Dopo l’occupazione di Baghdad, le "liberazioni" prossime venture

Road map:

per i palestinesi, una strada verso la schiavitù

Mentre scriviamo, i quotidiani ci informano in modo battente sulla ripresa dell’iniziativa delle cancellerie occidentali per la "soluzione" della questione palestinese, secondo un nuovo "piano di pace" predisposto dal Quartetto (Usa, Russia, Unione Europea e Onu: te li raccomando!). Detta in breve, questo nuovo "piano di pace" altro non è che l’ennesima pianificazione militare e politica per mettere il cappio intorno al collo dei fratelli palestinesi e della loro eroica lotta di resistenza.

Lo scopo centrale del piano è quello di garantire la sicurezza di Israele; solo dopo, se rispetteranno condizioni durissime e infinite, i palestinesi potranno "sperare" di avere -forse- nel 2005, un loro mini-stato con frontiere "provvisorie" in alcune zone della Cisgiordania e della striscia di Gaza. Diciamo: potranno solo sperare, perché né lo stato di Israele né l’alleanza degli stati imperialisti che lo sostiene intendono riconoscere ai palestinesi il diritto a formare un vero stato a cui possa corrispondere una "vera" autonomia politica ed un certo qual miglioramento delle loro condizioni di vita. Il controllo sul petrolio e sulla forza lavoro della regione da parte delle potenze occidentali contempla che le masse palestinesi e arabe siano tenute nella miseria economica e in uno stato di subordinazione e di umiliazione politica. Ed è per mantenerle in queste condizioni che si sostiene economicamente (v. anche solo il trattato commerciale con l’Unione europea) e militarmente (Italia inclusa) lo stato sionista, autorizzato tranquillamente a detenere ogni sorta di armi di distruzione di massa e ad avere tutto il deficit statale che vuole, e si foraggiano le classi dominanti arabe, ricche e servili nei confronti dei padroni occidentali.

In una risoluzione presentata il 12 marzo al Senato degli Stati Uniti i temi propagandistici su cui l’imperialismo prepara l’aggressione all’Iran

"Mentre il popolo iraniano aspira alla democrazia, ai diritti religiosi, politici e civile e ad uno stato di diritto, come è evidenziato dalle sempre più numerose dimostrazioni anti-Khatami e anti-governative all’interno del paese e dalle prese di posizione di numerosi esiliati e dissidenti;

Mentre l’Iran è una dittatura ideologica presidiata da un leader supremo non eletto con illimitati diritti di veto...;

Mentre il governo iraniano sta sviluppando un programma per l’arricchimento dell’uranio che dal 2005 sarà in grado di produrre parecchie armi nucleari, che potrebbero minacciare gli stati della regione e il mondo;

Mentre la repressione politica, la censura dei giornali, la corruzione, l’intimidazione, l’arbitraria detenzione di studenti e pubbliche esecuzioni sono aumentate dall’inizio della presidenza Khatami nel 1977;

Mentre la legge non riconosce l’uguaglianza tra uomini e donne e le donne sono legalmente private dei loro basilari diritti;

Mentre il governo ha spedito 50 tonnellate di armi sofisticate all’autorità nazionale palestinese malgrado il cessate il fuoco firmato da Arafat, insidia il processo di pace in Medioriente, offre rifugio ai terroristi di al-Qaeda e talebani, permette il transito di armi per la guerriglia che combatte il nostro alleato turco, rende possibile il movimento di terroristi che intendono destabilizzare gli Usa...;

Il Senato degli Stati Uniti stabilisce che (...) il governo degli Stati Uniti dovrebbe seguire una politica mirante a stabilire in Iran un genuino governo democratico, che ridoni la libertà al popolo iraniano, abbandoni il terrorismo e viva in pace e sicurezza con la comunità internazionale."

L’altro punto centrale, strettamente legato al primo, dettato dal famigerato Quartetto è l’immediata liquidazione politica e militare dell’Intifadah. Su questa lunghezza d’onda sono sintonizzate tutte le borghesie occidentali pur nella loro reciproca concorrenza. Il timore comune dei vari Bush, Blair, Chirac, Schroeder, Berlusconi e soci è che se non ci si affretta ora a spegnere l’incendio di Gaza e Cisgiordania sarà sempre più difficile impedire che esso si congiunga agli altri fuochi rimasti accesi o che vanno accendendosi nel mondo arabo-islamico, nonostante l’occupazione di Baghdad e la liquefazione del governo di Saddam. Tanto più che i riflessi della resistenza palestinese e arabo-islamica si cominciano a far sentire anche all’interno di Israele: vedi l’opposizione delle centinaia di ufficiali e soldati alla politica di genocidio del proprio stato; la crisi economica e la polarizzazione sociale che investe il paese con una disoccupazione arrivata a toccare il 10%; il varo da parte del governo di misure di austerità tali da costringere i sindacati a proclamare nel mese scorso lo sciopero generale...

Torna utile, così, a Usa, Europa ed Onu convergere nel far pressione sulla direzione della lotta palestinese affinché intraprenda una campagna repressiva con arresti di massa, neutralizzi le forze sociali che stanno dando filo da torcere all’occupante, disarmi i gruppi armati, sciolga i Comitati di Resistenza Popolari con i quali la popolazione organizza e coordina i vari momenti della lotta quotidiana. È per questo che il Terzetto di cui sopra, con la Russia al seguito, ha deliberato di nominare un proprio nuovo capo del governo in Palestina, Abu Mazen, non fidandosi più del pur ampiamente compromesso Arafat (e dandoci così un saggio di cosa sia l’"esportazione della democrazia" in Medio Oriente).

Si obietterà: ma il "nuovo piano di pace" fa comunque riferimento alla indipendenza dei palestinesi. Vero, salvo che la fa a partire dal riconoscimento di fatto dell’occupazione israeliana dei territori, alla quale si potrà porre fine solo se e quando i palestinesi avranno accettato e dimostrato inequivocabilmente di rispettare tutte le condizioni poste dal Quartetto. Quanto allo smantellamento degli insediamenti, il riferimento è solo a quelli eretti dopo il marzo 2001; nulla di nulla si dice, invece, circa la miriade di insediamenti fondati in Gaza e Cisgiordania prima del 2001, tantissimi dei quali dopo… la "pace" di Oslo, né tanto meno circa il ritiro sulle frontiere pre-1967, o anche solo circa il congelamento della crescita degli insediamenti già esistenti. Su ciò Sharon ha dato larghe rassicurazioni ai suoi: "assolutamente non ci sono restrizioni e tu puoi costruire per i tuoi figli, per i tuoi nipoti e spero anche per i tuoi pronipoti" (il manifesto, 27 maggio).

Infine, il problema del ritorno dei profughi, uno dei nodi centrali della questione palestinese, occupa nella Road Map un posto marginale. Identica cosa vale per la questione delle risorse idriche della regione controllate dalle forze di occupazione dello stato di Israele e utilizzate per impedire qualunque sviluppo nei territori e per acuire i disagi di chi cerca di non abbandonare la propria terra (ogni famiglia palestinese deve spendere più del 30% del suo reddito per l’acqua!). Nessun minimo accenno alla ricostruzione delle abitazioni palestinesi demolite dall’esercito israeliano, né alcuna parola sul rilascio degli oltre 9.000 prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri d’Israele. Infine, non una parola sulla situazione economica e alimentare assolutamente disastrosa nei territori palestinesi, dove la popolazione è stremata da quasi un anno di assedio e di coprifuoco pressoché ininterrotto. Oltre un milione di palestinesi, già terribilmente provati dal collasso economico e da una devastante disoccupazione, rischia ora di restare senza alimenti, poiché dipende completamente dalle razioni "umanitarie" dell’Onu che stanno per esaurirsi per mancanza di fondi…

Israele e i Quattro contano su tutto ciò, e soprattutto sull’isolamento e la stanchezza dei palestinesi, per ottenere da essi un "consenso" passivo, una sorta di resa ai vecchi ed ai nuovi diktat, a cui anche settori "islamici" sarebbero, sembra, disponibili. Vedremo. Per parte nostra, non ci stancheremo di denunciare questa "pacificazione" assassina e di rinnovare il nostro sostegno, per modesto che sia, alla causa della liberazione nazionale e sociale del popolo palestinese.