Napoli

La repressione contro Banchi Nuovi

Quindici disoccupati arrestati, tenuti in carcere per dieci giorni, processati per direttissima e condannati, esemplarmente, per "blocco stradale e manifestazione noti autorizzata": è successo a Napoli, a marzo. Le pene, sospese, sono state di dieci mesi, con un massimo di quattordici per un disoccupato, 300.000 lire (un patrimonio per un senzalavoro!) a testa di multa. Dei quindici, tre erano mamme-di-figli (cosa che ha scandalizzato, noti poco, il giudice), due erano handicappati. Il corteo - caricato con sufficiente professionalità dagli agenti - contava poco più di cento persone: occupava una parte della carreggiata, in un quartiere periferico, di una strada spopolata di negozi...

Non intendiamo, con questi particolari, sollecitare i riposti istinti garantisti di qualche "sincero democratico", lettore (per pura avventura) del nostro giornale. Vogliamo, sulla base di tutto il quadro di riferimento, spiegarci l'atto "repressivo" che ha colpito il Comitato "Banchi Nuovi", contribuendo al bilancio che le sue avanguardie già si sono poste. Un tentativo di spiegazione che potremmo tranquillamente risparmiarci qualora dovesse approdare al semplice assioma: lo Stato reprime chi si muove fuori dalle Sue regole. Assioma, che condito in varia salsa (lo Stato reprime i comunisti; ergo chi è represso, è comunista: vedi anni '70) o riciclato per l'occasione (lo Stato reprime chi si muove fuori dalle compatibilità politiche ed economiche), non spiega il perché del momento scelto dallo Stato e le modalità specifiche adottate, dando, in definitiva della repressione un'idea statica ed astratta. La violenza e la forza sono dati immanenti al rapporto classe dominante-proletariato; non sempre questa "virtualità" si fa atto, né sempre con la stessa gradazione; né ciò dipende dalle programmatiche dichiarazioni delle "avanguardie" di classe. La scelta dell'atteggiamento e dei mezzi nei confronti dei movimenti proletari è contingente, pragmatica, concreta; dettata, per la classe dominante, da una serie di considerazioni politiche; rapporti di forza, coesione delle due classi avverse, posizione delle mezze classi, etc. Il puro uso della forza e dei mezzi squisitamente repressivi è uno degli aspetti che concreta l'atteggiamento dello Stato; parte ineliminabile è, al contrario, l'uso degli strumenti di convinzione (giornali, TV, opionin makers) e di sollecitazione del consenso.

Ogni campagna di criminalizzazione (vista dalla parte dei repressi o futuri tali) è innanzitutto campagna di consenso o di passivizzazione di tutti i potenziali alleati dei "criminalizzati". Sempre, l'atto squisitamente repressivo è preceduto da queste campagne, il buon esito delle quali garantirà il raggiungimento dello scopo dell'atto repressivo, che - come è ovvio - va al di là dei singolo fatto, ma diventa intimidazione a futura memoria, o ricatto, o persuasione ad imboccare strade più "proficue e ragionevoli".

Ogni movimento deve, e dovrà più che mai nella crisi, attrezzarsi a rispondere agli atti dello Stato. La difesa proletaria dalla repressione non è (così come per l'avversario) innanzitutto un problema di quantità di saripietrini, bensì è l’attitudine a guadagnare consenso, a rompere l'isolamento, a valutare costantemente prezzi pagati e fatti pagare all'avversario, ad innalzare tra tutti i partecipanti al movimento la consapevolezza delle difficoltà prima che esse sbanchino le fila del movimento.

Con questi presupposti ogni atto repressivo statuale può addirittura diventare momento di verifica positiva, di crescita, garanzia di tenuta. L'idea stessa di "Stato di classe" (scontata per "i comunisti") si materializza nell'esperienza e centuplica la potenza antiriformista del suo contenuto.

Non è, quindi, per amore della dietrologia o della demonizzazione che è giusto, per il movimento, fare un bilancio della repressione subita, spiegandosene gli scopi.

Del Comitato "Banchi Nuovi", lo Stato ha avuto modo di occuparsi altre volte, negli anni passati. Più recentemente i disoccupati del Comitato di Lotta per il Salario Garantito "Banchi Nuovi" avevano sperimentato l'assiduità del controllo poliziesco, la costanza dei fermi per identificazione (ad ogni attacchinaggio), dei fermi per ore in Questura, delle provocazioni, delle aperte intimidazioni. La polizia dava apertamente ad intendere che controllava ogni passo del Comitato "pronta ad intervenire". Ora, però, poiché l'Italia è, per definizione, "il paese più libero dei mondo", non stava bene reprimere, direttamente, un movimento sociale, fatto di giovani disoccupati, che propaganda la necessità dell'organizzazione e della lotta di massa. Detto fatto; dopo tre anni di "controllo" in poco più di quindici giorni, escono su due giornali locali estremamente diffusi, alcuni articoli nei quali, prendendo spunto da alcune scritte comparse sui muri cittadini, si compiono associazioni gratuite (leggi: illogiche) tra processo Cirillo, cosiddetta "riorganizzazione" del "partito armato", disoccupati dei banchi nuovi. Negli stessi giorni si rispolvera il processo alle lotte di massa dei dopoterremoto nel quale è sotto accusa anche la sigla "banchi nuovi". I disoccupati del movimento attuale si mostrano impreparati, disertano il processo, non capendo che si stanno facendo le prove generali della loro attitudine a difendersi dallo Stato.

Scattati gli arresti, ai giornali cittadini non resta che ricordare, di sfuggita, gli articoli precedenti, chiudendo il cerchio con un'intervista a Mimmo Pinto, ex disoccupato, ex lottatore continuo, attuale prezzolato del ministro del lavoro, il quale si incarica di istradare i disoccupati verso la giusta via...

In uno di questi articoli la spiegazione di tanti mezzi e di alcune squallide comparse. Leggiamo (Il Mattino, 16.3.1986): "... il terzo dato che colpisce è la diversità della richiesta di fondo: non più il posto, centro mitico di tutte le aspirazioni, ma piuttosto un attacco allo Stato di cui non si conosce la reale portata". Quindi il problema, il vero problema è l'obiettivo: il salario garantito. Esso sarebbe, nientemeno, un attacco allo Stato. Solo uno in malafede o la fotocopia ingiallita di un soggettivista annisettanta può ancora credere agli obiettivi economici -grimaldello, incompatibili in quanto tali con il capitalismo. Tutti capiscono che il salario garantito nella accezione più corretta, pari al salario medio operaio presuppone, in quanto tale, il lavoro salariato ed un esercito industriale di riserva...

Se guardiamo, però, agli interventi in corso a Napoli sul mercato del lavoro, comprendiamo la preoccupazione dell'articolista. Le "Misure straordinarie per la promozione e lo sviluppo della imprenditorialità giovanile" sono in fase di lancio; a Napoli e provincia sono nate migliaia di cooperative, ogni giorno decine di giovani fanno la fila alla Camera di Commercio per chiedere informazioni. La legge De Vito non è solo l'intervento tampone in una Regione con settecentomila disoccupati, il sessanta per cento dei quali sono giovani in cerca di prima occupazione. E’ anche un'occasione per sperimentare la nascita e la crescita di un settore sociale, produttivo e non che funga da cuscinetto sociale, integrato e consenziente, in una città dalle "troppe contraddizioni". Tampone o cuscinetto, o entrambe le cose, certamente il piano De Vito è tale da richiamare l'attenzione e le speranze di migliaia di disoccupati giovani e non (la legge parla di cooperative e società costituite prevalentemente da giovani). D'essi, però, pochi, probabilmente già prescelti o comunque messi nelle migliori condizioni, accederanno ai contributi, ai mutui, alle assistenze garantite dallo Stato. Infatti le cooperative e le società dovranno dimostrare "l'economicità di gestione", avere "prospettive di mercato", essere dotate, comunque di fondi propri, di capacità tecniche, prima ancora di poter accedere al vaglio della commissione esaminatrice. Quante supereranno questo vaglio? Poche, probabilmente divise tra cooperative "di partito" e cooperative effettivamente efficienti, secundum legem.

Molte cooperative già sorgono solo sulla base di promesse di questo o quel galoppino; altre solo sulla base della volontà truffaldina di qualche spregiudicato che millanta un credito presso i disoccupati poco informati: di questo ribollire di interesse, dunque, a conti fatti, quale sarà lo sbocco?

Legge De Vito, cooperative che sorgono in tutti i quartieri, nuove aspettative per i fondi speciali per il Mezzogiorno e l'istituenda Agenzia dei Lavoro: un esercito di senzalavoro si mette in moto, invischiato in illusioni, chimere, truffe e promesse, comunque uscito dalla passività individuale.

E se poi a qualcuno, cooperativizzato che sia, gli venisse in testa di applicare alla lettera le tesi CGIL che parlano di un "patto per il lavoro" da conquistare anche con la lotta?

E se poi a qualche aggregazione gli venisse in testa di non sciogliersi, dopo l'esito negativo dei vaglio per legge, e di iniziare una sacrosanta lotta, "ci sia o non ci sia un lavoro"?

L'ampiezza delle illusioni prodotte ridicolizzerà certamente la pochezza dei risultati, in termini di effettiva occupazione, che gli interventi in cantiere conseguiranno.

Affinché tale discrepanza venga accettata come dato fisiologico di un sistema in cui tutti concorrono decubertianamente ("ritenti la prossima volta!"), occorre che nessuna voce diversa accompagni il cammino di queste esperienze.

Il Comitato "Banchi Nuovi" è già una voce diversa, minoritaria fin che si vuole, ma nettamente diversa. Se correttamente usata verso la massa dei disoccupati che si vanno illudendo in queste settimane, c'è il concreto rischio che non tutti, domani, si inchineranno alle "regole ferree" della legge, ritornandosene tranquillamente a casa. Ed allora quella voce va spenta o - in alternativa - va presentata come esterna alla problematica della massa dei disoccupati, "voce politica", eversiva, strumentalizzatrice di per sé.

Ma come si spegne? L'atto repressivo serve a "spiegare" ai disoccupati di banchi nuovi, innanzitutto, che la strada da loro battuta è inutile per i propri problemi, pericolosa e dannosa. Bastone e carota, come sempre. Digos e Mimmopinto. Celere e coop., se si preferisce. Purché quel movimento che cominciava, faticosamente, ad uscire dalle secche dell'intervento di poche avanguardie, ritorni ad essere propaganda sterile, predica di Giovanni Battista nel deserto.

E’ un rischio concreto.

I disoccupati di banchi nuovi non sono marziani, né sono (certamente non tutti!) "comunisti"; risentono, perciò, delle stesse carenze illusorie che portano altri a credere, sulla parola, a leggi, interventi, piani, agenzie... I disoccupati di banchi nuovi, in cuor loro, guardano al "salario garantito" come ad un obiettivo giusto, "bello" ma... tanto, tanto lontano. Se poi a tutto questo si aggiungono le cariche, i giorni a Poggioreale, le condanne...

Ma la "cantata" non va solo ai "banchi nuovi". Va bene intesa anche dalle Rappresentanze di base dei disoccupati, le quali, sebbene all'interno delle illusioni "lavoriste", vorrebbero azzardarsi a lottare in un momento in cui comandamento è che tutto si faccia in silenzio, senza piazza, dentro le stanze affittate nei quartieri o negli studi di tecnici, ragionieri, architetti.

Per questo carattere unitario dell'intimidazione repressiva, giustamente è stata scelta la strada della mobilitazione unitaria: assemblea di massa (indetta da banchi nuovi, dalle Rdb, dai cassaintegrati alfa, dal CNLS-Napoli, da alcuni collettivi studenteschi) con una buona partecipazione e presidio al processo.

Le settimane che seguiranno, stabiliranno, come è ovvio, se o fino a che punto lo Stato ha colto nel segno, centrando tempi e modalità.

Banchi Nuovi è stata ed è tuttora l'unica forma organizzata in movimento di massa che rifiuta la logica della produttività e della centralità dell'impresa. Coerentemente ha cominciato a propagandare obiettivi di difesa reale e di unità tra i diversi settori proletari. Ogni tentennamento di questa impostazione, ogni ambiguità delle rivendicazioni, ogni furbesco annacquamento dell'obiettivo del "salario medio operaio per i disoccupati" per seguire, eventualmente, la massa intimidita dalla repressione, sarebbero, domani, le premesse per il successo pieno dell'azione statale.