Lavoratori / padronato e governo: è tempo di...
Contro la precarietà, sul serio!
Negli anni passati una delle spinte sociali che si è riversata nelle mobilitazioni contro la politica del governo Berlusconi è stata quella contro la diffusione dei rapporti di lavoro precari. Essa ha trovato voce anche nei congressi sindacali, nella contrattazione integrativa promossa dalla Fiom, in alcune iniziative di lotta come quella in Atesia.
Il 4 novembre oltre ventimila giovani e lavoratori hanno manifestato a Roma per "ricordare" al governo Prodi di dare attuazione alle "promesse" contenute nel suo programma su questo versante e/o per dare forza ai ministri (ritenuti) "amici dei lavoratori" nel braccio di ferro sulla precarietà in corso nell’esecutivo contro i ministri amici dei padroni. Qualche settimana dopo è arrivato, con l’incoraggiamento del governo, l’accordo nel gruppo Almaviva (a cui fa capo Atesia), che prevede la trasformazione in contratti a tempo indeterminato (con l’indennità di malattia, la maternità, le ferie, i contributi per la pensione) di 6.300 contratti atipici. Il governo e i vertici sindacali lo hanno presentato come la prova-provata che i tanti lavoratori precari possono confidare nell’intervento del centro-sinistra, da sollecitare al più, come sostengono i ministri di Rifondazione e l’ala più combattiva della Fiom, con qualche spinta a "fare meglio".
Non è così.
Certo, l’accordo nel gruppo Almaviva è un primo risultato, il cui merito, però, va solo e soltanto ai primi passi di mobilitazione, aziendale e soprattutto generale, compiuti negli anni scorsi sulla precarietà. Ma è solo un primo risultato, nulla più. Perché l’accordo prevede la ricostruzione di carriera solo per gli ultimi cinque anni e un salario di 600 euro (l’affitto di un monolocale, se pure…). Perché l’accordo è stato seguito dal licenziamento di cinque lavoratrici "colpevoli" di aver chiesto una riorganizzazione degli orari. Perché nei call center e negli altri luoghi di lavoro la precarietà resta più diffusa che mai.
La mobilitazione contro la precarietà va, quindi, portata avanti e sviluppata in un reale ed efficace movimento di lotta. Che al momento non è in campo. Che va preparato con un’iniziativa capillare e paziente di denuncia e di organizzazione. Che ha bisogno di una prospettiva ben diversa da quella ispirata al pressing sul governo "amico" o "insufficientemente amico". L’azione del governo Prodi può prevedere limitati interventi di "stabilizzazione", ma nessuna effettiva lotta alle radici della precarietà perché questa piaga è un carburante essenziale del rilancio della competitività dell’azienda-Italia e delle imprese italiane, finalità suprema del programma dell’Ulivo.
La precarietà, infatti, non è il frutto di una gestione sbagliata delle imprese e di un intervento legislativo carente o sbagliato. Sicuramente la legge 30 (cui il pacchetto Treu ha fatto da battistrada) ha portato la precarizzazione dei rapporti di lavoro alle estreme conseguenze "contrattuali". Ma le leggi, anche se hanno ovviamente una loro importanza, non costituiscono la causa prima dei fenomeni sociali. Possono ratificarli e incentivarli, mai crearli. Le radici della precarietà (e del lavoro nero) e i motivi basilari del suo dilagare stanno più in profondità. Stanno nei rapporti sociali capitalistici e nel corso dell’economica capitalistica internazionale.
È connaturato ai rapporti sociali capitalistici che non solo il lavoro ma l’intera esistenza del proletario siano costantemente alla mercè del mercato, dell’andamento delle aziende e delle loro esigenze. La situazione di relativa "sicurezza" e "stabilità" di cui i lavoratori hanno potuto godere nei decenni scorsi in Occidente non rappresenta la regola, ma l’eccezione. Essa è stata il risultato della combinazione di due elementi. Da un lato, la quasi assoluta concentrazione della grande produzione di fabbrica in Occidente (durata fino a poco tempo fa). Dall’altro lato, la capacità della classe lavoratrice occidentale di mettere a frutto questa sorta di monopolio del lavoro industriale per imporre al padronato, con un poderoso movimento di lotta, l’estensione del posto di lavoro stabile (se non "a vita").
Negli ultimi venticinque anni lo sgretolamento del monopolio europeo e nordamericano del lavoro industriale, la mondializzazione del mercato del lavoro, la formazione di un enorme esercito industriale di riserva a livello mondiale hanno permesso alle imprese di spezzare le "rigidità" conquistate in Occidente dal lavoro salariato e di espandere la quota precaria dell’occupazione anche nelle metropoli, in specie giovanile, con l’obiettivo di adeguare elasticamente il numero degli occupati all’andamento del mercato, di disporre di una forza-lavoro ricattabile, di sgretolare l’organizzazione sindacale dei lavoratori e di ridurre il salario dell’intera classe lavoratrice. E il cambiamento sta investendo anche le mansioni a contenuto "intellettuale" e qualificato, come ha fatto emergere lo scorso anno il movimento di lotta degli studenti contro il Cpe in Francia.
In questa situazione, la precarietà va ben oltre le forme contrattuali atipiche e i call center. Essa riguarda anche milioni di operai industriali (italiani e immigrati) formalmente a tempo indeterminato, che devono però fare i conti giornalmente con la minaccia delle delocalizzazioni e della chiusura di interi stabilimenti, con un mercato che chiede crescente flessibilità e costi sempre più "contenuti".
Se questa è la base della precarietà, non si può certo combatterla invocando l’attuazione piena del programma dell’Ulivo. Damiano ha perfettamente ragione ad affermare che, se si accetta il vincolo del programma dell’Ulivo, non si può andare oltre l’accordo Atesia. Tanto di cappello al ministro amico dei padroni per la chiarezza. Ma non fanno parte dello stesso fronte anti-proletario anche i ministri "amici" dei lavoratori che s’identificano nell’azione di un governo che, a livello generale, favorisce i processi di competitività da cui la precarietà discende?
Una vera battaglia contro la precarietà e contro le normative (a cominciare dalla legge 30) che la supportano deve iniziare a fare i conti con questo quadro di fondo.