Come hanno votato i lavoratori

Nel 2001 il voto degli operai si divise a metà tra le due coalizioni. Non è stato così nel 2006. Dovunque, tanto al Nord quanto al Sud, il centro-destra (a partire da Forza Italia) ha perso credito sia nel proletariato industriale che nel mondo del lavoro salariato in genere (compresi gli stipendiati e gli impiegati a reddito fisso). Il centro-sinistra ne ha guadagnato con i suoi pur vaghi impegni a ridurre la precarietà, a tagliare le tasse su stipendi e salari, a tassare in qualche modo "grandi patrimoni" e rendite finanziarie.

Questo spostamento dei sentimenti politici è stato più marcato proprio laddove, la massa della gioventù, aveva fatto maggiormente breccia negli anni passati il mito berlusconiano dell’individualismo e della flessibilità: il 43% degli under 23 ha votato per il centro-sinistra, il 35% per il centro-destra (nel 2001 la proporzione era quella inversa) e il 25% si è astenuto.

Non bisogna, tuttavia, dimenticare che una quota non trascurabile di lavoratori ha votato di nuovo per i partiti di destra. Si tratta, soprattutto, di lavoratori salariati con doppio lavoro, per metà salariati, e per l’altra metà autonomi, o comunque ideologicamente conquistati all’"individualismo proprietario", in quanto convinti, specie se giovani, di avere delle buone chances da giocare sul mercato del lavoro come individui; di operai del Nord conquistati all’autonomismo; di casalinghe, e anche, specie nel Sud, di veri e propri nullatenenti che continuano a sognare che Berlusconi, avendo fatto grandi le proprie aziende di famiglia, possa fare la medesima cosa con l’azienda-Italia, a vantaggio di tutte le famiglie indistintamente; di giovani proletari attratti dalla demagogia "anti-sistemica" delle formazioni di estrema destra.

A dettare la scelta dei lavoratori verso il centro-sinistra o verso il centro-destra (o verso la nient’affatto diminuita astensione) è stata, al fondo, la comune e trasversale preoccupazione di far fronte in qualche modo all’insicurezza crescente della condizione proletaria. A una tale insicurezza si potrà far fronte per davvero solo attraverso la via non elettorale della ripresa della lotta di classe, la sola in grado di riunificare i vari settori dei lavoratori dietro una politica di efficace difesa dei loro interessi nella prospettiva della liberazione dal capitalismo.

Regioni "rosse"?

Sarebbe una semplificazione leggere il voto al centro-sinistra come un voto solo e soltanto del mondo del lavoro salariato. Ancora una volta, infatti, i Ds e la coalizione di Prodi hanno trovato un ampio serbatoio di voti nel centro-Italia, nelle regioni in cui stanno (da decenni) insieme dentro il Pci prima e dentro il centro-sinistra poi, interessi genuinamente operai e proletari ed interessi schiettamente capitalistici, pur se malamente mascherati da una sempre meno credibile retorica "cooperativistica" (vedi Unipol, Cmc, etc.), interessi di (efficienti) burocrazie del fu-welfare locale sempre più convintamente coinvolte in una funzione di tenuta dell’ordine pubblico "locale" e in una politica di privatizzazioni (il passaggio dal welfare al workfare e al warfare –come negli Stati Uniti- riguarderà infatti sempre più anche i livelli locali dell’apparato dello stato).

Questo blocco (da tempi di capitalismo affluente) si sta lentamente disgregando, e se la cosa non è risultata palese nelle ultime elezioni è perché l’attesa di un ritorno al governo del centro-sinistra e l’accelerazione data proprio nella Bologna del "mitico" Cofferati alla costituente del partito democratico hanno frenato il processo di smottamento esplicito verso la destra di strati sociali che avrebbero lì, e prima o poi troveranno lì, la loro più naturale collocazione. Destra in gestazione, liberal-democratizzazione della "sinistra"... Altro che regioni "per natura" rosse!

Un solo Nord o due Nord?

Tremonti, Brunetta e quant’altri hanno battuto la grancassa sul fatto che il 65% del Pil italiano secondo il primo, o l’80% a detta del secondo, è all’opposizione di Prodi, sul fatto che il "Nord produttivo" sta con il Polo, mentre con il centro-sinistra starebbe solo l’"economia assistita" e parassitaria del Centro-Sud, delle cooperative iper-protette e del clientelismo.Produttori del Polo contro parassiti dell’Unione? Calma, calma. Che nel voto sia emersa, ancora una volta, una differenziazione tra il Nord e il Sud del paese e che ciò sia anche il riflesso (deformato) dello slabbramento che (nel vortice della mondializzazione) sta subendo il tessuto capitalistico nazionale, è un dato incontrovertibile. È da anni che lo sottolineiamo per i rischi che questo processo sta avendo e potrebbe ancor più avere sulla classe operaia, sulla sua jugoslavizzazione secondo linee regionali e logiche leghiste (anche in assenza di una formale jugoslavizzazione del paese).

Detto questo, vanno però messi alcuni puntini sulle "i" di non poco conto. Anzitutto non c’è un solo Nord, ce ne sono bensì due, anche sul piano elettorale, dal momento che un 45% circa della popolazione del Nord, come da tradizione, non ha votato per la destra. In questa parte c’è una quota non proprio indifferente di produttori veri, cioè di operai e di salariati (i suddetti signori hanno il vizietto di gabellare per "produttori" i percettori di profitti, cioè gli sfruttatori dei produttori). Né può essere dimenticato che una quota crescente di tali produttori veri, composta dai lavoratori e dalle lavoratrici immigrati, è privata del diritto di voto.

In secondo luogo, se si fa (come ha fatto I. Diamanti, la Repubblica, 16 aprile) il confronto con i dati delle precedenti elezioni, si scopre che i due partiti tipicamente "nordisti" del Polo, la Lega (il partito del cosiddetto "capitalismo popolare") e Forza Italia (il partito del cosiddetto "capitalismo dei beni immateriali"), sono proprio quelli che hanno perso più voti. Il primo è risultato addirittura dimezzato rispetto al 1996 (e con un 3% in meno rispetto a un anno fa), il secondo è nettamente dimagrito rispetto all’en plein del 2001. E nello stesso tempo sono andate avanti in Padania proprio le due formazioni più "meridionaliste" del centro-destra, An e Udc, che conseguono ormai al Nord una percentuale di voti pressoché pari a quella che hanno nel Sud, con An che scavalca la Lega, diventando il secondo partito del Polo al Nord.

Il Nord e il Sud stanno ulteriormente allontanandosi, ma l’allontanamento non passa tanto per l’opposizione tra i due poli, quanto per l’articolazione-disarticolazione all’interno stesso di entrambi i poli. A quando una risposta proletaria a questa deriva, che svincoli la difesa degli interessi dei lavoratori dall’abbraccio con la sinistra o la destra borghesi dei rispettivi territori e lavori per la ritessitura unitaria dell’organizzazione di classe? A quando una sana reazione di classe all’influenza di questa deriva centrifuga entro le stesse organizzazioni sindacali?