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Che Fare n.68 novembre dicembre 2007

L'Italia dalla seconda alla terza repubblica.  Recensione.

Il produttore consumato

Questo "saggio sul malessere dei lavoratori contemporanei" ci accompagna nei gironi infernali della condizione di lavoro e di esistenza dei "produttori" nel Sud e nel Nord del mondo, mostrando come ad essa corrisponda l’asservimento sempre più profondo dell’intero tempo di vita e il consumo indotto e sempre più generalizzato di droghe, sostanze psicotrope, pillole della felicità... Sul banco degli accusati, con buona pace della sociologia di regime, è un intero sistema sociale, il capitalismo, la sua insaziabile sete di profitti....

"Una piccolissima inchiesta": così è definita la ricerca sul campo effettuata in una media impresa del ricco Nord-est, in cui un piccolo numero di operai ha accettato di parlare di sé, delle condizioni di lavoro in fabbrica, di come vivono il loro "tempo libero", delle loro speranze e delle loro aspettative.

Posta alla fine, quasi ai margini del lungo, intenso saggio sul malessere dei lavoratori contemporanei (Francesca Coin, Il produttore consumato, Il Poligrafo 2006), essa conferma la necessità di guardare in faccia la realtà: l’uso di droghe e di sostanze psicotrope è sempre più diffuso tra i lavoratori. Esso è sintomo di un malessere crescente che pervade non solo il loro tempo di lavoro ma anche il tempo libero, il cosiddetto "tempo di vita"; riguarda condizioni di lavoro comuni, a noi vicine, e non sacche di iper-sfruttamento situate in qualche angolo sperduto del Sud del mondo; è comune ad una quota significativa di lavoratori normali, non particolarmente scontenti della loro condizione di lavoro, non particolarmente gravati da carichi e responsabilità familiari, con qualche spicciolo a disposizione da spendere alla sera...

Eppure, avvicinando direttamente questi lavoratori, si percepisce una profonda -anche se spesso inconsapevole - insoddisfazione, una sfiducia, uno svuotamento, una rinuncia ad una vita piena, fatta di relazioni, di creatività, della sensazione di essere utili a se stessi e agli altri.

Il produttore consumato tenta di andare a fondo di questa situazione ponendosi una serie di interrogativi: perché la produzione di merci e di "benessere" è connessa in modo così inestricabile con la produzione di malessere? Che rapporto intercorre tra la produzione di merci e il consumo di massa di sedativi, eccitanti e droghe da parte dei produttori? E se artificiale è la soddisfazione che essi ricavano dall’uso di queste sostanze, come possono i lavoratori uscire da questi circolo vizioso?

Lavorare oggi

"Dal Nord al Sud del mondo il consumo della classe lavoratrice è prodotto innanzitutto nel lavoro, con turni di lavoro a-sociali e ritmi di lavoro frenetici, ed è poi consacrato nel consumo, ove la capacità di accesso a beni di rigenerazione è qualitativamente e/o quantitativamente sempre più ridotta"(pag. 37).

Varrebbe la pena di leggere questo testo anche solo per la massa di documentazione che fornisce al riguardo, facendo emergere una linea di tendenza, anche se la realtà delle condizioni di lavoro nel mondo è molteplice e non si può appiattire. I dati sull’orario e il salario nei paesi del Sud del mondo, ad esempio, sono impressionanti: ricordiamo un solo caso, quello relativo alle aziende che producono per Wal-Mart, un caso del resto emblematico: si tratta "dell’azienda più grande al mondo, la più ricca al mondo, quella con maggior numero di dipendenti al mondo, quella cui fa capo la maggior concentrazione di capitale al mondo" (pag. 98) (1).

Non si tratta peraltro di un caso isolato: condizioni simili si ritrovano in India, Cina, Indonesia, ma anche nell’Est-Europa, in America Latina, nel Nord Africa...

Le condizioni di lavoro in Occidente, pur se molto diverse, con la mondializzazione della produzione subiscono, in particolare nelle fabbriche, un livellamento verso il basso. Dalla Fiat di Melfi alla Renault alla Mazda alla Barilla: le inchieste su cos’è il lavoro oggi dimostrano che si converge sempre più verso uno stato di "pericolo permanente", corrispettivo soft dello "stato di emergenza permanente" dei lavoratori del Sud.

Questo peggioramento generalizzato sta portando con sé un aumento altrettanto generalizzato dell’uso di sostanze psicotrope: nel Sud del mondo il consumo di anfetamine è in continua crescita, a volte addirittura prescritto dai datori di lavoro per sostenere la fatica bestiale dei ritmi e degli orari; nel Nord si combatte lo stress, la fatica, la depressione, il senso di vuoto "ricorrendo all’uso di droghe, ansiolitici, antidepressivi, ovvero a tutte quello sostanze lecite e illecite in grado di "supportare" la classe lavoratrice in un lavoro che ne causa quotidianamente il consumo fisico, emotivo, relazionale, spirituale, esistenziale" (p. 51).

Le dipendenze, vere e proprie patologie il cui denominatore comune è dato dal bisogno di rifugiarsi in un mondo allucinatorio comunque preferibile alla realtà quotidiana, non riguardano solo le droghe, ma si estendono anche al cibo, all’acquisto compulsivo, al gioco d’azzardo, al consumo di sesso in rete... esse sono create dalla vastità dei bisogni frustrati che devono trovare una soddisfazione surrogata, e tendono a diventare croniche quando chi ne è affetto non sente di avere alternative migliori da opporre. Ecco che l’abuso aumenta con l’aumentare della frustrazione data dall’impossibile soddisfazione del bisogno iniziale. All’alienazione nel tempo di lavoro si assomma così la narcotizzazione del tempo libero, la passivizzazione, la regressione psicotica.

Di fronte alla colpevolizzazione delle dipendenze, alla punizione delle vittime, alla classificazione dei comportamenti "devianti" come comportamenti dovuti a scelte individuali, di fronte al tentativo di rintracciare nella "natura umana" la tendenza innata all’auto-estraniazione, proprio di tanta "scienza sociale" al servizio del capitale, questo lavoro oppone con forza che si tratta invece di una vera e propria epidemia di malattie sociali indotte dalla necessità di sopportare o di sfuggire alla realtà. È l’organizzazione del lavoro capitalistica che ha portato ad un aumento esponenziale della produttività ma anche alla disumanizzazione dei rapporti sociali in fabbrica, dove ogni operaio, il cui salario è legato alla produttività della squadra, è spinto a diventare il controllore del suo vicino. È questa realtà ad essere patologica, a produrre e riprodurre devianza, dipendenza, patologia fisica e mentale!

Rigenerarsi nella merce? O con le droghe?

Il mondo del lavoro è quello che è. È anche vero, d’altra parte, che mai come oggi i lavoratori hanno accesso ad una vasta scelta di beni di consumo, parliamo, va da sé, dei lavoratori occidentali, ché nel Sud del mondo si lotta ogni giorno per garantirsi la mera sopravvivenza. Nell’epoca del consumo di massa in cui viviamo, è possibile dunque soddisfare i bisogni umani e sociali dei lavoratori? E’ possibile mantenere fede a quella promessa di felicità, fatta di progresso, libertà e distribuzione della ricchezza per tutti, di cui parlava la borghesia andando al potere due secoli fa? L’autrice, riprendendo Marx, sostiene che nelle merci poste sul mercato la società capitalistica vede non tanto un mezzo per soddisfare i bisogni umani, quanto un mezzo per realizzare e accumulare i profitti. Dopo la crisi del ’29 è stato necessario far fronte alle crisi di sovrapproduzione dando impulso ai consumi di massa, ma, per contrastare il rischio che i lavoratori utilizzassero le maggiori risorse disponibili a fini emancipativi, è stato messo in atto un condizionamento attivo e sistematicamente organizzato al consumo non solo di una maggiore quantità, ma anche di un certo tipo di merci: quelle più adatte a sedare le ansie suscitate dal consumo di sé e dall’esperienza di alienazione vissuti nel processo produttivo. Una vera e propria "scienza" è stata messa a punto (il marketing) per comprendere quali siano le motivazioni profonde che spingono all’acquisto e mettere in atto sempre nuove strategie per indurre i "consumatori" ad identificarsi e dipendere sempre di più dalle merci offerte (2), il tutto per indurre i lavoratori a desiderare di "avere la merce adeguata" e non a battersi per instaurare i rapporti sociali adeguati a colmare il consumo di sé!

In questo contesto, il consumo di droghe di ogni tipo, che ha origini lontane ed è esploso negli anni ’70 , va ricollegato alle due caratteristiche fondamentali di questo particolare tipo di merce: da un lato il fatto che creano dipendenza e quindi bisogno di sempre maggiore consumo, dall’altro che hanno una particolare capacità manipolativa, e sono in grado quindi di meglio piegare chi ne fa uso alle necessità del lavoro. E assieme ad esse cresce l’uso -questa volta legale, ma altrettanto pericoloso- di psicofarmaci, tranquillanti, eccitanti, pillole per ogni cosa...

La stessa economia politica contemporanea riconosce nell’economia "illegale" una costante dell’economia di mercato. Pochi rami delle attività economiche "legali" producono profitti quanto l’industria delle droghe illegali, e ciò le rende quanto mai appetibili e legittime dal punto di vista dell’etica capitalistica (3). Offrendo la sua enorme liquidità alle imprese industriali "legali", l’industria delle droghe è di fatto un pilastro e un lubrificante essenziale dell’economia capitalistica mondiale, e questa simbiosi è resa possibile da un rapporto spesso "amichevole" con le istituzioni statali che formalmente dovrebbero impedirla. Opportunamente viene ricordato come dall’alto è venuto l’input al loro consumo di massa, quando questo era utile a fini politici: verso i soldati americani durante la guerra del VietNam (e oggi e domani nella "guerra infinita"), negli Stati Uniti verso i movimenti negli anni ’70 con la distribuzione organizzata dell’Lsd e del crack nei ghetti neri in ebollizione...

Come uscirne

Questi schematici accenni ai temi trattati in questo lavoro interessante e ricco di spunti non danno conto dell’originalità e serietà con cui l’autrice sviscera gli argomenti svolti, né della forza delle argomentazioni con cui risponde alle domande da cui ha preso le mosse la sua ricerca. Da essa, come lei stessa sottolinea, emerge un quadro piuttosto cupo di quella che è la condizione della classe lavoratrice oggi. Compare spesso nel corso dell’esposizione il richiamo alla necessità che i lavoratori guardino alla loro fatica, al loro malessere non più come singoli, ma come classe, e vengono ricordati i momenti di resistenza e di lotta che hanno contrassegnato gli ultimi due secoli di esistenza del capitalismo e con esso della sua classe antagonista, il proletariato. Sulle molte forme di resistenza, anche molecolari, che i lavoratori mettono in atto quotidianamente sarebbe fondamentale produrre uno studio altrettanto preciso. Si tace troppo, oggi, sulla necessità di riprendere, mondialmente, questa resistenza e la lotta per abbattere il sistema sociale all’origine della distruzione fisica e psichica di tanta parte dell’umanità; si tace troppo spesso sulle lotte in atto nel mondo, di cui ci viene fornita qualche fuggevole istantanea solo quando diventano un fiume in piena. Non ultimo merito di questo saggio è quello di mostrarci, impietosamente ma senza alcun spirito rinunciatario, nella sofferenza ancora in gran parte inconsapevole di tanti lavoratori, il punto vero da cui ripartire per ricostruire quella forza organizzata e cosciente che sola sarà in grado di riunire le masse degli oppressi nella battaglia internazionale contro il capitalismo.

(1) "Turni di lavoro giornalieri che si estendono fino ad estremi di 18-20 ore. Settimane lavorative che vanno da un minimo di 80 ore ad un massimo di 130 ore di fatica. Un solo giorno di riposo al mese. Ferie non superiori, in totale, ai 15 giorni l’anno...Salari sotto il minimo sindacale. Zero misure di sicurezza. Zero igiene. Zero assistenza medica. Zero sindacati. Tanto lavoro minorile. Punizioni corporali. Violenze sessuali. Dormitori interni alle fabbriche."

(2) le spese mondiali per la pubblicità raggiungono il costo di 370 miliardi di dollari all’anno (dato del 2004).

(3) Il giro d’affari del mercato mondiale della droga superava nel 2000 la cifra di 500 miliardi di dollari: il 7% del commercio mondiale, realizzando un guadagno pari a 250 miliardi di dollari.

Che Fare n.68 novembre dicembre 2007

 ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


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