La "guerra infinita" contro i lavoratori immigrati in Europa

Contro il pacchetto Pisanu,

contro il nuovo giro di vite (bipartisan) anti-immigrati

I governi europei hanno risposto agli attentati di Londra con un nuovo giro di vite contro gli immigrati. Anche l’Italia sta facendo la sua parte. Perquisizioni e schedature di massa, retate, espulsioni, chiusura di moschee e scuole islamiche, simulazioni di "attentati islamici" nelle grandi città, aumento del pattugliamento poliziesco delle grandi città, nuove misure "anti-terrorismo", propaganda battente delle posizioni razziste dell’ariana Fallaci... Parte integrante e appendice diretta di questa crociata è la politica di "dialogo con l’Islam moderato".

A che serve la Consulta Islamica?

Dopo tanti preparativi, la Consulta è nata. Ne fanno parte 16 membri di religione islamica, scelti direttamente dal governo. È vero che all’ultimo momento è stato inserita la rappresentanza dell’Ucoii, ma è difficile non condividere il commento di chi, pur lontano dalle nostre posizioni, ha detto dall’interno della comunità islamica in Italia: "Chi rappresentano, la maggior parte di costoro, a parte loro stessi?".

Il criterio di selezione non nasce a caso. È espressione della funzione attribuita alla Consulta. Che non è "un parlamentino delle associazioni musulmane" ma un organo, con sede al Viminale, che serve a dare consigli al ministro per l’elaborazione delle politiche per la tutela della sicurezza, per la costruzione di "un islam italiano", per la formazione -come ha detto Magdi Allam- di "una comunità civile musulmana rispettosa della nostra identità nazionale e delle nostre leggi", che "deplori con chiarezza di vigore i rapimenti e gli attentati" e inviti la massa degli immigrati musulmani a pensare soltanto "al pane e al lavoro".

La consulta dovrà essere inoltre uno strumento di monitoraggio e controllo della massa dei lavoratori di fede islamica. Attraverso la conoscenza di statuti e responsabili delle associazioni. Attraverso il controllo, anche dall’interno, di ciò che fanno e dicono, delle "discussioni tra voci radicali e voci moderate". Attraverso l’assoldamento di "guide", cioè di spie, provenienti dai vertici e possibilmente dalla massa.

La Margherita e i Ds non sono da meno del governo. I Ds, in particolare, chiedono maggiori risorse alla sicurezza "anti-terrorismo", il reclutamento di "personale della comunità musulmana" nei servizi segreti ("serve gente che sappia parlare l’arabo") e il "via libera alle operazioni sotto copertura". Evidentemente è ancora poco quanto già approvato in tema di colloqui investigativi condotti dalla polizia al di fuori di ogni controllo e di permessi di soggiorno premiali "per collaboratori infiltrati e confidenti". Aly Faye, responsabile Ds per l’immigrazione, su l’Unità del 26 luglio caldeggia l’intesa tra stato e comunità islamica, perché essa consentirebbe l’istituzionalizzazione dell’Islam "a cominciare dalle moschee", per arrivare alle "scuole coraniche e i modelli di insegnamento", alla "gestione dei centri islamici, le fonti di finanziamento e il piano delle attività", alla "formazione degli imam e dei manager dei centri islamici e per l’insegnamento della religione islamica (…) ai fini di una standardizzazione dei modelli didattici e dei contenuti formativi." A tal fine Faye propone di costituire "un fondo ad hoc alimentato con i versamenti della zakat che ogni musulmano deve versare ogni anno in base al suo reddito annuale": così "si eviterebbe il trasferimento di questi soldi all’estero e si potrebbe pensare a forme di detrazioni per chi versa la zakat in questo fondo oppure a centri islamici istituzionalizzati, come anche l’otto per mille dei cittadini di fede islamica potrebbe confluire in questo fondo". D’altra parte non si è letto che la sicurezza sul metrò verrà messa in conto con l’aumento del biglietto?

Governo e opposizione sono uniti nell’intento di far emergere all’interno della comunità immigrata islamica uno strato di collaborazionisti, una piccola selezionata pattuglia di "integrati" che lavori a disperdere il percorso di organizzazione intrapreso da alcuni (ancor ristretti) settori di lavoratori immigrati, facendo terra bruciata attorno ai rappresentanti che non chinano il capo, diffondendo verso la massa dei proletari immigrati un messaggio che dice: "pensate al pane e al lavoro e a niente altro, affidatevi a noi, delegateci i vostri problemi, non vi sognate di lottare né per i vostri diritti né tanto meno contro la guerra in Iraq, date il vostro consenso al governo e allo stato che vi ospita e non vi accadrà niente".

 

Pensare anche "solo" al pane e al lavoro richiede...

Capiamo bene quanto questo pressing stia preoccupando i lavoratori immigrati e quanto l’invito del governo stia raccogliendo dei frutti. Soprattutto tra chi, al prezzo di indicibili sofferenze, ha potuto conquistare un inserimento lavorativo o la regolamentazione con la Bossi-Fini. Capiamo bene questo ripiegamento. Ma esso non può portare lontano. E infatti, quand’anche ci si faccia piccini piccini, si stia lontani dalle piazze della lotta, dalle sedi dei comitati, dalle preghiere collettive nelle moschee, e non ci si intrattenga più del dovuto nei phone center e nelle macellerie, si rivelerà comunque una illusione quella di potersi mettere al riparo professando all’occorrenza la "denuncia del terrorismo" e chiudendosi nella determinazione a voler pensare "soltanto" al pane e al lavoro. Perché sarà più che sufficiente questo pensare anche "solo" al lavoro e al pane, per essere comunque nel mirino della repressione statale e padronale ed essere chiamati a reagire collettivamente. Istruttivo quello che è capitato, tra i tantissimi, all’immigrato brasiliano assassinato dalla polizia sul metrò di Londra mentre andava al lavoro o quello che è accaduto in Italia a Ion Cazacu o Stanislaw Swetkowski, immigrati niente affatto musulmani, uccisi con il fuoco e a botte dai loro padroni "semplicemente" perché dopo aver lavorato volevano anche la paga per comprare il pane con cui campare.

L’unica via d’uscita sta nel rafforzamento del percorso di organizzazione e di lotta. Nella capacità di coinvolgervi la massa sempre più ampia degli immigrati. Nell’impegno sistematico per dotarsi di una visione generale dello scontro, in Italia e nel mondo, in cui si è impegnati, che non è uno scontro tra religioni, ma tra classi sfruttate e sfruttatrici, tra nazioni oppresse e nazioni che opprimono. Nel tentativo di rivolgersi anche ai lavoratori italiani e costituire insieme ad essi l’unico argine possibile all’attacco capitalistico: un fronte unico di classe multinazionale e internazionale. In questa direzione è andata la piccola ma significativa manifestazione di domenica 16 ottobre a Roma di cui diamo notizia nella pagina.

Anziché rispondere a questa richiesta di fraternità di classe, i lavoratori italiani, nella loro maggioranza, vedono con favore la propaganda del governo e del padronato. Di fronte al peggioramento delle loro condizioni di esistenza, all’aumentata concorrenza sul mercato del lavoro per l’arrivo degli immigrati e al rischio di un possibile attentato, i lavoratori italiani possono illudersi che la legge Bossi-Fini e il pacchetto-Pisanu siano in grado di "ridurre la concorrenza tra lavoratori" e di "garantire la sicurezza dei lavoratori". Anche loro possono illudersi che sia utile pensare solo al "pane e lavoro" e dare una delega allo stato perché copra le spalle da chi porta qui forme di lotta estreme su questioni che in definitiva non riguardarebbero i lavoratori italiani.

Da sempre ci rivolgiamo ai lavoratori per dire che su questa strada non difenderanno né il lavoro né il pane e non troveranno neanche sicurezza. Più i lavoratori immigrati saranno schiacciati (e a questo servono le barriere formali all’arrivo e alla regolarizzazione degli immigrati), più essi saranno usati (involontariamente) per schiacciare i lavoratori italiani, per rendere precario il pane e il lavoro di questi ultimi. Più si parteciperà allo schiacciamento dei popoli e degli sfruttati del mondo musulmano e del Sud del mondo, più si entrerà nel mirino della loro sacrosanta resistenza. La quale è sicuramente una minaccia per gli interessi capitalistici, ma non per quelli dei proletari italiani e occidentali. Essa è rivolta contro lo stesso apparato di dominio capitalistico che –seppur in modo diverso– stringe d’assedio anche i proletari autoctoni. I lavoratori italiani potranno davvero salvaguardare la loro sicurezza, se appoggeranno incondizionatamente quella resistenza, la vedranno come parte della propria battaglia per la difesa del lavoro e del pane, cercheranno di entrarvi in comunicazione e si batteranno contro l’attacco differenziato subìto dai lavoratori immigrati in Italia.

 

Pensare anche "solo"al pane e al lavoro richiede...

Capiamo bene quanto questo pressing stia preoccupando i lavoratori immigrati e quanto l’invito del governo stia raccogliendo dei frutti. Soprattutto tra chi, al prezzo di indicibili sofferenze, ha potuto conquistare un inserimento lavorativo o la regolamentazione con la Bossi-Fini. Capiamo bene questo ripiegamento. Ma esso non può portare lontano. E infatti, quand’anche ci si faccia piccini piccini, si stia lontani dalle piazze della lotta, dalle sedi dei comitati, dalle preghiere collettive nelle moschee, e non ci si intrattenga più del dovuto nei phone center e nelle macellerie, si rivelerà comunque una illusione quella di potersi mettere al riparo professando all’occorrenza la "denuncia del terrorismo" e chiudendosi nella determinazione a voler pensare "soltanto" al pane e al lavoro. Perché sarà più che sufficiente questo pensare anche "solo" al lavoro e al pane, per essere comunque nel mirino della repressione statale e padronale ed essere chiamati a reagire collettivamente. Istruttivo quello che è capitato, tra i tantissimi, all’immigrato brasiliano assassinato dalla polizia sul metrò di Londra mentre andava al lavoro o quello che è accaduto in Italia a Ion Cazacu o Stanislaw Swetkowski, immigrati niente affatto musulmani, uccisi con il fuoco e a botte dai loro padroni "semplicemente" perché dopo aver lavorato volevano anche la paga per comprare il pane con cui campare.

L’unica via d’uscita sta nel rafforzamento del percorso di organizzazione e di lotta. Nella capacità di coinvolgervi la massa sempre più ampia degli immigrati. Nell’impegno sistematico per dotarsi di una visione generale dello scontro, in Italia e nel mondo, in cui si è impegnati, che non è uno scontro tra religioni, ma tra classi sfruttate e sfruttatrici, tra nazioni oppresse e nazioni che opprimono. Nel tentativo di rivolgersi anche ai lavoratori italiani e costituire insieme ad essi l’unico argine possibile all’attacco capitalistico: un fronte unico di classe multinazionale e internazionale. In questa direzione è andata la piccola ma significativa manifestazione di domenica 16 ottobre a Roma di cui diamo notizia nella pagina.

Anziché rispondere a questa richiesta di fraternità di classe, i lavoratori italiani, nella loro maggioranza, vedono con favore la propaganda del governo e del padronato. Di fronte al peggioramento delle loro condizioni di esistenza, all’aumentata concorrenza sul mercato del lavoro per l’arrivo degli immigrati e al rischio di un possibile attentato, i lavoratori italiani possono illudersi che la legge Bossi-Fini e il pacchetto-Pisanu siano in grado di "ridurre la concorrenza tra lavoratori" e di "garantire la sicurezza dei lavoratori". Anche loro possono illudersi che sia utile pensare solo al "pane e lavoro" e dare una delega allo stato perché copra le spalle da chi porta qui forme di lotta estreme su questioni che in definitiva non riguardarebbero i lavoratori italiani.

Da sempre ci rivolgiamo ai lavoratori per dire che su questa strada non difenderanno né il lavoro né il pane e non troveranno neanche sicurezza. Più i lavoratori immigrati saranno schiacciati (e a questo servono le barriere formali all’arrivo e alla regolarizzazione degli immigrati), più essi saranno usati (involontariamente) per schiacciare i lavoratori italiani, per rendere precario il pane e il lavoro di questi ultimi. Più si parteciperà allo schiacciamento dei popoli e degli sfruttati del mondo musulmano e del Sud del mondo, più si entrerà nel mirino della loro sacrosanta resistenza. La quale è sicuramente una minaccia per gli interessi capitalistici, ma non per quelli dei proletari italiani e occidentali. Essa è rivolta contro lo stesso apparato di dominio capitalistico che –seppur in modo diverso– stringe d’assedio anche i proletari autoctoni. I lavoratori italiani potranno davvero salvaguardare la loro sicurezza, se appoggeranno incondizionatamente quella resistenza, la vedranno come parte della propria battaglia per la difesa del lavoro e del pane, cercheranno di entrarvi in comunicazione e si batteranno contro l’attacco differenziato subìto dai lavoratori immigrati in Italia.