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Che Fare n.68 novembre dicembre 2007

L'Italia dalla seconda alla terza repubblica

Il partito democratico di Veltroni:

un nuovo partito per tutti o un nuovo partito per la borghesia?

No c'è bisogno di attendere l'assemblea costituente per comprendere gli assi della politica del partito democratico. Sono più che sufficienti gli elementi emersi nel corso della campagna per le primarie. Soprattutto, in quella del suo segretario.

Cominciamo dalla società sognata da Veltroni. Se ne ha un’immagine nitida considerando quello che egli predica sulla nuova generazione e sul problema che la assilla, la precarietà. Per essa, il sindaco dell’effimero ha una ricetta nuova di zecca. Sentiamola, nella versione in cui l’ha proposta al Lingotto: "Se qualcuno dice che c’è chi vuole rendere uguali il figlio del professionista e il figlio dell’operaio, noi rispondiamo sì, vogliamo che siano uguali. Uguali non nel punto di arrivo [iddio onnipotente, ce ne liberi, n.]. Ma in quello di partenza. Vogliamo che il figlio dell’operaio abbia tutte le opportunità cui ha diritto. Vogliamo che siano le sue capacità, i suoi sacrifici, la sua intelligenza a dire dove arriverà, e non che il suo posto nella società di domani sia stabilito a priori dal salario che suo padre porta a casa dopo una giornata passata davanti a una pressa. (...) Se c’è una cosa, tra tanto parlare degli Stati Uniti, che dovremmo far nostra è quel principio di mobilità verso l’alto che è il cardine del modello americano. Chi è in basso deve poter salire. Chi vuol cambiare deve poterlo fare. Deve avere la speranza [N.B.] di poterlo fare e le opportunità per farlo. Deve poter credere [N.B.] che il futuro è nella sua mente, nel suo cuore, nella sua determinazione. E in più, se cade, deve poter trovare una rete che lo salvi e gli consenta di ricominciare a sperare [N.B.]. Una società rigida, burocratica provoca e alimenta rabbia e frustrazione" (La nuova stagione, Rizzoli, Milano, 2007, pp. 126-127). "Perché oggi un ragazzo [in Italia] non deve poter avere le garanzie, le tutele sociali e le opportunità che esistono per i suoi coetanei inglesi?" (ib., p. 70).

E questa sarebbe la grande novità? Il medicamento capace di intervenire laddove ha fallito il riformismo diessino e cristiano-popolare? Ma questa è la vecchia fuffa liberale, gettata alle ortiche anche laddove, il mondo anglosassone, ha avuto in passato un qualche riscontro, in piccola scala, nella realtà. Un giudizio, il nostro, troppo liquidatorio? Dovrebbero far riflettere i dati sulla mobilità sociale negli Usa negli ultimi decenni, di fatto bloccata, e quelli sul destino riservato ai bambini e agli adolescenti nell’Inghilterra di Blair tanto cara a Veltroni. Si può porre un argine alla precarietà non tentando la fuga individuale dal mondo del lavoro salariato, ma solo lottando collettivamente contro i meccanismi di tale piaga sociale e contro la classe sociale che li "amministra". Meccanismi e classe sociale che Veltroni si guarda bene dal chiamare in causa. Sogna e fa sognare "una società dove la precarietà non sia la regola, dove non sia l’incertezza a segnare, a ferire, la vita delle persone", ma non spende una parola, anche solo una domanda, sull’origine di tale ferita. Di cosa è il frutto? Di un fenomeno naturale? Del patrimonio genetico degli individui, come va di moda sostenere oggi? Quando riserva un cenno alle cause sociali, Veltroni non riesce a vedere altro che il "conservatorismo operaio" arroccato nella difesa delle conquiste del secolo scorso (ib., p. 50) e indisposto a lasciarsi trasportare dalla libera onda del mercato. Cioè dal libero dispiegamento del meccanismo che genera la precarietà! Rifuggite, quindi, dalla lotta di classe, consiglia la canzonetta democratica, e correte, o giovani, correte e sgomitate! Montezemolo, Caltagirone, Benetton, De Benedetti, Profumo, Tripi, Abete e gli altri patron di Veltroni ringraziano sentitamente. Sanno bene che quanto maggiore è la concorrenza tra i venditori della merce forza-lavoro, tanto minore è la loro capacità di opporsi allo strapotere del capitale.

Si giunge alla stessa conclusione se si considera un altro fiore all’occhiello del partito democratico: il tipo di attività politica per la "gente comune" che esso prospetta. A parole promette il superamento dell’esclusione che oggi, "per i conservatorismi del vigente sistema dei partiti", le impedisce di partecipare all’elaborazione delle decisioni sociali. A detta di Veltroni, invece, grazie al principio "una testa, un voto" e al rito delle primarie e dell’assemblea costituente, ognuno avrà lo stesso peso dell’altro nel delineare il programma e il gruppo dirigente del nuovo partito. Con la possibilità, magari, di incardinarli ad un’idea della giustizia sociale meno falsa di quella che la fa coincidere, com’è nelle intenzioni di Veltroni, nella "garanzia delle stesse opportunità" (ib., p. 40).

Il fatto è che, nelle circostanze diseguali in cui i rapporti sociali borghesi collocano gli individui, il lavoratore, lo sfruttato, il giovane precario, il pensionato, il lavoratore immigrato non possono farsi un’idea realistica della loro condizione sociale, del modo realmente efficace per tutelare il loro interesse individuale. Non possono che accodarsi ad uno dei programmi elaborati dai monopolisti dei mezzi di produzione e dagli intellettuali a loro disposizione, che, invece, hanno tempo, condizioni e mezzi per elaborare i loro programmi, i mezzi per realizzarli e il modo per irregimentare dietro di essi i lavoratori. A meno che, i lavoratori stessi non contrastino questo andazzo liberale per mezzo della lotta collettiva contro gli effetti del dominio del capitale, per mezzo della propria auto-organizzazione separata dalle altre classi sociali e indipendente dalle istituzioni democratiche, per mezzo della discussione approfondita e viva di tutte le questioni sociali e dell’incontro –in tale percorso– con la scienza della rivoluzione socialista. In una parola, per mezzo della loro organizzazione in partito politico di classe, della loro trasformazione da vittime dello sfruttamento in militanti per la difesa propria e della propria classe. Esattamente quello che Veltroni condanna come la peggiore delle disgrazie possibili (per lui e i professionisti della politica borghese come lui).

Non sia mai che "l’operaio che deve mettere insieme un lavoro che non lo soddisfa e il dovere di mandare avanti una famiglia" e "l’anziana che fatica a pagare l’ultima bolletta del mese" si mettano a "leggere gli editoriali dei giornali" e a "chiedersi a quali dei vecchi partiti si sentono legati" (ib., pp. 103-104). Non sia mai, vuol dire in realtà Veltroni, che possano anche alla lontana iniziare ad interrogarsi sull’origine della loro condizione, su cosa insegni l’esperienza storica della lotta politica, sulle tradizioni passate del movimento operaio... Tutte cose inutili e dannose. La scelta con una crocetta ogni cinque anni di uno dei due partiti che si contendono la maggioranza degli elettori, questo sì che darà al precario, all’operaio e all’anziana lo "scettro politico" e la possibilità di contare nelle scelte sociali!

I soliti mandatari se la spassano per il talento con cui il pagliaccio che, per un po’ di tempo, hanno scelto di mettere in scena rappresenta l’idea che essi hanno dell’attività politica delle masse lavoratrici. Nel 1917 Lenin la caratterizzò con queste parole: "Decidere una volta ogni qualche anno quale membro della classe dominante debba opprimere, schiacciare il popolo nel parlamento: ecco la vera essenza del parlamentarismo, non solo nelle monarchie costituzionali ma anche nelle repubbliche più democratiche" (Stato e rivoluzione). Eppoi, la dottrina marxista sarebbe un ferrovecchio della storia!

Si comprende ancor meglio il senso di classe del programma di Veltroni, se si considera quello che esso prevede, oltre che sulle due questioni pressanti della precarietà e dell’attività politica delle masse lavoratrici, sull’evoluzione della crisi italiana. L’Italia è in declino, dice il manifesto dei saggi democratici. "Far sentire l’Italia di nuovo una grande nazione", eccola, risponde Veltroni, la missione del partito democratico. La promessa, ovviamente, è che questo rilancio della competitività andrà a vantaggio di tutti i cittadini, dei capitalisti e dei lavoratori. Basta una semplice occhiata al "che fare" proposto, però, per rendersi conto che, anche questa volta, dare nuovo lustro all’Italia e alle imprese italiane porterà vantaggi agli uni e danni agli altri. Qualcuno, i padroni, i commercianti e il ceto medio intellettualizzato, già può leccarsi i baffi a sentire il programma fiscale di stampo berlusconiano di Veltroni e il suo progetto, anch’esso made in Mediaset, di trasformare l’Italia in un paese-riviera. Qualcun altro deve, invece, abbassare le penne: il sindacato o, meglio, quello che si esprime nel sindacato, la capacità dei lavoratori, per modesta che sia, di difendere collettivamente i propri interessi. Come nei desiderata di Ichino e di altri "amici" dei lavoratori dello stampo di un Feltri.

E se questo non fosse già chiaro, ecco l’indicazione dell’ostacolo che ha finora impedito l’arrivo della "nuova stagione" per l’Italia: "la democrazia italiana sta andando in crisi per assenza di capacità di decisione" (La nuova stagione, p. 134), per l’insufficiente capacità, ad esempio, del governo Prodi di svincolarsi dai condizionamenti di "sinistra" della coalizione, per l’insufficiente omogeneità della coalizione. Molti lavoratori e giovani del centro-sinistra sono insoddisfatti perché non sono stati attuati quei provvedimenti contro la riforma Maroni delle pensioni, contro la precarietà e il militarismo, la Tav, ecc. che essi speravano, illusoriamente, potessero arrivare da Prodi. Per Veltroni il passivo del governo Prodi sta, invece, nel fatto che s’è trovato tra i piedi il fastidio della concertazione con un sindacato nel quale la sofferenza e la rabbia suscitate dallo sfruttamento possono ancora trovare un’eco.

Il partito democratico nasce proprio per rimediare a questo guasto: di qui la sostituzione della coalizione con un blocco elettorale più coeso e blindato, nel quale sciogliere i Ds; di qui i provvedimenti per dare maggiore potere al presidente del consiglio; di qui le misure per il dimagrimento dell’"impresa della politica". Esattamente come chiede la Confindustria con la sua campagna contro la "casta". Anche se poi una parte degli imprenditori trova ancora insufficiente quello che il partito democratico sta facendo, soprattutto per la presenza all’interno di esso di un settore di quadri sindacali che vuole correggere il liberalismo compassionevole di Veltroni con una patina di laburismo anglosassone.

È assai dubbio che il partito democratico sarà il partito borghese in grado di raccogliere il "grido di dolore" che proviene dalla classe capitalistica italiana. Di sicuro, il can-can veltroniano, di cui sono altri ingredienti essenziali la campagna securitaria e la politica imperialistica verso l’Africa, realizza una delle condizioni per l’affermazione di tale partito: la totale nebulizzazione degli sfruttati nella nazione; l’introiezione da parte di essi, più di quanto non accada già oggi, dei valori del mercato, la fede nella democrazia, il veleno del razzismo paternalistico.

Che Fare n.68 novembre dicembre 2007

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