Home page        Archivio generale "Che fare"         Per contattarci



Dossier Cina

Una lunga storia di rivolte e rivoluzioni

Di falsità sulla Cina se ne leggono a iosa. Una delle più frequenti e ridicole è quella che vuole la sua popolazione lavoratrice, contadina o operaia, docile fino al masochismo e obbediente all’autorità, qualunque essa sia, fino al servilismo. La verità storica è nel contrario: "nessun altro popolo può sfoggiare una tradizione rivoluzionaria così ricca", scriveva Programma comunista degli anni di Amadeo Bordiga, attribuendo proprio alla eccezionale frequenza delle rivolte e delle guerre contadine "la precocità dello sviluppo storico cinese di fronte all’Occidente". Infatti: le rivoluzioni sono le locomotive della storia (Lenin). In Cina come in tutto il mondo, e già prima dell’avvento dell’era industriale.

"Tutte le grandi società preindustriali – afferma J. Chesnaux in I movimenti contadini in Cina nel XIX e nel XX secolo, Laterza, 1973 – hanno conosciuto la febbre dei ‘furori contadini’ conservando il ricordo terrificante e ammirato dei grandi ribelli contadini: Jack Cade, Wat Tyler e i Lollardi in Inghilterra, i ‘Jacques’ del Beauvaisis e i ‘Croquants’ della Normandia in Francia, Stenka Razin e Pugaciov in Russia, Thomas Munzer e le sue bande di contadini tedeschi affamati. Nessun paese, tuttavia, pare disporre in questo campo di una tradizione così ricca e, soprattutto, così continua come la Cina.

"L’intera storia bimillenaria della Cina imperiale è costellata di rivolte contadine: quelle dei Turbanti Gialli, delle Sopracciglie Rosse e dei Cavalli di Bronzo all’inizio della nostra epoca, quelle delle dinastie Sung nel dodicesimo e nel tredicesimo secolo, quelle della metà del diciassettesimo secolo, per limitarci alle più importanti". Lotte contadine la cui "tradizione rimaneva viva e presente all’animo del contadino cinese del diciannovesimo e del ventesimo secolo", protagonista tra il 1850 e il 1870 del "più grande complesso di guerre contadine di tutta la storia umana" con le rivolte dei T’ai-p’ing, dei Nien, dei Musulmani, a cui seguirono, poi, nel 1899-1901 la sollevazione degli aderenti all’I-ho-ch’uan (i Boxers) e la grande guerra di liberazione anti-giapponese.

Queste guerre e rivolte contadine sono state il culmine e l’espressione più violenta delle crisi sociali cinesi, ed è per questo che vanno considerate vere e proprie "pietre miliari della storia cinese". "Quando un ciclo socio-economico (che in genere coincideva con un periodo dinastico) volgeva al termine, quando lo sfruttamento dei contadini si intensificava e la produzione declinava, quando la prodigalità e la corruzione indebolivano il gruppo al potere, quando cioè il governo si trovava di fronte alla prospettiva della bancarotta e la popolazione immiserita di fronte a quella della fame, allora i contadini in genere prendevano la via della ribellione, rifiutando di pagare i fitti, le tasse e i debiti, compiendo sistematici attacchi di disturbo e operazioni di espropriazione contro i ricchi, saccheggiando e distruggendo i centri del potere politico e amministrativo.", così E. Collotti Pischel nella Prefazione a Chi Ch’ao-Ting, Le zone economiche chiave nella storia della Cina, Einaudi, 1972. Inutile dire che si trattava di rivolte dal tratto fortemente egualitario (che avevano motti quali "chi non lavora, non mangia", "prendete ai ricchi, date ai poveri"...), anche tra i due sessi, dal momento che in molti di questi movimenti, e soprattutto nelle società segrete che ne costituivano l’anima politica, le contadine erano non solo accettate, ma accedevano spesso ai gradi più elevati del comando (cfr. Fei-Ling Davis, Le società segrete in Cina 1840-1911. Forme primitive di lotta rivoluzionaria, Einaudi, 1971).

Secondo E. Perry, "la impressionante sequenza di ribellioni e rivoluzioni della Cina non è dovuta semplicemente alla straordinaria grandezza e longevità del paese, ma anche al fatto che nel centro della cultura politica cinese vi sono dei fattori che hanno direttamente incoraggiato tali proteste. Il confuciano o, per essere precisi, menciano concetto di tianming, "mandato del Cielo", conferiva una immediata legittimità ai capi ribelli che avevano avuto successo. Questo precetto pragmatico differiva in modo marcato dalla nozione europea di ‘diritto divino dei re’ e dalla fede giapponese in una ininterrotta linea di continuità dei governanti discendenti dalla divinità-Sole, miti che hanno entrambi funzionato come antidoti alle sfide ai governanti" (Critical Asian Studies, 2001, n. 2).

Queste sollevazioni contadine si concludevano tutte con l’espropriazione più o meno completa delle classi ricche, dopo di che – ecco il loro limite storico, che è il limite storico della "classe" dei contadini in generale, e non solo dei contadini cinesi – "il processo di concentrazione dei beni e di pauperizzazione dei piccoli coltivatori ricominciava fino alla prossima jacquerie. La storia della Cina offre così lo spettacolo del tragico rinnovarsi di un processo economico che in venti secoli, fino ai nostri giorni, non ha subìto che poche modificazioni secondarie", annotava nel 1927 Victor Serge in Le lotte di classe nella rivoluzione cinese del 1927 (Samonà e Savelli, 1971). Questo limite fu spezzato proprio dalla nuova rivoluzione popolare che prese avvio in quell’anno, per la prima volta nella storia della Cina, sulla spinta delle insurrezioni operaie di Shanghai e di Canton. Furono le masse operaie cinesi le prime a sollevarsi in Oriente in una insurrezione rivoluzionaria che si svolse "sotto l’influenza incontestabile della rivoluzione d’Ottobre e del bolscevismo come bandiera". La tragedia che in esse si consumò, come sostenne Trotskij nella sua splendida battaglia in difesa della indipendenza del proletariato nella rivoluzione cinese, fu che gli insorti consegnarono tutto il potere al proprio nemico, il Kuomintang, grazie anche alle indicazioni conciliatrici con la borghesia cinese provenienti da Stalin e Co.: "Se la rivoluzione russa ha determinato la rivoluzione cinese, gli epigoni russi l’hanno soffocata" (La rivoluzione permanente, Mondadori, 1979, p. 216) (1).

E tuttavia le "obbedienti" masse sfruttate della Cina erano talmente gravide di rivoluzione che né gli epigoni (traditori) russi dell’Ottobre, né il Kuomintang, né le potenze coloniali europee e asiatiche riuscirono ad impedire che dopo lo schiacciamento nel sangue delle prime insurrezioni operaie la rivoluzione cinese continuasse, in altra forma e con altro contenuto di classe, nelle sterminate aree agricole della Cina interiore e riportasse la vittoria sui suoi nemici interni ed esterni, dando il via alla meravigliosa rinascita dell’Asia avvenuta nel corso della seconda guerra mondiale (è in Asia, non lo si dimentichi!, che il super-imperialismo a stelle e strisce ha ricevuto la sua prima bruciante sconfitta in guerra, nonostante l’immensa disponibilità, e uso, di mezzi di distruzione di massa).

Già alla metà dell’800 (quando si dice la lungimiranza) Marx vedeva nella "guerra popolare per la sopravvivenza della nazione cinese" allora in atto "l’alba di un’era nuova per tutto l’oriente asiatico", e così è stato secondo i tempi e i modi propri delle grandi vicende storiche. E anche se la rivoluzione del 1949 non è stata, per noi la cosa è evidente, una rivoluzione proletaria e socialista, ma "solo" una rivoluzione popolare borghese tinteggiata alla superficie di rosso, essa ha tuttavia mutato totalmente il volto della Cina e dell’Asia facendo nascere sul suo suolo alla massima scala quella classe sociale, il moderno proletariato, che è la classe candidata (per mandato della... terra) a trasformare una seconda volta ab imis la Cina, l’Asia, il mondo intero realizzando in pieno anche le istanze umane più profonde delle millenarie rivolte contadine. Insieme alla rivoluzione capitalista in Russia (del periodo staliniano), essa, dirà Bordiga, tesse "al capitalismo mondiale il suo lenzuolo funebre" ("Malenkov-Stalin: toppa, non tappa", Programma comunista, n. 6, 1953).

La classe operaia non è stata, è vero, protagonista della rivoluzione popolare, né poteva esserlo per come tale rivoluzione si è data. Ma nel cinquantennio post-1949 essa ha ripetutamente fatto sentire la propria voce, inesperta se si vuole, ancora ingenua, ma mai totalmente confusa con quella delle altre classi sociali, in tutti i momenti cruciali della vita politica della Cina post-rivoluzionaria, ben inclusi il periodo della "rivoluzione culturale" e i fatti del 1989. Questa classe si trova ora in una condizione di crescente disagio, un disagio che si esprime in molteplici forme, per lo più isolate e soft per il momento, ma la sua aperta rivolta generale è soltanto questione di tempo.

La riscrittura della storia della Cina in corso in Occidente sta ben attenta a prescindere del tutto da questa grande storia di sollevazioni e di lotte. Prendete ad esempio il libro di M. Weber, Il miracolo cinese (Il Mulino, 2001): la Cina del passato, per quel po’ che se ne parla, è identificata con la sua, certamente eccezionale, classe di letterati-burocrati, ma in queste storielline di comodo non c’è posto per il ruolo storico svolto dai lavoratori, se non per "spiegare" all’ignaro lettore che la lealtà (zhong) verso il sovrano del paese e verso il sovrano della famiglia è sempre stata, nella Cina del passato, alla base di ogni relazione sociale, e che di conseguenza il cinese comune della Cina del presente, cioè il proletario cinese, è un essere per definizione prono al potere. Gli operai più passivi dei ribelli contadini? Staremo a vedere, staremo a vedere...

Note

(1) Su queste insurrezioni operaie e sugli inizi della rivoluzione cinese nel XX secolo, oltre ai testi già citati, consigliamo la lettura di Trotzkij-Vujovic-Zinoviev, Scritti e discorsi sulla rivoluzione in Cina 1927, Iskra, 1977 (lo si può chiedere alle nostre sedi); H.R. Isaacs, La tragedia della rivoluzione cinese 1925-27, Il Saggiatore, 1967; e i capp. V e VI di A. Neuberg, L’insurrezione armata, Feltrinelli, 1970.


ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


Home page        Archivio generale "Che fare"         Per contattarci