Inchiesta Mastelloni: una prima sconfitta, ma…

Al momento in cui scriviamo la quasi totalità dei compagni arrestati in base all'inchiesta Ferrari-Dalla Costa-Mastelloni è tornata in libertà, fatto questo che deve essere salutato con soddisfazione come una prima sconfitta dei promotori di questa inchiesta-pilota.

Tuttavia, la denuncia e la lotta contro di essa continuano (v. la manifestazione a Padova del 25 maggio, con diverse centinaia di partecipanti), sia per imporre la revoca di tutte le misure repressive che ancora sono in vigore, sia per contrastare la tendenza - già evidente - a continuare ed estendere l'inchiesta. Questa, infatti, non è stata in alcun modo archiviata dal "Tribunale della Libertà" e tantomeno dai suoi promotori.

Al contrario, il suo impianto complessivo e perfino le sue tecniche accusatorie sono destinate a "fare scuola". L'inchiesta Mastelloni è stata, ed è tuttora il più organico attacco insieme alla libertà di organizzazione e di propaganda dei rivoluzionari ed alla libertà di organizzazione e di lotta di settori e movimenti di massa non controllati dalle istituzioni. Nel suo mirino ci sono stati, infatti, tanto organismi politici (come il Coordinamento dei comitati contro la repressione, nonché singoli comitati contro la repressione, di contro in formazione, etc.), quanto organismi di massa (anzitutto il Comitato per il ritiro delle truppe italiane dal Libano) e strutture "di movimento" (come radio Gamma 5). Non si tratta di "strutture clandestine", né di cellule di una organizzazione unica, ma, al contrario, di strutture "pubbliche" e chiaramente differenziate tra loro. In nome di che cosa, dunque, la magistratura veneziana le ha forzosamente unificate sotto un unico scopo, "l'associazione sovversiva con finalità di terrorismo" (art. 270 bis c.p.)?

In nome della loro comune opposizione alla repressione statale, alla preparazione della guerra, alla politica antiproletaria dei governo Craxi. In questo senso l'inchiesta Mastelloni costituisce la più radicale affermazione pratica dei diritto statale di reprimere e di uccidere (l'ultimo attacco dei nuovi Calogero è stato contro i militanti del "Comitato di controinchiesta contro l'assassinio di Pedro"), del diritto capitalistico di preparare la guerra, del potere governativo di imporre sacrifici, nonché del diritto al monopolio della informazione e della menzogna di stato. Ma perché parliamo di "diritto"? No, di libertà, di facoltà, di potere esclusivo senza opposizione è il caso di parlare. Il diritto viene dopo, se verrà o meno è - in fin dei conti - poco importante.

Ciò che unifica gli organismi politici e di massa, nonché i singoli compagni colpiti, è non un progetto o un'attività da essi unitariamente concepita e svolta, ma la necessità unitaria di tutti gli apparati statali (governo, magistratura, direzioni carcerarie, apparati militari, apparati d'informazione, etc.) di colpire qualsiasi manifestazione di autonomia e di effettiva opposizione agli interessi dei sistema di sfruttamento e di oppressione dominante.

E' per davvero "una manifestazione del nuovo modo di gestire l'ordine pubblico che sempre più prevale in tutti i grandi paesi imperialisti, che giorno dopo giorno è applicato in nuovi campi. Caratteristico in questo nuovo modo è che la prevenzione e la sicurezza dello stato e delle istituzioni passano davanti ad ogni cosa" ("Il Bollettino", n. 21). Una tendenza questa che è collegata al progressivo avvicinarsi della guerra e di una congiuntura di vera (e non simulata) emergenza dello scontro di classe tra proletariato e borghesia.

Non per caso l'inchiesta Mastelloni non ha potuto tenere rigidamente separati, come la magistratura ha cercato di fare finora, gli organismi "politici" e gli organismi "di massa". L'area dei pericolo, per le istituzioni statali, si allarga inesorabilmente, sebbene neppure dopo questa esperienza possiamo dire che la repressione contro i militanti di avanguardia e la repressione contro la massa è divenuta immediatamente identica.

Di certo la distanza tra le due forme dell'unica politica repressiva si è accorciata, e questo dà molte chance in più (non misurabili, però, sull'arco dei giorni e dei mesi!) alla denuncia, alla propaganda ed all'azione di lotta dei rivoluzionari. A tre precise condizioni:

1) che si persegua una "linea di massa contro la repressione", con la convinzione che la sola forza decisiva che può spezzare la politica complessiva che sta dietro l'inchiesta pilota di Mastelloni e soci è la scesa in campo della massa dei proletariato;

2) che dobbiamo pertanto superare quanto prima tutti i residui mentali e di comportamento di una pratica che limitava la denuncia della repressione statale al cerchio dei repressi o dei già coscienti, snobbando la proiezione verso la massa come un'inutile perdita di tempo (nel frattempo... la massa era bombardata dalla propaganda avversa..);

3) che anche in questo caso e in questo campo si superino i tradizionali steccati, almeno in ciò che essi hanno di puramente formale, e si persegua una politica volta a serrare i ranghi del movimento di classe.

Quanto ai terreni su cui praticare da subito questa "linea di massa", vi è - purtroppo - solo l'imbarazzo della scelta: dalle misure razziste e scioviniste contro i lavoratori stranieri al progetto di eliminazione della stampa rivoluzionaria (ed alla militarizzazione dell'informazione), dalla campagna intorno alla legge a favore della dissociazione (dalla lotta di classe e specificamente dalla lotta per il comunismo) fino alla restrizione di tutte le libertà di lotta, dal progetto di un'unica centrale e di un'unica legislazione "antisovversiva" in Europa all'estensione delle pratiche di schedatura su larga scala. Non mancano, dunque, i campi né le occasioni per la denuncia, la propaganda e la lotta. Forse è mancata, sinora, o non è stata adeguatamente operante, la convinzione che una lotta di massa contro la repressione è possibile, è necessaria. Eppure questa è l'unica prospettiva che può contrastare materialmente il procedere dell'azione dell'avversario di classe, e fargli pagare prezzi politici ogni volta che esso colpisce, non solo tra i colpiti, ma in tutti quegli strati e settori della società che lo stato ed il governo opprimono.