Dai Manoscritti economico-filosofici di Marx

Perché l’essere umano è estraneo agli altri e a sé stesso

Per comprendere a fondo perché oggi l’essere umano viva sempre di più in una situazione alienata ed estraniata nei riguardi sia delle cose che lo circondano che di sé stesso bisogna prima di tutto capire da dove nasce questa condizione nella società capitalista.

In questo ci aiuta molto uno scritto del giovane Marx (i Manoscritti economico-filosofici del 1844) nel quale si fa vedere come tutto riconduca al modo in cui nella società capitalistica viene organizzato e svolto il lavoro umano. All’alienazione del lavoro salariato.

Riportiamo di seguito alcuni passi (tratti dall’ed. Einaudi, Torino, 1968 dei Manoscritti), consigliando ovviamente la lettura completa e approfondita di questo mirabile testo.

"In che cosa consiste l’alienazione del lavoro? Consiste prima di tutto nel fatto che il lavoro è esterno all’operaio, cioè non appartiene al suo essere, e quindi nel suo lavoro egli non si afferma, ma si nega, si sente non soddisfatto, ma infelice, non sviluppa una libera energia fisica e spirituale, ma sfinisce il suo corpo e distrugge il suo spirito. Perciò l’operaio solo fuori del lavoro si sente presso di sé, e si sente fuori di sé nel lavoro. E’ a casa propria se non lavora; e se lavora non è a casa propria. Il suo lavoro quindi non è volontario, ma costretto, è un lavoro forzato. Non è quindi il soddisfacimento di un bisogno, ma soltanto un mezzo per soddisfare bisogni estranei. La sua estraneità si rivela chiaramente nel fatto che non appena viene meno la coazione fisica o qualsiasi altra coazione, il lavoro viene fuggito come la peste. Il lavoro esterno, il lavoro in cui l’uomo si aliena, è un lavoro di sacrificio di se stessi, di mortificazione. Infine, l’esteriorità del lavoro per l’operaio appare in ciò che il lavoro non è suo proprio, ma di un altro. Non gli appartiene, ed egli, nel lavoro, non appartiene a se stesso, ma ad un altro. Come nella religione, l’attività propria della fantasia umana, del cervello umano e del cuore umano influisce sull’individuo indipendentemente dall’individuo, come un’attività estranea, divina o diabolica, così l’attività dell’operaio non è la sua propria attività. Essa appartiene ad un altro; è la perdita di sé" (pag. 75).

"Poiché il lavoro estraniato rende estranea all’uomo 1) la natura e 2) l’uomo stesso, la sua propria funzione attiva, la sua attività vitale, rende estraneo all’uomo la specie; fa della vita della specie un mezzo della vita individuale" (pag. 77).

"(…) il lavoro estraniato strappando all’uomo l’oggetto della sua produzione, gli strappa la sua vita di essere appartenente ad una specie… il lavoro alienato fa, dunque, dell’essere dell’uomo, come essere appartenente ad una specie, tanto della natura quanto della sua specifica capacità spirituale, un essere a lui estraneo, un mezzo della sua esistenza individuale. (...) Una conseguenza immediata del fatto che l’uomo è reso estraneo al prodotto del suo lavoro, della sua attività vitale, al suo essere generico, è l’estraniazione dell’uomo dall’uomo. Se l’uomo si contrappone a se stesso, l’altro uomo si contrappone a lui. Quello che vale del rapporto dell’uomo col suo lavoro, col prodotto del suo lavoro e con se stesso, vale del rapporto dell’uomo con l’altro uomo, ed altresì col lavoro e con l’oggetto del lavoro dell’altro uomo" (pag. 79 – 80).