuiamo a ritenere che, se non vi sarà una resa senza condizioni da parte serba, la nuova aggressione che si va preparando non sarà una semplice passeggiata dall’alto dei cieli per gli occidentali, ma che le loro armate dovranno spendersi anche sul terreno, tributando, alfine, anche il loro contributo di sangue e non solo (come gli è riuscito finora in Jugoslavia, Iraq, ecc.) spargendo il sangue delle popolazioni locali. Glielo auguriamo di tutto cuore e lo auguriamo al "nostro" proletariato, affinché si svegli dal sonno profondo e colga, finalmente, il senso vero degli interventi "umanitari" e "pacificatori" dei propri governi.

Registriamo intanto, in quest’ultimo atto della vicenda, un ulteriore passo avanti nella divaricazione del comportamento delle varie potenze occidentali. Una divaricazione che, ovviamente, non ha niente a che vedere con ragioni umanitarie o amore per la verità, ma che testimonia l’insofferenza di alcune borghesie europee verso il tentativo USA di arraffare tutto, lasciando loro solo le briciole. Se gli statunitensi hanno ancora una volta forzato la mano per un immediato intervento militare, altri governi occidentali hanno più o meno esplicitamente preso le distanze dalla versione ufficiale degli osservatori rispetto alla presunta strage di Racak. Precedentemente, in particolare i francesi, avevano denunciato le responsabilità dell’UCK nel provocare gli scontri e i suoi legami con settori della malavita organizzata. Ancora una volta l’Europa in quanto tale non è riuscita a esprimersi con un’unica voce, dimostrando la sua inanità politica. In Italia i distinguo di Dini hanno fatto da contrappunto alle dichiarazioni di D’Alema circa la ovvietà dell’attacco militare e la disponibilità all’uso delle basi Nato in Italia. Il Governo tedesco, che pure punta a giocare in proprio nei Balcani, ha fatto prevalere le istanze antiserbe che caratterizzano la sua diplomazia, a discapito di una visione più unitaria degli interessi europei nell’area.

Nonostante la nascita dell'Euro siamo ben lontani dal realizzarsi di quella unicità di intenti, e a maggior ragione di azione, che sarebbe necessaria per dare all’imperialismo europeo la forza di competere anche sul piano diplomatico e militare con la superpotenza USA. Ma, pure, le cose vanno maturando nel senso di una più precisa affermazione degli interessi europei in chiave antiamericana. Un significativo segnale in tal senso è la posizione che la Lega Nord ha assunto dinanzi al rischio dell’attacco della Nato alla Serbia. Bossi ha denunciato che l’interesse a portare questo attacco è esclusivamente americano, e che anche la "guerriglia indipendentista" dell’UCK non è altro che una messinscena americana, condotta, per di più, da vere e proprie bande di delinquenti che si finanziano con il commercio della droga e criminalità varia. Alcuni deputati della Lega hanno persino incontrato l’ambasciatore della Jugoslavia in Italia per portargli la loro solidarietà contro l’aggressione americana e si sono resi disponibili a fare gli "scudi umani" nel caso l’attacco abbia corso.

Dietro la bossiana difesa dei popoli dalla mondializzazione a stelle e strisce non si agita alcuna voglia di liberare i popoli dall’oppressione imperialista, ma, molto più prosaicamente, il desiderio di estendere il dominio europeo (all’interno del quale collocare gli appetiti padani) ai danni di quello americano. La fraseologia leghista riecheggia termini in voga nella "sinistra" (liberazione dall’oppressione, democrazia, pace, contrapposizione tra un capitalismo americano smisuratamente liberista e uno europeo "più sociale" e "rispettoso dei popoli"), ma il cui contenuto è effimero e inconcludente, se non si travasa in una politica conseguente (e conseguentemente "dura") nei confronti degli americani. L’attuale "sinistra", incaricatasi di smorzare ogni conflittualità sociale per consentire al capitale di portare il suo attacco strisciante al proletariato, non può dichiarare neanche una guerra di parole agli USA, cui è necessariamente tributaria per il ruolo che svolgono nel mantenere l’ordine mondiale. Di questo passo il massimo che può offrire all’Europa è di diventare un capitalismo completamente dipendente dagli USA. La Lega comincia, insomma, a guardare davvero fuori i confini della Padania, e lo fa proponendosi ad alfiere di una politica davvero europea, richiamando, con ciò, in auge i cardini di una politica che, per estendere, il dominio del capitale europeo, si presenta come liberatrice dall’oppressione americana, restituendo all’amico-nemico yankee la pariglia per quel che gli USA fecero negli anni ’60 nel ruolo di decolonizzatori (pro domo propria) dei possedimenti europei in Africa, Asia e America.

Partirà dalla Padania il "riscatto" europeo? Difficile a dirsi. Ma, certo, è più necessario che mai che il proletariato separi le sue sorti da quelle di ogni imperialismo, europeo o nazionale, e che difenda i suoi fratelli di classe balcanici tanto dalla bombe americane, quanto dai confetti avvelenati ricoperti dallo zucchero degli "aiuti" offertigli dai "decolonizzatori" europei, italiani o padani.

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