La giornata di sangue

del 26 giugno

Il 26 giugno dunque in tutto il paese la parte più avanzata e radicale dei movimenti di lotta scende in piazza. Nelle province si organizzano cortei e numerosi blocchi stradali, a Buenos Aires il movimento chiama a bloccare tutte le vie d’accesso alla città. Ed è proprio qui, nella capitale, che il governo decide di colpire duramente il movimento di lotta: i cortei che si accingevano a bloccare ponti e vie d’accesso vengono attaccati e dispersi ed in particolare in un concentramento, quello di ponte Pueyrredon, le "forze dell’ordine", ovvero le squadre armate del capitale, si scatenano e mettono in pratica un piano repressivo studiato e premeditato.

Dopo la messa in stato d’assedio di un intero quartiere, viene lanciato l’assalto ai manifestanti, partono i rastrellamenti nella zona, la sede di quartiere di Izquierda Unida è devastata, i feriti e gli arrestati si contano a centinaia, due compagni, Dario Santillan e Maximiliano Costequi, sono assassinati a sangue freddo. Dario e Maximiliano, entrambi militanti del CTD Anibal Veron, sono due compagni giovani ma già avanguardie riconosciute e dirigenti nel movimento dei disoccupati.

 

Una prova generale

 

L’azione criminale dello stato e del governo (che ha tentato all’inizio di presentare l’accaduto come frutto di torbidi interni al movimento a seguito dei quali la polizia è dovuta intervenire, salvo poi in seguito scaricare la responsabilità della "mano pesante" degli agenti su singoli dirigenti di polizia) non è stata certamente un fulmine a ciel sereno. Da tempo segnaliamo l’infittirsi di episodi di violenza e provocazioni antiproletarie condotti dalle squadre armate del capitale sia nella loro veste ufficiale (polizia, gendarmerie varie) sia in quella delle milizie di complemento extraistituzionali (vedi, da ultima segnalazione, la ricomparsa delle "triple A"). Soprattutto da sempre denunciamo quello che è ben chiaro alla parte più avanzata dei movimenti di lotta e cioè che queste azioni si inquadrano nel vero "supremo obiettivo" del governo: riportare l’ordine nel paese. Con la carota finché possibile (miserabile "concertazione" messa in campo, altrettanto miserabili piani di sussidi e lavori socialmente utili, "apertura al dialogo" con "la parte responsabile" dei movimenti di lotta, indizione di elezioni democratiche anticipate…) ed alla fine, dopo aver lacerato e fiaccato il movimento, col bastone della forza armata dello stato. Come da richiesta dei padrini - i signori del dollaro e dell’euro - che stanno sopra Duhalde e la borghesia stracciona argentina.

Dentro questo contesto la giornata di sangue del 26 giugno segna indubbiamente un salto di qualità nell’azione del governo e degli apparati votati alla difesa dell’ordine borghese. I tempi stringono (ricordate la richiesta dell’ Ambasciata italiana a por fine "in tempi brevi" all’occupazione della Zanon?), il contagio della crisi argentina comincia a manifestarsi pesantemente, sul piano economico, in Uruguay ed in Brasile. Il governo deve rompere gli indugi, deve dimostrare di meritarsi quegli "aiuti", quella "fiducia" che la cosiddetta "comunità internazionale" saprà concedergli a patto che esso svolga il suo sporco compito.

Già una settimana prima l’attacco del 26 giugno Duhalde aveva riunito i suoi ministri con le varie forze di sicurezza per stabilire la condotta da seguire verso i blocchi stradali e le dimostrazioni di piazza, arrivando a considerare alcune di queste manifestazioni come "azioni di guerra". Di seguito diversi uomini del regime avevano lanciato una serie di messaggi inequivocabili circa le intenzioni degli apparati di sicurezza. Il 26 giugno, per la prima volta dopo le giornate insurrezionali del dicembre, gli apparati dello stato decidono di colpire e di spargere il sangue dentro l’area di Buenos Aires quasi a voler saggiare la capacità di reazione e risposta del proletariato, in una azione che ha tutta l’aria di essere una sorta di prova generale per il futuro braccio di ferro coi movimenti di lotta.

Un fattore inoltre non secondario che ha spinto il governo a rompere gli indugi è stato il segnale emerso dalla riuscita Asamblea Nacional de Trabajadores Ocupados y Desocupados del 22-23 giugno: una spinta forte, decisa verso la conquista di una unità d’azione fra i vari movimenti di lotta, la creazione di un fronte unito di classe, la dichiarazione esplicita di questi militanti d’avanguardia che "la questione del potere è all’ordine del giorno", l’appello pressante uscito dall’Assemblea a che "tutte le organizzazioni piquetere e di lotta abbandonino ogni speranza sul governo Duhalde e le sue politiche e rompano definitivamente la tregua con esso". Un vero scatto in avanti fatto dal movimento di classe nonostante le gravi difficoltà, ombre e debolezze tutt’ora presenti dentro il complesso movimento di lotta (una per tutte, emblematica: la non partecipazione dei delegati della Zanon all’assemblea stessa a causa, se non abbiamo inteso male, di infinite querelles fra vari gruppi e gruppetti politici).

 

La reazione all’attacco del 26 giugno

 

Immediata e di massa è stata la risposta che i movimenti di lotta ed il proletariato hanno saputo dare al governo assassino ed ai suoi sgherri. Il 27 lo sciopero nazionale convocato dalla CTA ha avuto una numerosa partecipazione, carica di rabbia, in ogni città. Nella capitale una folla di 35000 mila persone si è riversata a Plaza de Mayo. Il 3 luglio, altra scadenza di lotta contro la repressione, sono oltre 100.000 i giovani, i lavoratori, i proletari a scendere in piazza a Buenos Aires. Le dimostrazioni mostrano che il governo Duhalbe e i suoi padroni dovranno ancora mordere il freno, lavorare ai fianchi il movimento, tentare ancora di utilizzare tutti i mezzi di divisione prima di poter brandire con decisione ultimativa il bastone dell’intervento armato.

Una considerazione importantissima infine: uno degli strumenti essenziali utilizzati dal regime per tentare di contenere e dividere la resistenza delle masse è stata l’esca gettata ai vari movimenti di lotta o meglio a talune loro dirigenze attraverso fasulle "aperture di dialogo", partecipazione "a tavoli concertativi" e la concessione di miserabili briciole. Alcune dirigenze, alcuni "capi" dei movimenti di lotta dietro i più svariati pretesti avevano abboccato e tutt’ora s’ingegnano a "concertare" col governo. La loro funzione anche in occasione della giornata di sangue del 26 giugno è quella di seminare confusione e motivi di divisione nel movimento di lotta, distinguendo fra "piqueteros buoni" e quelli "cattivi" (che rompono le vetrine ed attaccano la polizia), bollando come provocazione l’esercizio della forza e della violenza di classe, attaccando con ogni mezzo la parte più radicale dei movimenti. Una funzione infame che diventa sempre più difficile esercitare con successo!

Esemplare in questo senso è la denuncia fatta dai compagni del Movimento Barrios de Pie del presidente della Federacion de Tierra y Vivienda (confederata alla CTA), Luis D’Elia -che dopo aver avvallato nella sostanza la versione del governo circa i fatti di ponte Pueyrredon si è rifiutato di chiamare in piazza il suo movimento nella protesta del 27 giugno- qualificato apertamente come "agente di Duhalde all’interno del movimento dei disoccupati".