Un popolo martoriato, ma in piedi

In che condizioni si trova -dopo 12 anni di guerra e di embargo- il popolo dell’Iraq che i supereroi del Pentagono si apprestano a massacrare?

Vediamolo scorrendo alcuni passi del libro di J.-M. Benjamin, Obiettivo Iraq, Editori Riuniti, 2002, un libro che -pur con tutte le sue ingenuità- è da leggere.

Anzitutto gli effetti della guerra del 1991, una vera guerra alla pari: da una parte il "mostro bellicista superarmato" dell’Iraq, 250.000 soldati (forse meno) con 300 carri armati; dall’altra le nazioni "amanti della pace" con appena 700.000 soldati, 2.500 carri armati, 1.700 [contro zero!] navi da guerra, la più grande coalizione bellica della storia moderna, sotto la guida del supermacellaio Schwarzkopf. Risultato: "La prima fase è aerea, 106.000 incursioni [sostanzialmente senza alcuna possibilità di contrasto da parte irachena –n.]. Centinaia di missili da crociera si abbattono sul suolo iracheno, e oltre 95.000 tonnellate di bombe: l’equivalente di sei bombe di Hiroshima [l’International Action Center parla, invece, di 140.000 tonnellate di bombe pari a 7 atomiche –n.]. La seconda fase è terrestre e inizia il 24 febbraio. Più di 100.000 soldati iracheni perdono la vita", molti dei quali inceneriti con le bombe aereosol (le cosiddette atomiche "leggere") o sepolti vivi sotto la sabbia.

"Il diluvio di bombe e di missili distruggerà il 92% delle centrali elettriche, l’80% delle raffinerie, quasi tutti i centri di comunicazione, le stazioni radiofoniche e televisive, la quasi totalità degli impianti petrolchimici, i ponti, le strade e le autostrade, le linee ferroviarie, le fabbriche, i cimiteri e -cosa ancora più grave- gli impianti di depurazione delle acque, lasciando un paese in cui d’estate, nel sud, la temperatura raggiunge i 60 gradi all’ombra, circondato dal deserto, senza acqua potabile e senza l’elettricità per far funzionare un frigorifero in grado di conservare quel poco di carne e di cibo rimasti da consumare." (p. 31).

Dopo la "guerra santa" dell’Onu, ecco l’altrettanto sacro (all’Occidente cattolico) embargo, sempre Onu, con i seguenti benefici effetti sulla popolazione irachena:

"L’attività economica è crollata, con una svalutazione della moneta nazionale, il dinaro, del 20.000% tra il 1990 e il 1999; la situazione sanitaria è tornata al livello di inizio secolo o del tempo della colonizzazione britannica; sono state chiuse oltre 8.000 scuole. Le classi medie della popolazione guadagnano tra i 15 e i 20 euro al mese e le categorie inferiori, che non hanno praticamente nessun reddito, devono sopravvivere alla giornata. (…) Aggiungiamo che la speranza di vita è precipitata per gli uomini da 61 a 46 anni, e per le donne da 64 a 57 anni"; che "a causa della mancanza di pezzi di ricambio, l’agricoltura è costretta a usare mezzi precari per coltivare una terra arabile in un clima ostile"; che "la malnitrizione riguarda tutto il paese"; che "nel suo rapporto del 12 agosto 1999, l’Unicef conferma la morte di 90.000 bambini l’anno in Iraq, vittime dell’embargo"; che "il 12% dei bambini sotto osservazione a Baghdad muore, il 28% è affetto da rachitismo e il 29% è sottopeso" (pp. 96-99); che il territorio iracheno è stato inondato con 940.000 proiettili all’uranio impoverito, il cui "veleno" continuerà a scorrere per un’infinità di tempo… può bastare, non vi pare?

Ebbene: un popolo così martoriato dall’umanitarismo occidentale e dal diritto internazionale è tuttora un popolo in piedi, un "popolo di ammirevole dignità" (Benjamin), che si appresta a resistere al nuovo assalto dei "nostri" fetentissimi Rambo, con tutte le armi a sua disposizione, "pietre e coltelli" inclusi. Che dai lavoratori dell’Occidente aggressore e assassino gli arrivino cento, mille, diecimila segni di fraterna e attiva solidarietà di classe!