Uno dei compiti essenziali della lotta contro l’aggressione imperialista ai popoli e agli sfruttati mediorientali: la difesa militante e l’organizzazione di lotta comune con i lavoratori immigrati in Italia e in Occidente

Sabato 29 marzo, Torino:

un episodio molto indicativo

Doveva essere una delle tante manifestazioni contro la guerra che si sono svolte in quel periodo. Doveva filare tutto liscio, "come sempre": grande partecipazione popolare, comizio finale e tutti a casa. Quel giorno, invece, non è andata così.

Brevemente i fatti: due i concentramenti, uno a piazza Castello, per il grosso dei manifestanti; il secondo a Porta Palazzo dove, oltre l’Askatasuna, è presente in modo organizzato un nutrito gruppo di immigrati della comunità arabo-islamica di Torino, coordinati dall’imam Bouchta. È una presenza militante, con uno spezzone fatto di cordoni disciplinati, in testa donne e bambini. Tutti scandiscono slogan contro l’intervento Usa e occidentale nei confronti dell’Iraq, e agli slogan fa da complemento un intervento lucido e preciso dello stesso imam sulla natura e gli scopi dell’aggressione imperialista nella regione.

Uno speciale seguito di "forze dell’ordine" sta intorno al settore degli immigrati. I primi problemi nascono alla congiunzione dei due spezzoni del corteo che avviene al mercato di Porta Palazzo: il servizio d’ordine di Rifondazione si oppone, seppur blandamente, a che gli immigrati arabo-islamici entrino nel grosso della manifestazione; l’intervento dell’Askatasuna fa sì che invece il ricongiungimento avvenga.

Un volantino diffuso

dalla nostra organizzazione

durante i bombardamenti contro l’Iraq

È a questo punto che le forze "dell’ordine" (non "del disordine", come alcuni sostengono; basta intendersi a quale ordine esse fanno riferimento utilizzando, alla bisogna, anche la produzione di "disordine") iniziano a dare il meglio di sé: il loro obiettivo è dividere il corteo, separando i "buoni" dai "cattivi", tanto più perché tra questi ultimi sfilano i "barbari islamici" del Sud del mondo. Ed ecco, poco prima di arrivare alla piazza conclusiva della manifestazione (il comizio finale era già iniziato), carabinieri e polizia iniziano il vero e proprio pestaggio dell’ultimo spezzone del corteo, dove erano i militanti antagonisti e gli immigrati. Non ci addentriamo nei particolari, poiché in fondo i metodi delle nostre democratiche forze dell’ordine sono quelli già sperimentati a Genova (col centro-destra) o a Napoli (col centro-sinistra). Questa volta, però, a Torino la violenza dello stato democratico, non di un qualche questore "fascista" o "deviato", si è scatenata coscientemente contro gli immigrati, pestando in modo vile anche donne e bambini (futuri terroristi?).

I giornali si sono premurati di addossare la responsabilità dell’accaduto alle solite frange "estremiste e violente" che avrebbero "provocato" le forze di polizia con il loro "atteggiamento bellico", una versione fatta propria anche dal sindaco diesse Chiamparino che afferma: bisogna evitare qualsiasi saldatura tra le frange più "violente" del movimento no war ed il "fondamentalismo islamico". Gli fanno buona compagnia alcuni leaderini di Rifondazione e dei "no global", ma la stessa stampa borghese ammette, suo malgrado, che qualche "eccesso" si è verificato se si registrano almeno venti feriti tra i manifestanti… Basterebbero le dichiarazioni di alcuni testimoni e passanti a provarlo.

Demarcandoci da un quadro impressionista dei fatti di Torino, ci sentiamo di dire che una tale violenza è stata preparata e attuata scientificamente. Non soltanto e non tanto contro la scesa in campo del movimento no war, o contro la presunta radicalità di "frange estremiste e antagoniste" prese a sé, quanto per colpire e scoraggiare un primo (in Italia), importante tentativo di convergenza tra la rabbia del proletariato immigrato, sceso per la prima volta in campo così organizzato e determinato contro l’aggressione imperialista all’Iraq e a tutti gli sfruttati dell’area mediorientale, e il movimento contro la guerra e i lavoratori occidentali. Il 29 marzo a Torino si è dato proprio questo primo, timido segnale di unificazione tra i due "pulcini spaiati della stessa chioccia". Si verificava lì, in sedicesimo, quanto già accaduto a Londra dove il "popolo immigrato" ha manifestato con una parte degli sfruttati anglosassoni contro la carneficina voluta dal progressista Blair.

La risposta della nostra borghesia imperialista (seppur di un imperialismo a scartamento ridotto) è stata della stessa natura, non diciamo, ovviamente, della stessa intensità, di quella che stava scatenandosi su Baghdad e sull’Iraq: "colpisci e terrorizza", con tutto il carico di violenza apparentemente "gratuita". Che si è abbattuta sulla parte all’immediato più debole e ricattabile, gli immigrati, non esitando però a colpire chiunque capitasse "a tiro", dando così l’impressione (non voluta?) di colpire a casaccio. Irrazionalità? Non ci sembra. Certo, siamo ancora lontani, purtroppo, dal vedere il proletariato autoctono e quello immigrato "guardarsi" senza diffidenza e ostilità e cominciare a comunicare fraternamente tra loro; ma la borghesia è ben attenta a stroncare sul nascere ogni spinta in questa direzione.

Solo la classica borghesia? Non diremmo. Basti considerare quel che è accaduto dopo i fattacci del 29 marzo. Con l’invito del Comitato contro la guerra di Torino rivolto agli islamici ad un momento di "pausa" così da "placare gli animi", e la disdetta non solo della successiva manifestazione di protesta contro la polizia, ma anche di un incontro di preghiera delle sei moschee di Torino fissato da tempo. Acqua sul fuoco della lotta, tanto più se comune, e nulla più di un tiepido dissenso in una cornice assolutamente legalitaria (con acclusa condanna per chi osa bruciare in piazza bandiere statunitensi o italiane). Un bel monito alla possibilità degli immigrati di organizzarsi e avvicinarsi alle lotte del proletariato delle metropoli.

A differenza del riformismo istituzionale e delle sue frange estreme, anche "extra", noi non cesseremo di ripetere: stringiamoci intorno ai nostri fratelli di classe immigrati, uniamoci con loro con un fronte di lotta e di classe comune contro i comuni nemici!