Sulla manifestazione

 nazionale del 13 dicembre

"Con il popolo iracheno

che resiste"

...dei guardiani dell’ordine costituito, dal solito Libero al Corriere della Sera fino a Luttwak che dalla tv di stato ha invocato la repressione dei "filo-terroristi". Cos’è che li ha fatti scattare? L’invito, contenuto nell’appello, a sostenere la resistenza irachena, a considerarla come lotta legittima contro l’occupazione Usa del paese. Essi temono che, a prescindere dall’iniziativa e dalla sua riuscita, si possa sbrecciare il muro di divisione tra lavoratori occidentali e sfruttati iracheni su cui i grandi poteri capitalistici hanno fondato e fondano le loro speranze. Sanno che il boomerang che le potenze occidentali hanno scagliato contro l’Iraq, la Palestina, l’Afghanistan può tornare indietro e trovare un fertile terreno d’accoglienza proprio tra i lavoratori. Anche il minimo, e come vedremo deviato e deviante, richiamo alla fraternizzazione tra questi ultimi e il popolo iracheno va cancellato. Non si sa mai.

L’appello, però, ed è su questo che ci soffermiamo nell’articolo, ha suscitato allarme e ostracismo anche in molti ambienti dell’estrema sinistra e del "movimento no-global". Di che si tratta? Del fatto che dietro di esso si nasconderebbe una manovra di infiltrazione imbastita da alcuni gruppi della galassia dell’estrema destra nazional-rivoluzionaria, manovra a cui i militanti del "Campo Antimperialista", tra i sostenitori della manifestazione, presterebbero il fianco.

Noi dell’Oci non abbiamo alcun titolo né interesse a prendere parte alla polemica sulla manifestazione del 13 dicembre sulla base dello spulcio del curriculum vitae di questo o quel militante. La questione, che è seria ben al di là dei suoi numeri attuali, è interamente politica. Attiene ai programmi politici che sono in gioco e alla loro efficacia ai fini dell’azione concreta che si vuole mettere in campo. È proprio attraverso questo criterio che noi stessi, tre anni fa rispondemmo pubblicamente alle avances fatteci dalle colonne di Rinascita, un giornale della destra radicale (cfr. che fare n. 53).

A nostro giudizio, il problema non è l’infiltrazione subdola della nuova destra cui singoli o gruppi di compagni si presterebbero. Bensì la convergenza su un terreno di analisi e di prospettiva politica che concorre ad ostacolare l’avvio e lo sviluppo di una mobilitazione anti-imperialista in grado di avvicinare ed unire la resistenza irachena con la ripresa di iniziativa classista dei proletari occidentali.

Cosa si dice infatti nell’appello?

Esso parla della guerra "che l’imperatore in pectore Bush" aveva dichiarato finita e che in realtà è appena ai suoi inizi; parla degli aggressori anglo-americani circondati da una crescente ostilità; dice che "l’aggressione militare anglo-americana, come quella israeliana della Palestina, è illegale e illegittima"; che "la stessa aggressione all’Iraq è avvenuta in aperta violazione della Carta dell’Onu e del diritto internazionale" e che "se gli occupanti anglo-americani saranno cacciati, se il popolo iracheno riuscirà a liberarsi di loro, le pretese imperiali e imperialiste nordamericane, l’idea di trasformare il mondo intero nel loro orto di casa, subiranno un colpo fatale".

Per gli estensori dell’appello, dunque, il ritiro delle truppe è un chiamare l’Italia fuori da una guerra "illegale" tutta statunitense, l’aggressione è solo anglo-americana, non vi è una parola sul ruolo imperialista dell’Europa, né una denuncia dell’imperialismo di casa nostra, dei suoi interessi specifici, delle sue mene diplomatiche, della sua azione militare. Su queste basi, la denuncia e la condanna sono rivolte al governo Berlusconi in quanto subordinato passivamente all’"imperatore". Altri governi, "autenticamente patriottici" e in grado di tutelare "gli interessi nazionali", sono evidentemente possibili ed auspicabili nell’ambito del mercato e della concorrenza inter-capitalistici, come se non fosse questo ambito e la legalità internazionale in cui esso si cristallizza a generare la "guerra infinita" di Bush&C.

Non è sorprendente che su questo brodo "antimperialista" possano ritrovarsi i gruppi della nuova destra. I suoi ingredienti sono infatti i temi classici del mussolinismo: la rivendicazione e la difesa degli interessi dell’Italia "nazione proletaria" schiacciata dalla plutocrazia anglo-americana; la contrapposizione della "comunità" dell’Europa-nazione "sociale" alla giungla sociale yankee; la denuncia delle finalità brigantesche sull’Europa e su tutto il mondo perseguite dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna attraverso la seconda guerra mondiale. Cosa c’è di diverso da questa prospettiva nell’appello per il 13 dicembre?

Convergenze storiche

Già sentiamo una risposta: la "solidarietà al popolo iracheno che resiste"... Non è vero, perché, pur contraddittoriamente, il fascismo (e il nazismo con maggiore "coerenza") cercò si stabilire un’alleanza con gli stati e i popoli del mondo arabo e islamico schiacciati dal colonialismo britannico e sul punto di essere fagocitati dal mostro finanziario-nucleare statunitense. Ad esempio con l’Iraq di Gailani, con l’Iran di Reza Phalavi, con l’Afghanistan di ‘Abdul Majîd Khân, e con il rappresentante della prospettiva panislamica di quegli anni, il Gran Mufti di Gerusalemme e della Palestina. Non ci furono solo trattative in "alto loco", ma anche simpatie tra le popolazioni del Medioriente. Tant’è che l’imperialismo anglo-americano si mosse rapidamente per occupare il Medio Oriente (l’Iran e l’Afghanistan in collaborazione con l’armata russa!), sbarcare in Nordafrica e salvare il canale di Suez e l’Egitto, nella cui capitale Mussolini, proclamatosi "spada dell’Islam", si preparava ad entrare in cavallo bianco sulle orme di Rommel (vedi i brani pubblicati a p. 9).

È inevitabile che una "solidarietà con la resistenza irachena" incentrata sulle basi indicate nell’appello porti a ritrovarsi con quelli di Salò. Avvenne già ad uno dei fondatori del partito comunista d’Italia, a Bombacci, quando cominciò a far dipendere la difesa degli interessi dei proletari d’Italia da quelli della nazione, dalla sua grandezza sul mercato mondiale, dallo spazio vitale conquistato. È quello che sta per succedere ai coerenti eredi di Togliatti, il quale, anche lui, incardinò la "politica proletaria" dell’allora Pci a questo stesso assunto social-nazionale e declinò l’anti-imperialismo come semplice anti-americanismo, come convergenza fra forze statali indipendenti per ritagliarsi uno spazio congruo sul mercato mondiale, a spese dei padroni anglo-americani.

È vero che tra Togliatti e Mussolini vi era una declinazione diversa di questo assunto, in quanto l’uno era per la classe operaia entro i limiti degli interessi nazionali e l’altro per una nazione "proletaria" che poteva far valere i propri interessi solo con il concorso attivo del nerbo "proletario" e "popolare". Ed è altrettanto vero che, in conseguenza di ciò, le due prospettive, in conflitto tra loro, stabilirono un rapporto diverso con i lavoratori: alla prima aderirono proletari più "coscienti", alla seconda lavoratori più "confusi". Questa collocazione, però, non poteva mantenersi per un tempo indefinito: o il sentimento classista che animava i lavoratori aderenti al Pci liberava se stesso dalla gabbia degli interessi nazionali e con ciò era in grado di offrire una via d’uscita ai proletari "in camicia nera", oppure la distinzione era destinata ad annaquarsi e confondersi. Il che è purtroppo quello che è accaduto. Oggi "semplicemente" se ne traggono tutte le conseguenze anche in termini di "convergenza formale".

Di fronte alla nuova catastrofe mondiale incubata dal capitalismo, se si parte da simili presupposti, non c’è via di scampo: per tale strada la volontà di opporsi ai preparativi di essa sarà costretta a ripresentare, opportunamente aggiornata, la politica europeista che fu di Mussolini e Hitler, con tutto quel che significò realmente anche per i proletari europei e i popoli arabi che provvisoriamente abboccarono al loro amo avvelenato, complici la dismissione della difesa dei loro interessi da parte della "sinistra" riformista e la "conversione" social-nazionale dei partiti comunisti stalinizzati.

Il rifiuto da parte nostra di sottoscrivere questo terreno programmatico non vuol dire la consegna nelle mani di coloro che se ne fanno portavoce, di destra o sinistra che siano, dei giovani proletari che vogliono reagire alla stretta totalitaria compiuta dal capitale sulle loro vite e su quella delle popolazioni terzo-mondiali prendendosela solo con gli Stati Uniti. Cioè solo con la potenza imperialista che, al momento, ne impersona la dittatura mondiale. L’odio contro il capitalismo statunitense è pienamente anche nostro, anche nostra è la convinzione che una vita da esseri umani richieda la distruzione di questo mostro totalitario e rapace, ma la lotta per questo obiettivo in tanto può essere realmente liberatrice in quanto è lotta contro il capitalismo, affidata all’unità di battaglia tra i proletari d’Europa, quelli degli Stati Uniti e dei paesi dell’Est e del Sud del mondo. Ecco perché non abbiamo aderito alla manifestazione del 13 dicembre: la sua piattaforma punta ad incanalare quel tanto di energie proletari e giovanili che si sono espresse contro la guerra su un binario deviato, deviante, suicida, guerrafondaio a pro del capitale. Altra cosa è intervenire come comunisti organizzati verso questi giovani, ritrovarsi con loro fianco a fianco nella lotta contro la "guerra infinita" di Bush-Blair-Berlusconi (e per noi anche di Chirac-Schroeder) e battagliare per strapparli alle loro bandiere, per favorirne l’organizzazione dietro quelle del comunismo internazionalista.

Lo abbiamo già ricordato nella nostra risposta a "Rinascita". Una cosa è sottoscrivere appelli comuni o organizzare iniziative insieme con gruppi della nuova destra, altra cosa è ritrovarsi a lottare gomito a gomito con lavoratori che al momento affidano a bandiere social-nazional la loro volontà di opposizione agli effetti dell’imperialismo, tra cui la sua guerra, e la loro "aspirazione rivoluzionaria" di un mondo radicalmente diverso da quello che offre il capitalismo. Non respingiamo questa seconda mescolanza. Come non respingiamo la "mescolanza" con i tanti giovani che, sulle stesse posizioni, si collocano però a "sinistra". Non sembri una provocazione. Guardiamo cosa dice Negri nel libro, Impero, che ha grande diffusione nell’area "no-global". O anche quello che reclama Agnoletto a nome del movimento per la pace e "no-global". In entrambi i casi, il riferimento non è all’Europa come soggetto di opposizione all’"impero"? Cos’è di diverso che invoca la Rossanda sul manifesto quando scrive "Svegliati Europa"?

Non si può pensare di demarcarsi dalla prospettiva politica mussoliniana semplicemente aggiungendo al richiamo all’Europa la specificazione dei popoli. Anche Mussolini diceva altrettanto. L’Europa dei popoli in tanto non è una mistificazione per irregimentare i lavoratori al carro degli "stati proletari" in quanto è l’Europa degli sfruttati, è l’Europa dei proletari che lottano, europei ed immigrati, contro il capitalismo, insieme ai proletari degli Usa, statunitensi ed immigrati, e alle masse lavoratrici del resto del mondo.