Basta precarietà!

Usciamo dall’isolamento

e dal silenzio.

 

Il governo Berlusconi mena vanto di aver realizzato in Italia un mercato del lavoro tra i più flessibili in Europa.

È vero. Lo ha fatto raccogliendo l’eredità lasciatagli dai governi del centrosinistra e muovendo non piccoli passi in avanti nella direzione già da questi segnata.

Grazie a queste politiche le giovani generazioni (ma non solo esse, se al fondo previdenziale dei co.co.co. il 25,7% degli iscritti è over 50 e l’11% già pensionato) sono alla mercé dell’arbitrio dei padroni, costrette a "contrattare" individualmente le condizioni di un lavoro precario e sottopagato.

I co.co.co., si può dire, sono stati inventati dal centro-sinistra. Così come dobbiamo a un governo "amico dei lavoratori" la prima "riforma" complessiva del mercato del lavoro all’insegna della flessibilità e precarietà. Si tratta del pacchetto Treu, che nel ’97, Prodi regnante, ha introdotto tra l’altro il lavoro interinale. I co.co.co. sono figli della riforma pensionistica del ’95 varata dal governo Dini, sostenuto da centrosinistra e Lega Nord. Quella riforma, infatti, istituisce presso l’Inps il fondo di gestione separata dove confluiscono i contributi versati per i collaboratori coordinati continuativi. La molla che in poco tempo ha fatto esplodere il numero dei co.co.co. sta nel fatto che la misura dei contributi versati è molto bassa: il 10% dei compensi, di cui 2/3 a carico dei padroni (pardon: committenti). Nasce in questo modo il cosiddetto popolo del 10%. E nasce anche un settore che oggi conta oltre 2 milioni di lavoratori veri ai quali è stata semplicemente scippata la pensione, insieme a tutto il resto. Ciò in omaggio alla sete di profitto dei padroni che gongolano di poter "scegliere" tra l’assunzione di un lavoratore tradizionale per il quale si versano contributi che complessivamente superano il 40% della retribuzione, di cui oltre il 30% a carico dei padroni stessi, e il co.co.co. per il quale il padrone se la cava, oggi, con poco più del 10%. Infatti l’iniziale aliquota del 10% è stata via via rialzata fino al 13,50% nel 2003, poi al 17,30% nel 2004, mentre arriverà al 19% nel 2013: sempre inferiore alla metà dei contributi versati per il lavoratore subordinato fisso.

Ecco un punto da prendere in carico: la rivendicazione di una contribuzione a carico dei padroni che sia pari a quella dei dipendenti fissi, per avere pari diritti in caso di malattia, infortunio, maternità, pensione, etc.. Ciò si rende necessario per contrastare il fronte padronale e governativo che gioca anche su questo terreno la carta della contrapposizione generazionale tra lavoratori, quando giustifica le nuove riforme delle pensioni con "la necessità di garantire la pensione ai giovani". In realtà sono le loro politiche ad avergliela sottratta e nessuno di loro si sogna di porre fine alla cuccagna di una contribuzione insufficiente o ridotta per i lavoratori atipici, intermittenti, etc. Mentre anche dalla sponda del centro-sinistra, politico e sindacale, si tace vergognosamente su questo e su tanti altri punti, visto che sono stati proprio i loro governi a introdurre queste odiose differenziazioni.

Altro punto importante è quello di organizzarsi per poter fronteggiare, con riferimento a tutti i tipi di rapporto, il complessivo ulteriore passaggio di precarizzazione che è in atto a seguito della approvazione della "riforma Biagi" varata dal governo Berlusconi. Questa "riforma" (ispirata dal libro bianco di Maroni, recepito nel Patto per l’Italia sottoscritto da Cisl e Uil, tradotto nelle deleghe al governo, deleghe attuate in parte con la legge 30 del febbraio 2003, seguita dal decreto attuativo di settembre 2003 e da una valanga di circolari esplicative) prevede ben 46 tipologie diverse di lavoro precario.

In particolare è prevista la cessazione delle collaborazioni coordinate continuative e la loro conversione nelle collaborazioni a progetto. Ciò significa concretamente che le aziende che impiegano co.co.co., quando avranno terminato i propri "studi di fattibilità" sui nuovi contratti "a progetto", si presenteranno ai -singoli- lavoratori per proporgli, legge Biagi alla mano, una collaborazione che, progetto o non progetto, avrà una durata più breve e determinata e sarà complessivamente più precaria. Il padronato ha criticato in parte il provvedimento attuativo della legge 30 perché la regolamentazione eccessivamente dettagliata, sia pur di tipologie di rapporti iper-precari, limiterebbe la loro libertà e, nello specifico, per la difficoltà di ricondurre le collaborazioni a un progetto, paventando che così si possa rinfocolare la pretesa dei lavoratori di veder riconosciuto il proprio rapporto di lavoro come lavoro dipendente a tempo indeterminato.

In realtà il governo e i settori più avveduti del padronato hanno presente esattamente questa preoccupazione: quella che il ricorso eccessivo alle co.co.co., pur in presenza di rapporti palesemente subordinati, possa a lungo andare esporli al rischio che questa massa di lavoratori si aggreghi attorno ai propri interessi collettivi -come qua e là si è iniziato a vedere- , per iniziare a rivendicare con l’organizzazione e la lotta l’omogeneizzazione delle proprie condizioni alle tutele del lavoro dipendente. Per evitare questo rischio con il contratto a progetto si cerca di ricondurre il rapporto alle caratteristiche del lavoro autonomo e all’accentuazione dei suoi profili di individualismo e isolamento. Non a caso, mentre si compie questo passaggio di "razionalizzazione" delle co.co.co., si precarizzano maggiormente tutti i rapporti di lavoro, compreso quello subordinato a tempo indeterminato, con il tentativo di rendere libero il licenziamento sia limitando il campo di applicazione dell’art. 18 (che ammette il licenziamento solo "per giusta causa") e sia puntando a sterilizzare in generale la tutela prevista da questa norma.

Poiché è più che fondato il timore che "la nuova legge renderà la vita dei collaboratori ancora più precaria", diviene più che mai necessario iniziare ad organizzarsi per poter intervenire e far sentire la voce dei lavoratori dentro e contro questo passaggio, per iniziare a rivendicare il sacrosanto diritto a uscire dalla precarietà e ad avere pari diritti per tutti i lavoratori, per rivolgersi agli altri lavoratori per ottenerne il sostegno e chiamarli alla battaglia comune. Pur se in forme e misura diversa, il problema della pensione, della salute, delle tutele della maternità, della precarietà, dell’impotenza individuale davanti allo strapotere delle direzioni aziendali tocca tutti i proletari. Possiamo difendercene tutti insieme, dandoci da fare per un’organizzazione e una mobilitazione di lotta in grado di imporre la parificazione dei diritti verso l’alto. Noi comunisti internazionalisti, con le nostre piccole forze, siamo qui a fare la nostra parte nel lavoro comune che c’è da fare.