Israele, Usa, Europa (e i regimi arabi al loro guinzaglio) stringono d'assedio il popolo palestinese

 

È difficile trovare le parole adeguate a qualificare il trattamento cui è sottoposto il popolo palestinese reo di essersi stretto nelle elezioni di gennaio, a larga maggioranza, attorno al movimento islamico di Hamas, sgradito ai signori della "comunità democratica internazionale" e da questi inserito nelle liste di proscrizione come "movimento terrorista". È un assedio vero e proprio, messo in atto in tutte le forme. Da Israele, che alla quotidiana pressione militare (il bollettino del giorno in cui scriviamo è di un attacco aereo su Gaza con 5 morti) ha aggiunto lo sfacciato furto dei dazi doganali che dovrebbe versare alle casse del legittimo governo palestinese. Dagli Usa e dall’Unione europea, che bloccano i fondi necessari al sostentamento della società palestinese, fino ai fetenti "paesi fratelli" arabi, quali la monarchia di Giordania, la cui sbirraglia è più che mai attiva nel perseguitare dietro mille pretesti i rappresentanti dei movimenti radicali palestinesi. Dicono: è soltanto "una forma di pressione". Ovvero: l’assedio verrà tolto, e persino ad un movimento come Hamas sarà concesso di entrare e trattare nelle stanze dove siedono gli assassini della "comunità democratica internazionale", a condizione che esso "rinunci alla lotta armata e riconosca Israele", a condizione, cioè, che intraprenda la stessa, identica parabola verso la "moderazione e il realismo", la capitolazione e la collaborazione con il nemico, percorsa da Arafat e da Al Fatah.

Dietro la vittoria di Hamas

Noi consideriamo la schiacciante vittoria elettorale di Hamas quale un’altra dimostrazione della straordinaria volontà di resistenza, dignità e orgoglio delle masse popolari palestinesi. Nelle prigioni a cielo aperto di Gaza e della Cisgiordania, anche in questa occasione, esse hanno ribadito che, per quanto acuminato sia il ferro del tallone israeliano e dell’imperialismo occidentale che li schiaccia, non intendono rinunciare alle loro aspirazioni ad un’autentica liberazione nazionale e a un reale riscatto sociale. Questa volontà, espressa in particolare dalla massa dei più diseredati, si è raccolta attorno a quel movimento popolare che sul campo più le ha chiamate a tener testa in armi alla macchina da guerra israeliana, che ha saputo qualificare i presunti "accordi di pace" cucinati dalle cancellerie imperialiste (da Oslo alla Road Map) per quelli che sono: autentici piatti avvelenati per il popolo palestinese. Fasulli "accordi di pace", a cui invece si è prestata la dirigenza dell’Anp fino a compromettersi, da rappresentante qual è degli interessi di una borghesia palestinese esile e miserabile, con le trame dell’imperialismo e ad infognarsi nei più disgustosi traffici (come avere nel governo uomini rappresentanti del Fmi), nelle malversazioni e nella corruzione dilaganti alle spalle di un proletariato e di un popolo palestinese che soffrono miseria e fame.

Tutta la determinazione e i sacrifici profusi, tutto il sangue versato in decenni di lotta fino all’ultima Intifadah, non possono, non debbono essere svenduti per quello straccio di "stato indipendente" nei territori di Gaza e Cisgiordania -senza Gerusalemme capitale, senza ritorno dei milioni di profughi, senza liberazione delle migliaia di detenuti politici- che secondo Israele e l’imperialismo dovrebbe rappresentare la soluzione della "questione nazionale" palestinese, affidando in consegna questo preteso "stato indipendente" ad una borghesia palestinese in tanto riconosciuta come affidabile dalla "comunità internazionale" in quanto sia in grado di svolgere la funzione di poliziotto e carceriere del suo stesso popolo. Nell’affermazione di Hamas è contenuto il globale rifiuto di una simile prospettiva, inclusa la volontà di far piazza pulita all’interno stesso della società palestinese delle clientele e degli apparati mantenuti dalle elargizioni degli imperialisti allo scopo di controllare e quando occorre reprimere l’insorgenza delle masse; è contenuta, insomma, l’esigenza di "dividere il pane" e "organizzare la vita economica e sociale in modo fraterno e in funzione del rafforzamento del fronte di lotta" (per riprendere quanto da noi scritto nel 2002 nel che fare n. 59).

Questa volontà di resistenza è tanto più straordinaria in quanto espressa dalle masse diseredate nonostante il diktat lanciato dal tandem Usa-Israele per sventare la vittoria di Hamas: "se non voterete per Al Fatah, vi taglieremo i fondi, vi prenderemo per fame, fomenteremo divisioni e guerra civile all’interno delle vostre fila". Una minaccia messa poi prontamente in atto, a dimostrazione ulteriore di che cosa sia e dove stia di casa il vero terrorismo esercitato contro i popoli.

Ancora un appello all’Europa!?

Non staremo qui a ripetere come e quanto i programmi, l’orientamento della lotta, le prospettive generali di un movimento come Hamas, e dei movimenti di resistenza di matrice islamica, siano diversi e, al fondo, opposti a quelli dell’anti-imperialismo comunista. Né che la condotta politica di Hamas non può corrispondere effettivamente alla volontà e alle esigenze di lotta espresse dalle masse diseredate che si sono raccolte attorno alla sua bandiera. La palla al piede che pesa sull’avanzamento della lotta palestinese è essenzialmente la sordità del proletariato occidentale, l’ostracismo che fin nel movimento dei lavoratori (e persino dentro quella parte di esso che si definisce "di classe e comunista") trova l’insorgenza anti-imperialista in quanto realmente tale che irrefrenabile sale dalla Palestina, come da tutto il mondo arabo-islamico. Perfino da uomini e ambienti da una vita impegnati come "sinceri amici della causa palestinese", la vittoria di Hamas è considerata e fatta passare come un’autentica sciagura, un oscuro passo indietro del e per il popolo palestinese. Un "dramma", un "crollo del mondo palestinese che abbiamo conosciuto, laico, democratico e di sinistra", un "crollo della timida sinistra e della società civile", un "prima dell’abisso", tanto per riportare le espressioni il manifesto del 26 gennaio.

Certamente, tanti di questi "sinceri amici della causa palestinese" chiedono che si ponga fine al feroce assedio di un popolo. Ma: a chi e come lo richiedono? per perseguire quale altra politica? Ebbene, tenendosi ben alla larga dalla denuncia e dalla mobilitazione di piazza, essi lo richiedono all’Unione europea la quale dovrebbe finirla di "guardare ancora una volta i palestinesi con gli occhi della politica Usa", quell’Unione europea di cui si critica "la responsabilità nell’esito elettorale [cioè la vittoria di Hamas –n.] per aver solo erogato fondi, senza sostenere con una vera politica di pace, del diritto e dei diritti, l’Anp guidata da Al Fatah" (1). Insomma, gli unici reali interlocutori di questa postura di "solidarietà" sono i governi e gli stati imperialisti d’Europa, a cui si chiede di smarcarsi dalla signoria americana, e sono, dall’altro, gli interessi della borghesia compradora palestinese "buona" in quanto "nostro" volonteroso cane da guardia in loco, non escludendo pregiudizialmente neppure la dirigenza di Hamas, o quella sua parte disposta ad adoperarsi a depotenziare la volontà di lotta dei palestinesi, a tagliare le istanze plebee radicali all’interno delle sue fila.

Il va sans dire: per questi "amici" dei palestinesi, fuori da ogni gioco, fuori da questo "realismo" stanno e devono rimanere sia le aspettative e gli interessi delle masse dei diseredati e dei proletari palestinesi che quelli del proletariato della metropoli il cui destino è, e deve rimanere, rigorosamente separato da quello degli sfruttati del Medio oriente.

A questo si riconduce il tipo di diversità e "la politica di apertura e dialogo" per cui si preme sull’Europa e sul governo italiano. Il necessario sostegno economico-finanziario in cui essa deve sostanziarsi è, e non potrà che essere, indirizzato e vincolato ad un preciso e ferreo obiettivo. Soffocare ogni spinta radicale della resistenza palestinese, tenere il proletariato palestinese incatenato al presente intangibile ordine sociale e internazionale.

È ora che chi, sinceramente amico della causa palestinese, ha occhi per vedere e cuore per sentire tragga tutte le conseguenze in fatto di reale sostegno, di reale solidarietà a quel popolo la cui "pacificazione" si pretende di comprare con i 30 danari di Giuda.

Assediare gli assedianti

Di fronte all’assedio dei veri terroristi che infestano la faccia della Terra, la direzione di Hamas ha riconfermato "la promessa di non svendere mai i legittimi diritti del popolo palestinese" (1). Le dimostrazioni di buona volontà verso l’imperialismo e verso la direzione di Al Fatah che accompagnano la promessa, rischiano, però, di minarla e di paralizzare dall’interno la straordinaria lotta palestinese. Nella dichiarazione del 31 gennaio del portavoce internazionale di Hamas si afferma, infatti, che "gli Usa e l’Unione Europa potrebbero utilizzare il successo di Hamas per aprire un nuovo capitolo nelle loro relazioni con i palestinesi, con gli arabi e i musulmani". Nello stesso tempo, nonostante l’inaudita pressione e i quotidiani attacchi militari israeliani, Hamas ha bloccato la risposta armata, ha proposto una tregua in cambio del ritorno ai confini del 1967 ed ha cercato in ogni modo un’intesa con il fantoccio Abu Mazen, nonostante la pretesa di quest’ultimo di conservare il controllo sugli apparati di sicurezza (sicurezza per chi?) e sui residui fondi di cassa spettanti al legittimo governo.

Sappiamo bene che, in una situazione drammatica, si può essere costretti a sottoscrivere un compromesso con i propri nemici per tirare il fiato e per preparare condizioni più favorevoli per lo sviluppo della lotta. Sappiamo bene che la vittoria giunge in un sol botto solo nelle rappresentazioni infantili e che essa, nel caso del riscatto nazionale palestinese, potrebbe trovare un suo fulcro nella conquista di un primo territorio liberato anche in una limitata zona della Palestina a fianco dello stato d’Israele. Sappiamo bene, inoltre, che la preoccupazione di Hamas di tendere una mano agli ebrei comuni con la sottolineatura della natura politica e non religiosa dello contro con Israele non è un elemento di debolezza, ma un elemento di forza suscettibile di effetti dirompenti negli equilibri interni al bastione di Israele (2).

Nelle mosse politiche della direzione di Hamas c’è, però, qualcosa di diverso, che ricorda i tempi eroici della direzione arafattiana dell’Olp e che, purtroppo, lascia intravvedere, senza un pronto cambio di rotta, una traiettoria analoga: c’è l’illusione, e la diffusione dell’illusione innanzitutto tra le proprie fila, che "i legittimi diritti del popolo palestinese" possano trovare realizzazione entro un ordine internazionale non molto diverso da quello attuale, senza l’attacco ai pilastri di esso -gli Stati Uniti e l’Unione Europea in primo luogo-, che non potranno mai stabilire con i palestinesi e gli altri popoli del mondo musulmano altro rapporto che quello neo-colonialista e razzista che vediamo in queste settimane. Va, purtroppo, nello stesso senso anche l’assicurazione data dai dirigenti di Hamas che nella loro lotta contro l’oppressione israeliana essi non intendono valicare i confini israeliani, benché (come riconoscono le stesse dichiarazioni di Khalid Mish’al e di Moshir Al Masri) stiano proprio nelle "relazioni internazionali" e nel sostegno imperialista allo stato israeliano l’origine dell’oppressione dei palestinesi e "la rottura delle relazioni fraterne intercorse per tredici secoli [pur all’interno di una società fondata sullo sfruttamento, n.] tra ebrei e musulmani in terra di Palestina".

Il fatto è che Israele e i suoi padrini occidentali non possono accontentarsi di queste dimostrazioni di "buona volontà" e di moderazione. Tant’è che, nonostante il pragmatismo del nuovo governo palestinese, esso è crescentemente messo sotto assedio. Lo è perché gli Stati Uniti, l’Ue e Israele, pur se ciascuno a modo proprio e per tirare la coperta dalla propria parte, mirano a far capitolare Hamas (come hanno fatto capitolare Al Fatah) per far chinare finalmente il capo ai diseredati palestinesi, per attizzare all’estremo le divisioni fino alla guerra interna stile guerra civile libanese. La stessa decisione europea (che apprendiamo mentre chiudiamo il giornale) di sbloccare, in parte, i fondi ma destinandoli solo ed esclusivamente al fido Abu Mazen, va in questa direzione.

A spezzare quest’assedio infernale possono e devono essere le masse lavoratrici dell’area, e soprattutto il proletariato occidentale. Nei mesi scorsi ci sono state in Italia e in Occidente alcune (isolatissime) iniziative di solidarietà con il popolo palestinese. Diamo continuità e sistematicità ad esse! Cominciamo, soprattutto, a portare la denuncia verso la massa dei lavoratori, mostriamo ad essa quanto il sostegno incondizionato alla lotta palestinese sia il sostegno alla propria stessa causa! Lavoriamo per lo sviluppo di una lotta organizzata che tagli i mille fili che, anche dall’Italia, reggono in piedi lo stato di Israele.

(1) Khalid Mish’al, portavoce internazionale di Hamas, Damasco, 31 gennaio. Questa prima importante dichiarazione dopo la vittoria elettorale può essere letta per esteso sul sito del Campo Antiimperialista (Hamas: agli ebrei diciamo): www.antiimperialista.org. Segnaliamo l’altrettanto importante intervista al portavoce di Hamas in Gaza, Moshir Al Masri, riportata con il titolo Chi siamo e per cosa combattiamo sul sito www.voltairenet.org.

(2) "Il nostro messaggio ad Israele è questo, scrive Khalid Mish’al: noi non vi combattiamo perché avete un’altra fede o un’altra cultura. Gli ebrei hanno vissuto nel mondo musulmano per tredici secoli in pace e in armonia (...) Il nostro conflitto con voi non è religioso, è politico. Non abbiamo problemi con gli ebrei che non ci hanno attaccato. Il nostro problema è con coloro che sono venuti nella nostra terra imponendosi con la forza, disgregando la nostra società ed esiliando la nostra gente. Noi non riconosceremo mai il diritto di qualsiasi potenza di rubare nella nostra terra né quello di negarci i nostri diritti nazionali. Non riconosceremo mai la legittimità dello stato creato dai sionisti sul nostro suolo. Non vogliamo espiare colpe per peccati commessi da altri. Ma se voi siete disposti ad accettare il principio di una tregua a lungo termine, noi siamo pronti a negoziarne i termini. Hamas sta porgendo una mano a coloro che sono davvero interessati ad una pace basata sulla giustizia."