Dalle lotte, preziose  esperienze per i lavoratori immigrati 

Le lotte, anche quando sul momento "non vincono" e non riescono a raggiungere l'immediato obiettivo prefissato, non passano mai invano. Questa sempre valida (e troppo spesso dimenticata) lente deve essere utilizzata anche per "leggere" l'attuale momento e le future prospettive del movimento dei lavoratori immigrati. Le mobilitazioni contro la legge Bossi-Fini che per tutto il 2002 si sono susseguite in varie città italiane (si pensi alla grande manifestazione nazionale del 19 gennaio, allo sciopero di Vicenza ed alle tante iniziative locali e cittadine di Caserta, Roma, Treviso, Brescia, ecc.) non sono riuscite a bloccare l'entrata in vigore del provvedimento razzista promosso dal governo, ma - allo stesso tempo- hanno consentito agli immigrati di maturare "sul campo" una serie di esperienze politiche ed organizzative che torneranno (stanno già iniziando a tornare) preziose per il prossimo futuro e che qui di seguito proviamo a sintetizzare per punti (non in ordine di importanza giacché tutti sono tra essi intrecciati e, quindi, ugualmente importanti).

Un episodio di difesa militante e di massa
contro

le squadre razziste

 

Lo scorso 28 ottobre a Roma i fascisti di Base Autonoma (ex Terza Posizione) hanno indetto un corteo nel quartiere Esquilino contro l'immigrazione. Questo è uno dei quartieri della capitale a più alta presenza di lavoratori immigrati. Qui gli immigrati hanno le loro sedi e le loro associazioni, qui spesso si riuniscono e si incontrano, da qui partono quasi tutte le loro iniziative di lotta cittadine. E' evidente che l'intenzione di Base Autonoma era quella di "spazzare" il quartiere, terrorizzare gli immigrati e tentare di aizzare sentimenti razzisti tra i residenti italiani. Ma i conti vanno fatti sempre con l'oste. E l'oste collettivo si è presentato combattivo in piazza. Centinaia di immigrati e centinaia di giovani e compagni italiani hanno presidiato in massa la piazza principale del quartiere (qua era prevista la sfilata). Ore di slogan e comizi continui in cui si è in più di un'occasione detto a chiare note come l'affiorare di questi squallidi gruppi razzisti (nei giorni precedenti in città si erano avute altre vigliacche aggressioni ad immigrati) sia frutto delle politiche del governo e delle continue aggressioni occidentali ai popoli del Sud del mondo.

Tutti gli immigrati che hanno preso la parola si sono rivolti anche agli abitanti "indigeni" del quartiere chiamandoli ad una comune battaglia contro il razzismo e contro il degrado delle condizioni di vita e lavoro di tutti. Alla fine i manifestanti di Base Autonoma (una settantina scarsa), protetti da centinaia e centinaia di poliziotti, hanno fatto una brevissima e ben misera sfilata in un angolo remoto della piazza.

Questa utile e bella giornata di lotta si è conclusa con un combattivo ed improvvisato corteo serale. Da notare in chiusura che - soprattutto grazie alla cospicua presenza di immigrati - questo 28 ottobre (occhio alla data!) non è stato imbrigliato nella difesa dello stato e della democrazia nata dalla resistenza (cioè di quello stato e di quella democrazia sempre in prima linea contro l'Iraq, la Somalia, i Balcani e contro tutti gli oppressi del "terzo" mondo), ma si è soprattutto connotato come un momento di difesa militante dell'agibilità politica ed organizzativa dei lavoratori immigrati di fronte ad un montante razzismo istituzionale ed extra-istituzionale.

Primo. Non si è riusciti a rispedire al mittente la legge, ma grazie alla mobilitazione si è riusciti ad allargare le maglie della cosiddetta sanatoria. Questo è certamente un risultato estremamente limitato e parziale, ma l'averlo strappato stando in piazza (e provocando -giova ricordarlo- anche dei reali conflitti nella maggioranza di governo) ha rafforzato la giusta percezione di come con la lotta si possa realmente incidere sulle politiche governative.

Secondo. La quasi contemporaneità della mobilitazione a difesa dell'articolo 18 ha fatto sì che si sia iniziata a percepire come meno astratta e più concreta la possibilità (e la necessità!) di fare dei passi verso la costruzione di un fronte di lotta unitario con i lavoratori italiani. Emblematico a tal proposito, tra i tanti, l'episodio avvenuto a Roma il 18 ottobre in occasione dello sciopero generale indetto dalla Cgil dove un nutrito e combattivo spezzone di immigrati "irrompe" nel corteo al grido di "siamo lavoratori del mondo". Su questo versante ad essere in deficit è il movimento operaio indigeno che -eccezion fatta per alcuni purtroppo molto limitati settori- si dimostra ancora troppo sordo nei confronti delle esigenze dei lavoratori immigrati.

Terzo. Battendosi contro la Bossi-Fini ci si è iniziati a render conto che le legislazioni razziste stanno dilagando in tutta Europa e ha cominciato a fare capolino la necessità di prendere contatti con gli immigrati degli altri paesi operando anche qualche iniziale (importante, pur se timido) passo in questa direzione.

Quarto. La discreta continuità della mobilitazione contro i provvedimenti governativi ha inoltre anche contribuito ad arginare almeno in parte e ad opporre un qualche ostacolo a quel generale clima di intimidazione poliziesca contro gli "stranieri" che dopo l'11 settembre 2001 è andato montando in termini esponenziali. E non è certo un caso se una non minuscola fetta d'avanguardia dei lavoratori immigrati associa sempre più frequentemente il fiorire del razzismo (istituzionale e non) al dispiegarsi della guerra permanente di Bush e soci.

Quinto. All'epoca della precedente legge (la Turco-Napolitano) gli epicentri della mobilitazione si erano avuti quasi esclusivamente a Brescia e Roma e tra le due città si era costruito un tenue (ma non per questo disprezzabile) filo di contatto. La Bossi-Fini (che della Turco-Napolitano è legittima e degnissima erede in peggio) con il suo impianto di aggressione frontale e complessiva ha costretto il movimento degli immigrati a porsi il problema di andare verso una propria organizzazione a scala nazionale e che vada ben oltre il raggruppamento per singole comunità. La costituzione avvenuta a luglio 2002 del Comitato Provvisorio degli Immigrati in Italia (organismo che vede la partecipazione di lavoratori di più città provenienti dall'Asia, dall'Africa, dall'Est Europa e dall'America Latina) è frutto di tale esigenza e ad essa punta a dare risposta. Il 21 ed il 22 dicembre questo comitato ha organizzato a Napoli e a Roma due manifestazioni intorno alle stesse parole d'ordine: sanatoria immediata per tutti i richiedenti ed allargamento di questa anche a chi svolge il cosiddetto lavoro "autonomo". Al di là della riuscita numerica dei cortei (a Napoli buona, a Roma decisamente al di sotto delle aspettative) è importante sottolineare come sia la prima volta che un'iniziativa del genere (tutt'altro che facile sia dal punto di vista organizzativo che da quello politico) viene presa e portata avanti da un organismo composto e diretto integralmente da lavoratori immigrati.

Ed è altresì da evidenziare come nei comizi conclusivi molti immigrati abbiano esplicitamente richiamato la necessità di legare la battaglia per i propri diritti alla lotta contro l'aggressione al popolo iracheno.

Nonostante simili importanti iniziative, negli ultimissimi mesi il movimento degli immigrati ha palesato anche segni di stanchezza e di stasi. Innanzitutto perché risente della stasi in cui, dopo la prima tornata di lotte sull'articolo 18, versa il più complessivo movimento dei lavoratori. Inoltre e nello "specifico" perché, da un lato c'è un diffuso (e illusorio) ottimismo sugli esiti della sanatoria (la qual cosa, a saperla leggere in termini non immediatistici, non è in contraddizione con la la percezione di aver "allargato" la sanatoria stessa con la lotta) e perché, d'altro lato, il clima di ricatto ed intimidazione, anche se contrastato, produce comunque degli effetti. Si aggiunga inoltre l'intelligente azione delle prefetture sempre tesa a dividere gli immigrati per comunità e per città e ci si renderà meglio conto delle difficoltà con cui il movimento dei lavoratori immigrati sta impattando.

Ma è proprio in una situazione tutt'altro che facile ed esente da problemi, quale è quella odierna, che quell'insieme di insegnamenti, di cui sopra, - prodotto innanzitutto della mobilitazione diretta e della lotta - rivela la sua enorme utilità e necessità di essere messo a frutto. E' in questa direzione che la nostra organizzazione con tutte le sue (purtroppo limitate) forze lavora e chiama a lavorare. In che modo? Anche qui, solo ed esclusivamente per semplicità espositiva, procediamo per punti. 

Primo, favorendo e appoggiando attivamente ogni passo verso l'auto-organizzazione dei lavoratori immigrati. All'oggi non sappiamo (e non è dato sapere) se il Comitato nazionale provvisorio riuscirà a diventare un effettivo e stabile organo di coordinamento e di lotta a scala italiana, ma quello che è certo è che simili organismi devono godere di tutta la nostra concreta solidarietà in quanto attraverso di essi si manifesta e si rafforza il protagonismo sociale e politico dei proletari immigrati.

Secondo, battendosi apertamente e chiaramente affinché i vari spezzoni e le varie associazioni degli immigrati, a partire dal terreno della lotta e delle rivendicazioni, superino ogni eventuale particolarismo ed ogni eventuale contrapposizione e confluiscano sul terreno della mobilitazione unitaria. Quindi favorendo l'emergere di rivendicazioni unificanti quali la richiesta del permesso di soggiorno per tutti e senza condizioni.

Terzo, promuovendo momenti di dibattito e di lotta comune con i lavoratori italiani. Durante le mobilitazioni a difesa dell'art. 18 l'Oci ha costantemente ed in tutte le occasioni chiamato i lavoratori italiani ad assumere come propria anche la lotta contro la Bossi-Fini per una comune (e quindi più forte) battaglia contro il governo Berlusconi. I nostri compagni, dove possibile, hanno promosso o contribuito a promuovere assemblee sindacali - aziendali e territoriali - alle quali sono stati invitati rappresentanti degli immigrati in lotta.

Quarto, denunciando nella massa profonda del proletariato "di casa nostra" ogni atto ed ogni aggressione razzista. Portando appunto la denuncia anche presso quei settori "popolari" da cui più di una volta provengono quei giovani che dalla politica e dalla propaganda della destra razzista si fanno ingannare ed irretire. E, contemporaneamente, favorendo incondizionatamente il percorso di auto-tutela ed auto-difesa degli immigrati.

Quinto, denunciando, soprattutto tra la "gente comune", il nesso tra razzismo e aggressioni occidentali al Sud del mondo e chiamando quindi il movimento contro la guerra ad appoggiare con forza le lotte, l'organizzazione e le rivendicazioni dei lavoratori immigrati.

La nuova criminale guerra d'aggressione contro il popolo iracheno è alle porte (mentre scriviamo le operazioni militari non sono ancora "ufficialmente partite") e sarà accompagnata da una tremenda ondata di rinnovato razzismo. Le nostre sedi sono aperte e a piena e completa disposizione dei lavoratori immigrati e di quanti - "indigeni"- vorranno insieme a noi discutere, organizzarsi e battersi per tramutare tutto ciò in un boomerang contro i governi occidentali e contro i grandi poteri della finanza e delle borse mondiali.