"Cosa stiamo facendo qui? Si è detto che la guerra è finita, ma ogni giorno abbiamo notizia di soldati che vengono uccisi. Ne vale la pena? Saddam non è più al potere. Gli iracheni desiderano che ce ne andiamo. Perché restiamo ancora qui?" (un anonimo sergente della 2^ divisione di fanteria).

"C’è una sola verità, ed è che degli americani stanno morendo. A mano a mano che il conto dei morti continua a crescere, diventa più chiaro che non è alle viste la fine di questa storia. All’inizio io ero convinto di difendere la costituzione degli Stati Uniti. Ora non lo credo più. Ho perso sia la mia convinzione che la mia determinazione. Non posso più giustificare il mio servizio per quelle che mi appaiono delle mezze verità e delle impudenti bugie. Il mio tempo, come quello di altri che servono qui insieme a me, è scaduto. Noi tutti ci troviamo qui a fronteggiare la morte senza alcuna ragione o giustificazione. Quanti ancora dovranno morire? Quante lacrime ancora dovranno essere versate prima che l’America si svegli e chieda il rimpatrio degli uomini e delle donne il cui compito è di difendere la gente piuttosto che gli interessi dei nostri leaders?" (Tim Predmore, 101nesima Airborne Division).

"La maggior parte di noi darebbe tutti i suoi risparmi per un passaggio verso casa" (dalla lettera di un soldato al Congresso).

"Ci sentiamo come pedine in un gioco che non riusciamo a capire" (un ufficiale della terza divisione di fanteria).

"Se a noi nessuno dice nulla, e se la stampa si occupa solo di certe cose, allora chi controlla le decisioni dei vertici militari?" (un motorista della sanità militare).

Parla Stephen Funk, un marine della riserva che si è rifiutato di prestare servizio in Iraq: "Nella mia base sono stato un po’ di volte oggetto di vessazioni. Certi mi hanno detto che sono un traditore, un vigliacco, che non sono patriottico. Ho ricevuto anche qualche minaccia di morte. Ma ho avuto anche delle reazioni positive assolutamente fantastiche, anche da parte di chi era già arruolato. Come ha detto alla stampa il mio comandante: ‘Il corpo dei marines si rende conto che ci sono dei suoi membri che sono contro la guerra’".

"Noi siamo sempre più arrabbiati con i generali che stanno prendendo le decisioni e che non stanno mai sul terreno, che non sono colpiti o non sono costretti a guardare corpi insanguinati o bruciati, bambini morti e altri orrori di questo tipo" (Antony Castillo, terza divisione di fanteria).

"Ho formulato la mia lista dei ‘primi ricercati’. In cima ci sono Paul Bremer, Donald Rumsfeld, George Bush e Paul Wolfowitz" (un anonimo sergente del 2^ gruppo di combattimento della 3^ brigata di fanteria).

 

L’irriducibile ostilità e capacità di lotta degli iracheni sta cominciando ad aprire gli occhi a molti tra i soldati statunitensi. Le giustificazioni di stato reggono sempre meno, e si comincia a sospettare di essere delle semplici pedine di un gioco sporco su cui non si ha il minimo controllo. La disillusione comincia a lasciare il posto alla rabbia, perfino all’odio nei confronti dei generali lontani dal campo di battaglia e dei capi politici, sentimenti espressi al corteo di Washington da un esponente nero di Harlem con le seguenti parole: "Questa è la guerra di Bush e dei suoi amici petrolieri, che vadano loro a combattersela. La nostra gente ha bisogno di pace e lavoro". Non è un caso se, al momento, si contano ben 1.700 disertori dalle fila delle truppe statunitensi che occupano l’Iraq.

Non è tutto. Verso di loro si leva il magnifico incitamento di alcuni dei veterani del Vietnam e della prima guerra del Golfo che hanno maturato una vera e propria coscienza di classe nella durissima esperienza attraverso cui sono stati costretti a passare a causa della loro condizione di proletari senza prospettive. Uno di loro, Stan Goff, un veterano del Vietnam ora in pensione, ha scritto un vibrante appello ai militi di stanza in Iraq, di cui vale la pena riportare qui (da Counterpunch del 17 novembre) qualche passo:

"I grandi boss stanno cercando di prendere il controllo delle riserve mondiali di energia per spezzare le gambe dei loro concorrenti. È questo che sta succedendo, e voi dovete comprenderlo in modo da preservare la vostra umanità. Il sistema fa questo: vi dice che siete una sorta di eroi, ma vi usa come dei gangster. Vi prende per i fondelli.

"La vostra cosiddetta leadership vi considera nient’altro che una merce da usare. Se ne frega dei vostri incubi, dell’uranio impoverito che dovete respirare, della vostra solitudine, dei vostri dubbi, delle vostre pene, o del fatto che la vostra umanità vi è strappata lembo dopo lembo. Questa gente vi toglierà le vostre indennità, disconoscerà le vostre malattie, nasconderà alla popolazione i vostri morti ed i vostri feriti.

"I nostri leaders non si prendono cura di voi. Così, siete voi a doverlo fare. E per preservare la vostra umanità, voi dovete riconoscere l’umanità del popolo di cui state ora occupando il suolo e riconoscere che entrambi, voi che siete lì e loro, siete vittime di quella lurida congrega di ricchi bastardi che invocano la guerra.

"Sono loro i vostri nemici, sono loro i nemici della pace, sono loro i nemici delle vostre famiglie, specie se si tratta di famiglie di neri, o di immigrati, o di gente povera. Sono loro i ladri e i prepotenti che arraffano sempre e non danno mai nulla, e che dicono che non ce ne andremo mai dall’Iraq. Ma tu ed io sappiamo che non se ne andranno mai dall’Iraq per la semplice ragione che questi fottuti in Iraq non ci sono andati. Siete voi che state lì.

"(...) Bushfeld e i loro accoliti sono dei parassiti, e sono i solo beneficiari del caos in cui voi state vivendo. Loro fanno denari su questo caos, mentre voi beccate malattie e incubi di ogni specie...".

 

Che dire? Avanti così, proletari in divisa statunitensi. Avanti nel riconoscere che il nemico non è lo sfruttato iracheno che giustamente combatte contro di voi, non è l’afghano, non è il palestinese, è chi è sul ponte di comando a Washington, al Pentagono, a Wall Street. È in casa vostra, è in casa nostra: è il nostro governo, il nostro stato! E avanti, con ancora più coraggio e lucidità, nel vedere in chi vi combatte perché combatte per la sua libertà, la sua vita, la sua dignità non solo un essere umano, ma un fratello di classe a cui tendere la mano, con cui unirsi per volgere insieme le nostre armi contro tutti i parassiti, contro questo sistema parassitario che si nutre di guerre, che sa sopravvivere a se stesso solo diffondendo morte.