Bertinotti si confessa:

"Non sono più la bellissima algerina..."

Nella marcia di Rifondazione verso il nuovo governo Prodi, non poteva mancare la solita sequela di preventive abiure che costellano il cammino al "potere" (ancorché soltanto ipotetico, per ora) di quei partiti riformisti o sotto-riformisti che per forza di inerzia conservano ancora nel proprio nome il riferimento al comunismo. Attraverso le abiure si cerca di rassicurare i veri padroni del vapore che nulla più hanno da temere dai loro "antagonisti" di un tempo.

Ed ecco quindi Bertinotti, già candidato da D’Alema ad un futuro ministero nel futuribile Ministero, dare bella prova di sé abiurando per sempre, quale sorella gemella della "guerra preventiva" di Bush, la "violenza politica" degli sfruttati e degli oppressi. Il pretesto, c’è bisogno di dirlo?, gli è stato fornito da quel povero, malinconico fantasma che è "il terrorismo delle Br". Ma egli si guarda bene dal fermarsi lì e taglia il traguardo di questa nuova abiura come una saetta. Sentitelo, netto:

"Se con l’album di famiglia vogliamo evocare il tema della violenza politica propria della storia della sinistra e del movimento operaio, e dire dunque che chi abbiamo di fronte è figlio della nostra storia, sarò netto [‘lo devi essere, caro’]. Tutte le culture politiche che escono dall’esperienza del ‘900 hanno il loro album di famiglia. Tutti i pensieri forti, religiosi e politici, contengono un irrisolto problema con la violenza. (...) Le culture terzomondiste sono imbevute di violenza, lì dove arrivano a teorizzare che ‘l’identità del colonizzato passa per l’uccisione del colono’ [del colonizzatore, semmai]. Nell’intera storia del movimento operaio è presente la distruzione dell’avversario. Dunque tutti, ripeto: tutti, sono chiamati oggi a fare i conti con il concetto di violenza."

Viene spontaneo chiedersi: da chi e perché sono "chiamati" tutti; e poi: perché sono chiamati proprio "oggi"; ed infine: chi sono mai questi "tutti"? La risposta la dà lo stesso ex-sub-comandante in persona, attraverso un aneddoto davvero edificante che mostra quanto il suo animo, un tempo impuro, si è infine mondato dai cattivi pensieri (eh, nient’altro che pensieri). Sentitelo, come fosse già dentro il salotto buono:

"La racconto [sta parlando della conversione sulla via del governo, pardon: della non violenza] con un episodio significativo non solo del mio percorso, ma di quello del mio partito e del suo approdo. Conosce ‘La battaglia di Algeri’ di Pontecorvo? Bene, ho visto quel film almeno dieci volte. Ne conosco a memoria le sequenze. Ora, per una vita mi sono riconosciuto, di più, mi sono immedesimato nella bellissima algerina che si fa saltare in un bar affollato di vita e di civili nella parte francese di Algeri [affollato, cioè, di occupanti francesi che "si godono la vita" dentro Algeri occupata], durante l’operazione di insurrezione -anzi no, chiamiamo le cose con il loro nome [‘devi farlo, caro’]- durante l’operazione terroristica contro le truppe francesi [non violente? Il neo-ministro in pectore ha dimenticato di aggettivarle...]. Sarei voluto essere lei, se soltanto ne avessi avuto il coraggio [questo "se" è ben posto, invece]. Ero, lo dico senza timori, corresponsabile politico di quel massacro [quando ero ancora un peccatore]. Oggi, mi capita di rivedere quella sequenza e quella complicità si è dissolta."

Eccoci al punto: il problema non poteva essere i sei o sette "brigatisti" autoctoni, ma le "culture terzomondiste" e le prassi di lotta al nostro colonialismo imperialista, per chiamare le cose con il loro nome. Le "culture" (anche "religiose") e le prassi di lotta frontale al capitalismo, da cui non solo i colorati ma anche il "movimento operaio" occidentale tutto dovrebbe mondarsi. Chi "ci" chiama "tutti" a questa abiura? Banalissimo. La nostra appartenenza all’Occidente, anzi meglio: alle istituzioni statuali dell’Occidente, parlamenti, governi, stati e quant’altro, che sono le istituzioni della più bestiale violenza di oppressione concrentrata che mai la storia abbia conosciuto. E ci chiama "oggi" perché oggi, e ancor più domani, queste istituzioni sono e saranno impegnate in uno scontro violento con chi non vuole accettare le loro leggi di sfruttamento e di morte, e si deve perciò, condannare radicalmente e preventivamente tutte le forme di violenza a cui gli sfruttati dovranno far ricorso. La lotta di liberazione nazionale, l’insurrezione popolare, la rivoluzione sociale proletaria debbono essere messe al bando insieme con i "pensieri forti", il pensiero -Bertinotti sa qual è, sebbene non sia mai stato marxista- che osa sfidare quest’ordine sociale che sta di continuo delegittimando sé stesso, e che sempre più potrà far ricorso solo alla paura, al "monopolio legittimo dell’uso della forza" e della dittatura di classe.

L’Occidente, alle prese con la magnifica resistenza irachena, "ci" chiama a giurare sul suo ordine. Il sub-ministro ulivista in pectore prontamente risponde: "Presente! Non sono più la bellissima algerina del tempo che fu". Oh, non ne avevamo mai dubitato. È già sull’attenti? No, non ancora. Dategli il tempo di cambiarsi d’abito.

 

Dal "che fare" n. 62, dicembre 2003

 

 

 

 


Organizzazione Comunista Internazionalista