Documenti dalla guerra di classe in Argentina

L’esperienza delle fabbriche occupate

e il controllo operaio

Oggi vediamo i limiti delle giornate insurrezionali del dicembre che non hanno potuto impedire ai vecchi partiti di ricollocarsi al potere cercando di salvarsi dalla crisi. Ora sono intenti a tramutare il "Que se vayan todos" in un ricambio ordinato di figure elettorali affinché nulla cambi.

Le statistiche o le cifre sembrano perdere ogni senso. Un milione e mezzo di nuovi poveri negli ultimi mesi. 18 milioni sotto la linea della povertà.

La svalutazione ha accelerato il processo come un mostro vorace, la crisi economica divora tutto. Gli alimenti, le abitazioni, le strutture ospedaliere, i salari. Mentre migliaia di tonnellate di cereali sono stivate nei silos dei porti, petrolio, gas, frutti della terra, acciaio, tessuti e mattoni, cavi del telefono. Stanno lì. Negli ultimi mesi migliaia di fabbriche e imprese sono fallite o hanno richiesto lo stato di crisi, centinaia di migliaia di posti di lavoro sono stati tagliati da quando Duahlde è al governo. E’ una enorme distruzione di forze produttive che non cessa e di cui gli uomini e le donne lavoratrici ne sopportano sui loro corpi il peso.

È la crisi dell’Argentina capitalista quella che irrazionalmente condanna milioni di uomini alla miseria mentre un pugno di banchieri insieme ai loro alleati negli organismi finanziari internazionali ricattano fino all’umiliazione reclamando "piani sostenibili". Non è la crisi di un modello o di una politica sbagliata, è l’anarchia della produzione capitalistica in un paese dipendente che è stato un fiore all’occhiello dell’estabilishment mondiale. Sono perciò vane le proposte di alcuni intellettuali che pretendono di "regolare" il capitalismo, di "umanizzarlo" senza mettere in questione il dominio imperialista sul paese insieme agli interessi delle grandi banche e dei monopoli stranieri e nazionali.

Si va sviluppando un fenomeno nuovo: lavoratori che occupano le fabbriche e davanti alla terribile alternativa della disoccupazione per chiusura o fallimento si impadroniscono dei macchinari e non abbandonano gli stabilimenti.

Quando l’acutezza della crisi capitalistica spezza il funzionamento "normale" del capitale possono svilupparsi ai margini forme che non rispondono direttamente alle necessità delle relazioni capitaliste. Cooperative, reti di scambio non direttamente mercantili non possono però reggere indefinitivamente sotto la dura legge del valore e della concorrenza. Nella crisi, possono estendersi come funghi.

In questo quadro abbiamo anche che sono alcuni singoli padroni insieme ai burocrati sindacali ed alla chiesa a spingere in talune circostanze alla formazione di cooperative di lavoro "miste" dove si continua a scaricare il peso della crisi sugli operai tentando di far sì che gli operai stessi non facciano un passo oltre la legalità capitalista.

Ma insieme a questo fenomeno cooperativista si vanno sviluppando altri processi che possono mettere in discussione i rapporti capitalistici, sono gli esempi delle fabbriche occupate a Jujuy, alla Mattanza, alla clinica Junin a Cordoba, la Zanon e la Brukman…

Quando gruppi di operai sperimentano la possibilità di produrre "senza padroni" non troviamo lì l’inizio di una nuova esperienza di coscienza operaia? I segreti del funzionamento capitalista non incominciano a svelarsi quando la produzione non si modella più verso la ricerca del massimo profitto per il capitale bensì per le necessità dei produttori? Negli ultimi mesi due fabbriche, le ceramiche Zanon di Neuquen e la tessile Brukman di Buenos Aires, hanno incominciato ad essere un polo di riferimento ed esempio per attuare il controllo operaio e per la lotta per la statalizzazione delle fabbriche e la loro espropriazione ai singoli capitalisti. Questi esempi danno l’idea della potenza del movimento operaio come classe quando questo inizi a prendere nelle sue mani il proprio destino.

L’esperienza di lotta dei lavoratori ceramisti Zanon [fabbrica di proprietà italiana, n.n.] è esemplare. Essa si è aperta a tutta la comunità lavoratrice della zona. Il nuovo modello prodotto, "l’operaio", ne è una piccola testimonianza, come lo è la serie limitata dedicata ai disoccupati del Movimento Trabajadores Desocupados di Neuquen o un altro dedicato alle comunità mapuches: un lavoratore ceramista è un ceramista ma non solamente. In un comunicato dell’ambasciata italiana si è richiesto al governo Duhalde di intervenire a por fine all’occupazione: stato e capitale difendono i loro interessi oltre ogni frontiera. (...)

Nei casi di Zanon e Bruckman i padroni non sono presenti nelle fabbriche e perciò il livello del controllo operaio arriva alla gestione diretta di tutta la produzione, inclusa la commercializzazione del prodotto. Alla Zanon gli operai organizzano la gestione attraverso le assemblee generali e assemblee di reparto ove si decidono i passi da seguire: tempi di lavoro, come preparare i nuovi modelli, come reperire la materia prima ecc. Gli operai così stabiliscono nuove forme di solidarietà e cominciano a muoversi verso la propria autodeterminazione. In questi mesi si è dimostrata la vera funzione della maggior parte dei capi e dei supervisori posti dal padrone alla testa della fabbrica nei periodi normali: più che per dirigere la produzione la loro funzione è mantenere un controllo permanente sui lavoratori. Il controllo operaio svela altri segreti dello sfruttamento capitalistico, per esempio che in due giorni di lavoro gli operai Zanon producono ceramiche per un valore superiore ai loro salari di un mese intero. Al tempo stesso si dimostra, a scala di stabilimento, che i lavoratori possono gestire il proprio destino e governarsi da se stessi.

Tuttavia una cooperativa o una fabbrica occupata isolata come una barca nel mare dei rapporti capitalistici di produzione non possono mantenersi all’infinito. Sono tanti gli esempi di cooperative che finiscono per supersfruttare i lavoratori per non perire nella concorrenza capitalistica o che collassano davanti al peso dei debiti o nell’impossibilità di commercializzare i prodotti. La cooperativa isolata nel mare delle relazione capitaliste non ha futuro e tiene invece in piedi vecchie illusioni sulla possibile riforma del capitale.

La differenza tra le cooperative impulsate da settori della chiesa e dalle burocrazie sindacali ed il caso di occupazione sotto controllo operaio come per Zanon e Brukman è chiara. In primo luogo qui si dà priorità ad un degno salario operaio, oggi alla Zanon il suo livello è attorno ai 700 pesos mentre nella maggior parte delle cooperative esso è miserabile. (...)

Nei casi di Zanon e Brukman gli operai si rifiutano di farsi carico dei debiti dei padroni, richiedono la espropriazione senza indennizzo delle fabbriche e la loro statalizzazione ed il mantenimento del controllo operaio sulla produzione.

La lotta per la statalizzazione delle fabbriche sotto controllo operaio indica l’unica possibilità di incorporare rapidamente altri lavoratori invece che "riaprirle" con un numero inferiore di dipendente. Il tutto mentre intorno aumenta vertiginosamente la disoccupazione.

In questi giorni i lavoratori della Zanon stanno discutendo dell’assunzione di 100 disoccupati fra i distinti movimenti della regione [misura in seguito attuata, n.n.] per rinsaldare l’unità reale fra occupati e disoccupati.

La domanda che deve essere investigata profondamente è: possono mantenersi per tempo indefinito esperienze di questo tipo? Vi è la possibilità di una moltiplicazione progressiva e pacifica di queste esperienze di autogestione operaia come contropoteri locali al potere del capitale?

I feroci attacchi del padronato, delle strutture locali e nazionali dello stato, la forza della repressione e della burocrazia sindacale contro i lavoratori ceramisti ci forniscno una risposta negativa.

Se il fenomeno del controllo operaio non si estende per lo meno a centinaia di fabbriche delle principali realtà industriali, come potranno i lavoratori resistere alla forza degli attacchi del nemico di classe? Quale sarà il futuro di queste esperienze se non saranno difese dagli altri lavoratori della zona, dai movimenti dei disoccupati, dalle assemblee popolari di quartiere, dagli studenti i quali tutti debbono sentire questa lotta come anche una loro causa?

Per riuscire in questo vitale intento è necessario superare le barriere fra occupati e disoccupati, le barriere create dai vecchi apparati sindacali fra gli operai ed il resto del popolo. Inoltre è necessario uno sviluppo di una vera unità fra i lavoratori ed il popolo minuto superando la divisione esistente e "naturalizzata" fra di essi, divisione funzionale alla riproduzione delle relazioni di sfruttamento capitalistiche.

Ma è un fatto certo che per conseguire una tale unità operaia e popolare a scala di una provincia ed a livello nazionale è necessario un salto ad un livello superiore nella lotta di classe dove dovrà essere messo in questione il potere borghese a scala più ampia e profonda.

Pertanto dobbiamo intendere le esperienze di controllo operaio come un momento transitorio dentro un superiore processo rivoluzionario, una esperienza che prepara gli operai alle lotte future. In questa dinamica contraddittoria il controllo operaio è una grande scuola concentrata di economia pianificata e di lotta anticapitalista. Dimostra a scala ridotta che i lavoratori possono dirigere l’insieme dell’economia e che per conseguire questo fine è necessario espropriare i singoli padroni ed affrontare lo stato e le sue forze di repressione. …

 

(Stralci dal documento pubblicato sul sito Rebelion il 30 di giugno 2002. Le sottolineature sono nostre.)