Dove va l’Italia?

La democrazia in azione

Mentre i lavoratori dell'Alenia manifestavano per le vie del centro di Torino [contro i licenziamenti, n.], la polizia sgomberava la Sicme, fabbrica fallita e occupata dai lavoratori in assemblea permanente. Alcuni operai si sono incatenati sul tetto della fabbrica, altri hanno opposto resistenza passiva e sono stati trasportati fuori dallo stabilimento che, l’hanno ripetuto in molti, sentivano ormai anche un po’ loro. Il fallimento di una fabbrica leader nel settore (produce macchinari per la verniciatura del filo di rame) ha lasciato sbigottiti i 123 lavoratori rimasti senza lavoro e i sindacati. Dietro probabilmente c’è l’intenzione dell’azienda di vendere o di riaprire sotto un altro nome e con un numero di dipendenti assai inferiore a quello attuale. Comunque a Torino di sgomberi non se ne vedevano da vent’anni" (il manifesto, 20 novembre 2004)

Il 2 dicembre le forze dell’ordine vengono fatte intervenire contro i lavoratori della Selca di Pomigliano in lotta contro i licenziamenti. Raccontano i lavoratori: «Una carica violenta fatta di percosse [uno dei dimostranti è stato ricoverato con tre giorni di prognosi] e di insulti»; «Ci umiliavano ci chiamavano operai come fosse un’offesa; ad una delle nostre compagne ripetevano vattene a casa a fare la calza»; «Una violenza tanto più grave in quanto consumata subito dopo lo sciopero generale; spenti i riflettori però ad essere perseguitati sono gli operai e non la delinquenza organizzata» (il manifesto, 3 dicembre 2004).

"Dieci feriti e molti contusi: è il bilancio degli scontri avvenuti ieri mattina in provincia di Avellino, a Panni, in contrada Ischia. (...) A Panni protestano da mesi per evitare la nascita di una discarica che confina con una sorgente d’acqua sulfurea, con il fiume Cervaro, con il torrente Lavella, con una strada provinciale e con la stazione ferroviaria. La tensione era alta già da qualche giorno, ma nessuno si aspettava una carica così violenta. (...) «Sono ancora indolenzita, mi fanno male un braccio e una gamba», dice piangendo Anna Carrozzo, 65 anni, «è stata una scena tremenda: pensavamo che la polizia avesse il compito di proteggerci, invece ci ha aggredito. Siamo brava gente, non siamo violenti: c’erano dieci o venti donne per terra, dietro di loro i sindaci e noi, che recitavamo il rosario. Poi è partita la carica. Ho visto una signora che mi sembrava morta e ho iniziato a gridare: l’avete ammazzata. Il sindaco di Panni l’hanno trascinato sul fango come un sacco di paglia. Ci siamo sentiti in una morsa, tutti stretti l’uno all’altro, mentre un altro poliziotto urlava: carica, carica, carica. (...) Come potrò ancora credere nella polizia? Oggi ho capito che hanno ragione i no global: è la polizia che aggredisce e non loro, perché ho visto con i miei occhi quello che è successo ieri. Qual è la nostra colpa? Difendevamo la nostra terra, non facevamo niente di male, l’Italia lo deve capire: a noi non resta che l’aria pulita e l’acqua buona. Se ci tolgono questo, non ci più resta niente» (il manifesto, 18 dicembre 2004).