Difficili prove davanti

al movimento di classe argentino

 

Lo straordinario e straordinariamente complesso movimento di lotta del proletariato e dell’intera umanità degli oppressi argentini continua ad opporre una strenua resistenza alla catastrofe sociale -i compagni della Coordinadora Anibal Veron parlano di genocidio sociale- indotta dalla crisi generale del sistema nel paese ed ai cosiddetti "rimedi" che i Re della finanza, delle borse, del dollaro e dell’euro vorrebbero infliggere ad un intero popolo. I movimenti dei disoccupati piqueteros, le assemblee popolari dei quartieri, gli operai delle fabbriche occupate ed autogestite, quotidianamente vengono ad ingaggiare una serie di battaglie sì per la loro sopravivenza collettiva ma che allo stesso tempo sono sospinte a cercare per tutti, per l’intera classe lavoratrice, a sperimentare nel vivo delle lotte fra mille insidie e difficoltà, una strada per uscire dagli ingranaggi antisociali e disumani del capitalismo e delle sue leggi di mercato; come è nella consegna dell’Anibal Veron: "Trabajo, Dignitad y cambio social". Un "cambio social" reale, autentico non un maquillage di personaggi e uomini nuovi, magari "dalle mani pulite", che non intacchi gli interessi e la struttura del capitale interno e -non ci stanchiamo dal ripeterlo e di porlo innanzi agli straordinari lottatori argentini- quelli dei centri nevralgici del capitalismo internazionale con i quali una Comune d’Argentina dovrà necessariamente scontrarsi.

Di fronte ad una tale resistenza di massa perciò viene a pararsi sempre più strettamente la questione del potere, dello scontro con gli apparati dello stato che la borghesia argentina e l’imperialismo tengono ancora ben serrati nelle mani a difesa del loro ordine mortifero e del loro dominio di classe.

 

Le manovre del governo Duhalbe e dei suoi burattinai occidentali impongono la preparazione della conquista rivoluzionaria del potere.

 

La unificazione dei movimenti di lotta in un unitario fronte di classe a cui attrarre la massa profonda della classe lavoratrice ancora attiva, la quale rimane ancora in posizione di attesa ingabbiata nelle strutture del sindacalismo ufficiale totalmente infeudato alla baracca dello stato borghese; la messa in campo al calore dello scontro sociale di una organizzazione e di un programma politico indipendenti e di classe, armi indispensabili per spezzare il cappio che la borghesia nazionale e l’imperialismo vogliono imporre agli sfruttati argentini: l’una e l’altra acquisizione erano e permangono ancora obiettivi da conquistare. A spinte in avanti verso questa direzione -in special modo nei momenti in cui, come è accaduto il 26 giugno, la repressione violenta degli apparati dello stato pone in tutta evidenza di fronte ai movimenti di lotta la bruciante necessità di una autodifesa e di una reazione organizzata ed unitaria- fanno seguito momenti di impasse in cui sembra che il vitale primo obiettivo del coordinamento e dell’unità dei movimenti di lotta sfugga e si allontani ancora dalle mani della nostra classe.

Nel travaglio e nelle incertezze delle ali più radicali e combattive dei movimenti di lotta e dei militanti d’avanguardia di classe (e ciò significa per essere chiari un travaglio ed una debolezza nel porre sul piatto apertamente le decisive ed ineludibili questioni del contropotere proletario rispetto allo stato borghese ed alla sua forza organizzata) si innestano da un lato le manovre di un potere politico ufficiale fetente e screditato certo, preda di continue faide intestine certo, ma nonostante tutto ancora in grado di seminare confusione e possibili lacerazioni fra i movimenti che lo confrontano in specie attraverso lo specchio per le allodole delle elezioni presidenziali anticipate, il falso e vuoto far balenare davanti agli occhi degli affamati il ricorso alla conta democratica delle schede elettorali come unica possibile via "al cambiamento". Dall’altro lato il tentativo di dar corpo da parte di quell’area frastagliata e composita che potremmo definire per semplicità di "sinistra democratica e progressista" -la quale con diverse sue componenti e diversi suoi uomini opera attiva e presente all’interno dei movimenti di lotta (pensiamo in particolare ai settori dirigenti della CTA, ai dirigenti della CCC a taluni personaggi "dalle mani pulite" e dal passato "estremista" come Zamora…)- ad una alternativa "veramente democratica", ad un governo che "faccia veramente gli interessi del popolo e salvaguardi l’indipendenza nazionale" senza volere e potere ovviamente mettere in discussione i rapporti sociali capitalistici interni né la struttura del dominio imperialista. Questi "progressisti" vorrebbero ridurre il grido ribelle che si è levato e si leva dalle lotte, il "Que se vayan todos!", ad un ricambio anche radicale di uomini e forme istituzionali preservando ed in qualche modo "rigenerando" lo stato borghese.

Per gli uni e per gli altri, pur nelle diverse e conflittuali postazioni sociali e politiche nelle quali operano, l’obiettivo vero, esplicitamente o meno dichiarato poco importa, è di evitare un sollevamento popolare, una rottura rivoluzionaria da parte delle masse argentine.

Su tutti, nell’ombra e apparentemente defilati, vegliano i militari e l’esercito. Il braccio armato della borghesia argentina e dell’imperialismo mondiale affetta di tenersi fuori della mischia, di non compromettersi né col governo Duhalde né coi suoi oppositori, in realtà attende che la situazione marcisca in uno stallo dello scontro sociale, attende che i movimenti di lotta si lacerino ed indeboliscano per scendere in campo come forza di "salvezza nazionale dal caos" e muovere contro di essi i suoi tank. Non dobbiamo stancarci mai dal ribadirlo: il vero obiettivo è quello di stroncare, dare una lezione, mettere in ginocchio un proletariato che ha osato sfidare i Re delle borse e dei mercati; è questa la "vera soluzione della crisi" da parte borghese, peraltro apertamente dichiarata dagli "esperti" e "consulenti" in forza all’imperialismo (uno per tutti, Rudy Dornsbuch ora passato a miglior vita: "Le istituzioni argentine seguiranno a cadere, senza che si possa parlare di aiuti esterni fino al ritorno della dittatura militare" ).

Tutte le carte nelle mani del potere borghese locale ed internazionale vengono e si dispongono ad essere insomma giocate contro l’insorgenza proletaria in Argentina che però esemplarmente tiene il campo nella guerra di classe in corso. Sono passati appena nove mesi dalle giornate della prima rivolta popolare aperta e di strada e già oggi una avanguardia fatta di migliaia e migliaia di militanti ma anche di semplici proletari e di gente comune trascinata alla lotta ed alla attività politica in prima persona, parla e sente la necessità di un otro argentinazo, di una seconda sollevazione di strada.

I piani di mobilitazione ed i programmi che le avanguardie di massa, dal Bloque Piquetero Nacional ai coordinamenti operai delle fabbriche occupate, vengono proponendo testimoniano quanto sia viva ed urgente la spinta ad andare avanti fino in fondo nella lotta. Essi avanzano rivendicazioni quali la espropriazione senza indennizzo e la nazionalizzazione sotto controllo operaio delle fabbriche occupate o abbandonate dai rispettivi proprietari, il non pagamento del debito estero, la punizione degli usurai e truffatori delle banche interne ed internazionali, la punizione dei vecchi e dei nuovi assassini militari-golpisti e civili-democratici… Primi gruppi di operai, di proletari, di lavoratori più combattivi le sentono come vitali ed irrinunciabili e cominciano a volerle mettere in pratica.

Ma essi, al momento, non sono in grado di ottenerle poiché non hanno il potere, non dispongono dei mezzi, degli strumenti pratici necessari ad eseguire il proprio volere. Qui sta il passaggio stretto da varcare! Per varcarlo occorrerà far comprendere alla massa dei proletari e degli oppressi, inclusi non piccoli settori di piccola borghesia interamente espropriati dal sistema bancario, che la via della lotta, la via della unificazione delle lotte, la via dell’ampiamento del controllo operaio sull’insieme dell’economia e della vita sociale, la via della creazione e dello sviluppo di propri organismi di potere capaci di mettere in esecuzione le deliberazioni delle centinaia di organismi operai e popolari già esistenti, la via di un contro-potere proletario sempre più ampio, organizzato e centralizzato è la sola che può permettere di trasformare le vitali rivendicazioni della parte più avanzata dei movimenti di lotta, le loro aspettative, i loro sogni in realtà. Ed insieme all’impegno per trascinare la massa profonda alla causa rivoluzionaria, per farla sollevare vi è l’arduo compito per le avanguardie del movimento di cominciare a discutere fra tutti gli organismi proletari e popolari, fra tutte le assemblee e congressi il programma generale del nuovo potere proletario unitario e di muoversi con decisione verso un’organizzazione politica indipendente di classe adeguata al compito.

Compiti e prove difficili e gravose attendono indubbiamente il proletariato argentino e le sue avanguardie. Ma esso non è solo e isolato in un continente (ed in un mondo intero) dove regnano l’ordine e la pace del capitale. Tuttaltro!

 

Il contagio si diffonde in tutto il continente.

 

Un fattore fondamentale è emerso in tutta evidenza in questi mesi: il contagio paventato e temuto dai poteri imperialisti della crisi argentina è un dato di fatto che investe praticamente tutto il continente latinoamericano. Quel genocidio sociale denunciato dai compagni in Argentina investe i proletari e le masse oppresse di un intero continente, e contro di esso (anche per la spinta e l’esempio dato praticamente dall’argentinazo e dalla sua tenuta) si sono sommate una serie di lotte e rivolte.

In paesi come la Bolivia, il Perù, l’Ecuador, il Paraguay sono scesi in lotta a più riprese in particolare i contadini poveri ed i senza terra contro i processi di privatizzazione ed i feroci tagli alla spesa sociale; sull’altra sponda della Plata il contagio ha investito in pieno l’Uruguay portando la ex "svizzera latinoamericana" sull’orlo della bancarotta (salvato da un provvidenziale "aiuto" dell’Fmi, non stiamo a ripetere le condizioni imposte) e come già a Buenos Aires ora anche a Montevideo, in un città blindata da migliaia di poliziotti "in difesa della proprietà privata", nei primi giorni d’agosto il proletariato ha risposto con scioperi, assalti alle banche e saccheggi dei supermercati. Ma il paio di miliardi di dollari stanziati "per salvare l’Uruguay" sono bazzecole rispetto ai 40 stanziati verso il Brasile nella più grande operazione di salvataggio finora messa in opera dal Fmi. Essa mira a stringere ancor di più quel paese nelle spire imperialiste e ad ipotecare il destino fino al punto di chiamare tutti i contendenti nelle ormai prossime elezioni presidenziali, il riformista Lula in testa, ad avvallare ed a sottoscrivere le condizioni del maxi prestito che dovranno essere scaricate sulle spalle delle masse brasiliane.

Sempre in agosto poi, cambio della guardia in Colombia. Il che ha significato da subito la fine delle fasulle trattative di pace e della tregua con la guerriglia delle FARC. L’esercito e le squadre paramilitari, sotto la supervisione dei consiglieri nordamericani, sono passati all’azione facendo in un solo mese centinaia di morti nelle fila guerrigliere e fra i campesinos ribelli. Ed ancora il Venezuela di Chavez, salvato in aprile dal maldestro golpe orchestrato dalla Cia (e che anche in Europa ci si apprestava a salutare come "riconquista della libertà") grazie alla rabbiosa reazione delle masse popolari venezuelane chiamate però subito da Chavez stesso a rientrare nei ranghi e a non provvedere a far giustizia sommaria dei golpisti e dei poteri capitalistici che li spingono avanti. Questi ultimi, impuniti e totalmente liberi di agire, ormai non nascondono più nemmeno il loro obiettivo: organizzare questa volta nella maniera dovuta un altro golpe, farla finita con l’esperienza "bolivarista" di indipendenza nazionale e riportare il paese sotto il controllo diretto dell’imperialismo.

Dentro questo contesto viene a situarsi l’insorgenza proletaria argentina, lo scontro sociale in quel paese è sempre più evidentemente una parte di un confronto, di una guerra di classe fra imperialismo e locali borghesie dipendenti da una parte e proletariato e masse oppresse di un intero continente dall’altro. Il corso e gli esiti della lotta in un paese sono collegati e si ripercuotono sugli altri "fronti interni" nazionali.

Questo dato oggettivo pone davanti al movimento di classe argentino la necessità di uno scatto in avanti, un ulteriore scatto in avanti verso una decisa proiezione internazionale della lotta per la Comune. È una necessità altrettanto vitale ed urgente quanto quella della conquista del coordinamento e dell’unità a livello nazionale di tutte le energie proletarie e popolari sul terreno della rivoluzione, giacché nessun "cambio social" è possibile chiuso all’interno dei confini nazionali (e questo di considerare la propria lotta ed il suo sbocco rivoluzionario sempre e soltanto dentro la ridotta del paese Argentina, è stata e permane tuttora una debolezza, una tara vera e propria dei movimenti di lotta e dei compagni d’avanguardia argentini).

Come è detto da un compagno in uno degli interventi che riportiamo in queste pagine, è "ai piqueteros" di tutto il mondo, ai "piqueteros" nordamericani inclusi eccome!, che dobbiamo rivolgerci, che dobbiamo aprirci. Lì stanno i veri alleati della Comune argentina, lì è la forza potenzialmente immensa che potrà farla trionfare.