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Che Fare n.68 novembre dicembre 2007 Recensione Italiani, brava gente... Il 28 dicembre del 2005, rivolgendosi al contingente militare italiano nei Balcani, l’allora ministro degli esteri Gianfranco Fini disse: «Gli italiani per la loro storia non saranno mai percepiti come truppe d’occupazione, ma di liberazione dalla guerra civile, dalla miseria e dalla povertà». Questa presunta verità, questo mito del "buon italiano", vecchi decrepiti di più di un secolo e passati indenni attraverso la monarchia, il fascismo e la repubblica nata dalla Resistenza, vengono smontati pezzo per pezzo dall’interessante libro "Italiani, brava gente?", dello storico Angelo Del Boca, uscito nel 2005. Si tratta di una documentata riflessione sulle pagine meno conosciute al grande pubblico della storia italiana, che parte dalla "guerra civile" contro il brigantaggio meridionale e giunge all’efferata occupazione della Slovenia ripercorrendo la vicenda coloniale italiana dallo sbarco a Massaua nel 1885 fino alla guerra di Etiopia. Assai poco note sono le stragi, le deportazioni, i campi di concentramento delle popolazioni libiche ed etiopiche, o ancora la partecipazione italiana alla "missione multinazionale" organizzata per reprimere la rivolta dei boxer in Cina nel 1900. In queste pagine si racconta della deportazione eseguita nel 1930 di centomila libici dalla Marmarica (con oltre quarantamila morti), o della guerra di sterminio in Etiopia eseguita con 650 tonnellate di gas letali che hanno ucciso e infestato l’ambiente di questo antico paese. Si arriva, infine, alla Slovenia, terra dove gli italiani sperimentarono la bonifica etnica con l’incendio di villaggi, le razzie, le violenze e con la costruzione del campo di sterminio di Arbe. Il merito principale del libro sta sicuramente nel tentativo di diradare quel velo di silenzio e di ipocrisia nel quale gli italiani sono avvolti, cercando di far luce sugli avvenimenti più cruenti e sconosciuti del colonialismo italiano. Colpisce peraltro vedere come, ben prima delle "guerre umanitarie" di oggi, i governi italiani dipingessero ogni propria impresa armata come portatrice di civiltà. Altro tema del testo, non direttamente esplicitato dall’autore, ma comunque sempre presente, è la constatazione di una resistenza dei popoli aggrediti dall’imperialismo italiano, mai doma, pur tra mille difficoltà. La violenza esercitata sistematicamente dal "buon" invasore italiano non è diretta contro una popolazione sconfitta, supinamente rassegnata a un amaro destino, ma verso una popolazione che lotta tenacemente, eroicamente, contro un nemico meglio armato e meglio organizzato. Questo lavoro, come e forse più del lavoro complessivo di Del Boca, è segnato anche da pesanti limiti. Primo fra tutti la mancanza di una visione organica sulle cause più profonde del colonialismo e dell’imperialismo. Manca pressoché completamente il riferimento ai nessi strutturali insiti nel meccanismo di funzionamento del sistema capitalista che hanno spinto l’Italia, come le altre nazioni capitalistiche più "avanzate", verso il colonialismo. Manca ancor più la denuncia dell’inseparabilità tra capitalismo e colonialismo, dalla sua genesi ad oggi. Nel Libro primo de "Il Capitale" Marx scrive: "La scoperta dell’oro e dell’argento in America, lo sterminio, la riduzione in schiavitù e il seppellimento nelle miniere della popolazione indigena, l’incipiente conquista e il saccheggio delle Indie Orientali e la trasformazione dell’Africa in riserva di caccia di schiavi, contrassegnano gli albori dell’era della produzione capitalistica. Questi processi idilliaci rappresentano momenti essenziali dell’accumulazione originaria". Ma processi materiali e sistemici al fondo non dissimili operano tutt’oggi. L’analisi di queste cause strutturali manca completamente nel testo. Si tratta di un’omissione importante. Anche per effetto di essa, l’autore arriva ad apprezzare le missioni "umanitarie" dei giorni nostri, una presa di posizione che contraddice tutta la validità storica del lavoro. Che Fare n.68 novembre dicembre 2007 |
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