Haiti e Filippine

Dietro il "cambio di guardia" sotto controllo U.S.A. covano le braci della rivoluzione

Nella sua qualità di campione della "lotta a tutte le dittature", Reagan ha dato il suo appoggio alla "liberazione" di Haiti dalla dittatura dei Duvalier e delle Filippine da quella di Marcos.

Un cambio della guardia favorito dagli USA nella ben collaudata prospettiva gattopardesca: che tutto cambi perché tutto resti come prima. E se ne sono subito accorti gli stessi commentatori borghesi liberal ("Repubblica" in testa). Com'è mai possibile che i nuovi regimi "democratici" stabilitisi tanto ad Haiti che nelle Filippine non abbiano proceduto ad alcuna seria epurazione dei precedente personale politico-amministrativo, ma se lo siano addirittura tirato dentro quasi al gran completo? Non ha questo cambio della guardia tutta l'aria dei "fascismo senza Mussolini" di badogliana memoria? E, quel che più importa, come non accorgersi che nessuno dei problemi sociali preesistenti è stato affrontato in termini fossero pure un sol pizzico radicali? Perfettamente logico, d'altronde, visto che alla dirigenza dei nuovi regimi c'è lo stesso personale di procacciatori d'affari e compradores per conteo terzi (per conto USA ... ), di latifondisti (famiglia Aquino compresa), di parassiti lustrascarpe dei vero padrone yankee?

Ad Haiti la dittatura "Doc" (dittatura di origine controllata) risaliva al dicembre '56. Con un'agricoltura che occupa il 70% della popolazione attiva, la bilancia agricola è andata sempre più in deficit (81,2 miliardi di lire, pari al 3,8% dei PNL). Caffè e canna da zucchero non danno, evidentemente, da mangiare a sufficienza; o meglio: hanno dato e danno da mangiare profitti enormi alle compagnie USA ed ai loro tenutari locali. L'industria occupa 150 mila persone appena (di cui 44 mila operai di fabbrica) ed è totalmente controllata da 140 imprese nordamericane, che lucrano sul basso costo della manodopera locale (l'intera produzione di essa è direttamente trasferita negli USA). La popolazione haitiana, la più povera d'America, ha pagato il suo pedaggio a quest'opera di rapina con alti tassi di disoccupazione, di emigrazione forzata (ventimila stagionali per il taglio della canna da zucchero solo in direzione della Repubblica Dominicana, ma oltre 500.000 persone - il 10% della popolazione haitiana totale! -, secondo calcoli prudenziali, che hanno preso definitivamente la strada della fuga da questo inferno).

Nelle Filippine il regime Marcos durava dal 1965. Gli USA, "legittimi proprietari" di esse dal 1898, in seguito al trattato di Parigi, gli avevano dato l'indipendenza formale nel 1946, limitandosi a restarne padroni per procura. Ricche di risorse agricole e minerarie (rame, oro, petrolio, nichel e cromo), sono andate "stranamente" incontro ad una crisi economica sempre più acuta negli ultimi anni, in forza della crisi generale dei capitalismo che le metropoli tendono a scaricare il più possibile sulla "propria" periferia dominata/controllata. "Tutti gli indicatori economici passano a poco a poco al rosso: deficit dei commercio estero, calo degli investimenti, disoccupazione grave, tasso d'inflazione che è slittato nel 1984, svalutazione e soprattutto, in un momento così difficile, un forte indebitamento, il terzo al mondo in valore, pari al 30% dei PNL nel 1982. Questo debito estero corrisponderebbe al 75% dei PNL dell'inizio dei 11985". (L'Atlante del mondo '86, ed. "Europeo").

Ce n'è abbastanza per comprendere le ragioni di una rivolta in cui le rivendicazioni di democrazia e quelle di un cambiamento sociale si confondono, per forza obiettiva di cose, non potendosi concepire un'inversione di rotta nell'economia e nella società senza buttare a mare l'odiosa struttura dittatoriale che vi fa da supporto.

Gli USA hanno colto l'insostenibilità di una situazione già segnata da scoppi di rivolta nelle campagne e nelle bidonville haitiane - e dall'eco di esse tra gli immigrati haitiani in USA - e dall'espandersi di una guerriglia "marxista" nelle Filippine che agita con crescente successo la bandiera della riforma agraria e della lotta ai "padrini" imperialisti dei personale politico locale.

Occorreva cambiare e si è cambiato, portando al potere (grazie anche, nelle Filippine, al ruolo di gendarme borghese "progressista" assunto dalla Chiesa) una nuova dirigenza politica. Era possibile ed opportuno farlo. Lo si è fatto, "fondendosi" con le aspirazioni democratiche delle masse sfruttate dei due paesi. Reagan può vantare con soddisfazione lo sventolio di bandiere a stelle e strisce da parte dei rivoltosi haitiani: lo vedete, gli USA sono davvero i campioni della democrazia...

Quel che è più difficile cambiare è la struttura della dominazione e della rapina imperialista. Qui gli aggiustamenti non bastano, perché una Aquino può ben prendere il posto di Marcos, ma quanto a toccare gli interessi USA nel paese è tutt'altra cosa. La democrazia formale può anche costar poco (a certe condizioni), ma gli affari sono affari e la contabilità dei profitti si fa in dollari, non a chiacchiere sulla "giustizia", i "diritti", la "democrazia"...

E quest'ultimo il motivo per cui non si può vedere nel cambio della guardia ad Haiti e nelle Filippine solo l'aspetto truffaldino di una sostituzione di personale politico rimanendo immutato tutto il resto. I problemi reali di fondo restano e sono destinati ad aggravarsi. Lo straccio di sotto-democrazia per procura concesso ai due paesi è destinato non ad occultarli, ma a renderne più evidente la sostanza a non lunga scadenza. Non è da marxisti spaventarsi della "trappola democratica": essa avrebbe un senso reale solo se potesse coniugarsi ad un'effettiva risoluzione dei problemi economico-sociali sul tappeto e questa possibilità (a parte le manovre di "aggiustamento" di breve respiro) è esclusa. La "trappola democratica" non stabilizza la situazione; la rende, al contrario, ancor più incandescente.

Ma c'è un altro motivo per cui i marxisti devono guardare con favore agli avvenimenti determinatisi ad Haiti e nelle Filippine. Ed è la scesa in campo delle masse sfruttate. Dietro bandiere non loro? Certamente vero, se ci si limita a fotografare il presente guardando non più in là dei proprio naso. (E va da sé, lo diciamo per i maliziosi, che i comunisti combattono apertamente e sin d'ora quelle bandiere, non limitandosi ad attendere che esse siano spontaneamente lasciate cadere dalle masse; con un'aggiunta: nella lotta di massa e per la lotta di massa). La questione centrale sta nel fatto che le masse sfruttate non si limitano a seguire delle insegne senza contenuto od a contenuto apertamente controrivoluzionario, ma pongono all'ordine dei giorno i propri problemi, le proprie richieste, un embrione di coscienza, di programma, di organizzazione, nella misura in cui è dato farlo ad un movimento spontaneo non ancora sufficientemente radicato come permanente e ben definito antagonismo sociale, date tutte le condizioni precedenti di sviluppo della sua lotta (a cominciare da quelle relative alla formazione di una reale avanguardia marxista rivoluzionaria).

La medaglia della "ritrovata democrazia" haitiana e delle Filippine dal côté borghese indigeno ha due facce: quella dei controllo preventivo che si vuoi esercitare sulle masse per fermarne gli slanci futuri e quella della risposta deformata e deviata alle loro richieste, proprio perché un efficace controllo possa esercitarsi su di esse. A guardare la prima faccia si può cogliere il semplice aspetto dell'inganno controrivoluzionario; la seconda ci indica le contraddizioni con cui il "progetto controrivoluzionario" deve fare i conti e che, nella specifica situazione dei due paesi, è destinata a lacerare i lacci, ben poco solidi, dell'unità nazionale interclassista. Il dopo-Duvalier ed il dopo-Marcos non possono basarsi su imprevedibili "boom" di sviluppo che facciano da supporto ad una stabilizzazione democratica borghese.

Per quanto noi reputiamo che le masse sfruttate dei due paesi abbiano comunque compiuto un primo passo in direzione della propria autonomia di classe e in direzione dei partito rivoluzionario. Ci avrebbe certamente fatto più piacere che già nell'immediato esse avessero portato l'assalto (non a schede elettorali ... ) contro i vecchi e nuovi padroni, di casa propria e di fuori. Questa, senz'alcun dubbio, è la conclusione dei "romanzo"; solo che mancano ancora "alcune" pagine prima di arrivare alla parola fine ed è truffaldino andare subito all'ultima per vedere "come finisce".

Noi crediamo che già molte delle bandiere USA sventolate nei giorni della cacciata di Baby Doc siano già state ammainate dai contadini poveri e dai proletari di Haiti delusi dal l'inconsistenza dei "cambio della guardia" rispetto alle loro aspettative ed ai loro interessi. Ed anche parecchi gadgets "aquinisti" devono esser stati buttati nella spazzatura. Nelle Filippine, in particolare, la guerriglia non ha perso alcuna delle sue ragioni di esistenza ed è rimasta in campo come prima e meglio di prima, ad indicare la somma di problemi che le masse sfruttate devono risolvere ed il metodo per dare ad essi soluzioni: nessuna solidarietà con le "nuove" istituzioni, nessuna delega ad esse, ma un programma, un'organizzazione, una violenza di classe "per sé".

Tanto più questa tendenza si affermerà, obiettivamente e soggettivamente, tanto più si potrà sgombrare il campo anche da eventuali false soluzioni di tipo "anti-imperialista" stalineggiante (che, parentesi numero due, vanno combattute sin d'ora, dentro allo sviluppo della lotta di classe e in relazione ad essa).