La ragione e i torti

Da qualche tempo a questa parte, un'organizzazione che si richiama al comunismo rivoluzionario ("Combat"), nell'intento di rispondere alla nostra linea programmatica e di azione nei confronti della repressione statale, ha ripreso e fatto proprie argomentazioni una volta di esclusivo appannaggio di qualche "parassita" del movimento.

Queste argomentazioni "di fondo" (di fondo bottega...) sarebbero: voi dell'OCI siete i meno abilitati ad entrare nel giro della lotta alla repressione dal momento che, se andate a scavare nel vostro passato, vi troverete atteggiamenti in contraddizione con essa. Un esame di coscienza ed un pentimento coram populo è quanto ci occorrerebbe per poterci legittimare".

Di che si tratta? Il "fattaccio" evocato, mai pubblicamente chiamato con il suo nome se non per vie traverse, distorte, sussurrate ai margini dei vicoli e dei corridoi del movimento, consisterebbe nella lettera inviata a suo tempo da due compagni dell'allora CIM alla stampa dalle patrie galere. In essa si puntualizzava la nostra posizione (nostra, del CIM di allora, dell'OCI di oggi) sulla questione delle BR, dei loro rapporto con lo specifico movimento dei terremotati e dei disoccupati di Napoli, del nostro rapporto con il movimento di massa e con le BR.

Il testo di quella lettera, che torneremo a scrivere senza mutarne di una virgola l’essenziale ebbe il grave torto di essere pubblicata integralmente da Paese Sera con le chiose del caso ("opinioni provocatorie ed inaccettabili", etc.).

Vergogna! ci si dice; non vi siete accorti che mettendo sul piatto le vostre posizioni facevate il gioco del nemico, che difatti l'ha adibita per costruire consenso attorno alla democrazia borghese ed al suo Stato contro una parte del movimento!

Vergogna! avete (involontariamente?) solidarizzato con lo Stato contro dei rivoluzionari sia pur non condivisibili (ma le contraddizioni vanno risolte in seno al "popolo"... della rivoluzione).

Ebbene, ecco la nostra lettera di allora, nella sua integralità.

Abbiamo ceduto, allora, a qualche ricatto, occulto o palese della parte avversa, modificando o edulcorando la nostra posizione di classe? Tutti lo potranno giudicare da soli e discuterlo con noi, quando e come lo vorranno, alla luce delle sedi, nel franco dibattito e non più nel sommesso bisbiglio del "corridoio".

In realtà noi allora non cedemmo ad un pesante ricatto che in quegli anni gravava sul movimento di lotta, nei suoi faticosi passi di indipendenza dal riformismo sindacale e piccista. Esso suonava pressappoco così: poiché le BR sono i più repressi dallo Stato, chi li critica, fa opera di dissociazione o peggio di "delazione"...

Sulla scorta di questo assurdo teorema le BR potevano attaccare chiunque (ovviamente anche sulla stampa borghese), potendo godere di una strana "impunità" di critica. A questo ricatto ci sottraemmo; non accettammo - e mai accetteremmo - di tacere i nostri scopi, i nostri metodi, di propagandarli in direzione delle masse.

"Se la guerriglia svuota le piazze, noi intendiamo riempirle. Se la guerriglia vuol far paura ai borghesi, noi vogliamo sviluppare la coscienza e la riorganizzazione del proletariato". Dissociazione? Si, dissociazione dei rivoluzionari da una politica che, come denunciavamo a tempo, "ha distrutto, con la sua irrazionalità, valide energie provenienti dal proletariato industriale".

La nostra lotta contro la repressione statale è dentro un piano rivoluzionarlo generale fondato su un'azione conseguente nella massa e verso la massa dei proletari, che non accetta alcuna sordina, anche quando si batte contro l'avanguardismo egemonizzato dalla piccola borghesia e tutte le sue suggestioni. Quelle suggestioni, che contribuendo a passivizzare la massa del proletariato, lo consegnano alla mercé dell'azione controrivoluzionaria della borghesia, di costante rilegitimazione della sua dittatura di classe, sotto la forma "democratica".

Si trattava e si tratta di due strade diverse ed opposte "entrambe criminalizzate dallo stato", ma non per questo "uguali, né omogenee, né simili, né assimilabili".

Ma chiediamoci oggi: quella pratica di sospensione della lotta politica nei confronti della linea delle BR, che molti assunsero, ha portato a qualcosa di positivo? ha fermato forse la repressione specifica contro "il movimento"? ha contribuito a costruire e cementare un fronte di lotta anticapitalista?

Chiediamoci se quella valanga di dissociazione dal comunismo che ha investito la stragrande maggioranza dei quadri guerriglieri, affluiti a frotte sotto l'aia dei vescovi "buoni" e delle buone lane pannelliane, trova la sua spiegazione in fattori esterni (magari la scarsa unità del fronte antirepressivo esterno) ovvero se una tale débâcle non dipenda, invece, dalle origini e dalla natura di questo movimento, il cui cocktail "riformismo e terrorismo" abbiamo sempre attaccato di fronte alle masse, doverosamente, con buon anticipo, per indicare la strada autentica del comunismo.

La nostra lettera era (ed è) parte di una linea complessiva e di una battaglia politica che conducemmo e conduciamo per favorire lo sviluppo del movimento di classe ed impedire che esso, sotto l'attacco borghese, rifluisse verso la passività, la disgregazione e un nuovo tipo di delega. Una battaglia politica in cui eravamo impegnati ben da prima dell'affare-Cirillo e su cui siamo e saremo fermi.

"Paese sera" ha potuto sfruttare la nostra lettera per i suoi scopi? Può darsi. Non certo per il suo contenuto, ma solo nella misura in cui i rapporti di forza nel movimento proletario volgevano, come tuttora volgono, a sfavore della linea comunista.

Può darsi, a misura che nelle avanguardie del "movimento" troppa era la paura (seminata ad arte) di contribuire, criticando il sostitutismo armato delle BR (come era necessarissimo per la tenuta e lo sviluppo del movimento proletario), ad una possibile azione repressiva statuale ai danni di queste ultime.

Siamo pronti ad aprire una discussione anche sul "metodo", sia in generale che nel caso concreto. E in generale diciamo che tutto può essere sfruttato per gli scopi della borghesia, quando i rapporti di forza sono in mano ad essa, una lettera come un movimento reale. E tuttavia, in ogni situazione, i comunisti non stanno a guardare e mai scelgono il silenzio e non disdegnano alcuna tribuna la quale possa contribuire a rafforzare, nella massa, una corretta posizione di classe, e a modificare i rapporti di forza. Sta al movimento, alle sue avanguardie raccogliere e gestire quella posizione in contrasto con le gestione di essa che, sempre e comunque, tenterà di fare l'avversario di classe.

E torniamo al dunque. La posizione espressa in quella lettera era tale da contribuire ad una corretta linea di classe nel movimento di allora, o no? Era tale da concorrere ad arginare la disarticolazione e la disorganizzazione che l'affaire Cirillo avrebbe provocato nelle fila di un movimento messo in difficoltà dall'offensiva borghese?

Il bilancio, scandito da fatti e date incontrovertibili, è sotto gli occhi di tutti. I dubbi sinceri (poiché ai sussurri ed alle grida maligne rispondiamo in altro modo) debbono avere un preciso quadro di riferimento: il contenuto della nostra posizione, la nostra collocazione di ieri e di oggi, il bilancio di quei sette mesi di straordinaria lotta proletaria di massa a Napoli. E non sarà davvero troppo difficile capire chi lavorò a sviluppare e chi a disorganizzare il movimento di massa. La ragione era ed è dalla nostra parte. Delle posizioni da noi criticate non è possibile salvare nulla.

"Paese Sera"

"Le BR si stanno appropriando di rivendicazioni proprie di alcune frange estreme del movimento, specie dei disoccupati organizzati, scrive in questi giorni la stampa commentando il sequestro Cirillo.

E aggiunge: c'è dietro un progetto politico, mutuato dall’Autonomia, di "coniugare " lotta armata e bisogni del proletariato marginale.

Abbiamo titolo per e dovere di intervenire in materia, in quanto da oltre due mesi magistratura e Digos ci tengono a Poggioreale con la seguente imputazione: "Avere costituito un'associazione sovversiva operante sotto varie sigle (Banchi Nuovi, Centro di iniziativa marxista, etc.), tendente a far leva sul grave stato di disagio di disoccupati e senza-tetto per sovvertire le istituzioni democratiche".

Quel 23 novembre la natura ha parlato un linguaggio crudo, mettendo a nudo l'antagonismo, tra proletariato e borghesia, l'accumulazione di sfruttamento, miseria e insicurezza a un polo, di ricchezza all'altro. Il resto, per privare di consenso le istituzioni lo hanno fatto le istituzioni stesse, DC e PCI in testa, con la messa a punto dei progetti di deportazione e i campi profughi, col protervo rifiuto di recuperare le diciottomila case sfitte in città e di garantire un salario stabile a tutti i disoccupati.

Non poteva che conseguirne una grande ondata di lotte proletarie. Napoli non è più la città della plebe borbonica. Nei suoi vicoli non fa più presa il populismo triviale dei fascisti. Il suo proletariato precario si è operaizzato, orientandosi sempre più verso la lotta collettiva. Il dopoterremoto gli ha dimostrato che può organizzarsi fuori e contro i sindacati.

Le BR scendono ora in questa Napoli dal "cielo" di una guerra civile inesistente e tragicamente simulata. Passano dall’ "assalto al cuore dello Stato" sino alla recezione meccanica delle parole d'ordine dei movimenti di massa, alla cui costruzione sono state estranee. A loro il difficile compito di motivare il triplo salto mortale da un blanquismo operaista ad una sorta di populismo giustizialista.

Per noi, sia l'una che l'altra variante del militarismo sono un vicolo cieco, perché non possono rappresentare una prospettiva di ricostruzione del proletariato in classe. Sulle spalle di un movimento del ’77 in riflusso, le BR pensarono di mettere in ginocchio lo stato colpendone "il cervello", per "stimolare" il proletariato di fabbrica a insorgere. Come è noto, non ci fu insurrezione, né lotta, e neppure una sola protesta operaia provocata da quella operazione.

Ora, sulle spalle delle lotte proletarie napoletane dell'inverno, ancora una volta in un momento di riflusso, le BR tentano di rilanciare una strategia, la cui crisi politica è profonda e irreversibile, proprio al nord là dove il soggettivismo ha distrutto, con la sua irrazionalità, valide energie provenienti dal proletariato industriale.

Formalmente le BR appoggiano le lotte del proletariato marginale. Nella sostanza tentano di risucchiare nella lotta armata le avanguardie di queste lotte, che dunque attivamente cercano di disorganizzare.

A Napoli, però, non troveranno vanesi, ambigui, avventurieri da caffè Giolitti. Qui è noto che non si possono mettere assieme "champagne e molotov" "riformismo e terrorismo", Marx e Sorel. Qui trovano cocciuti marxisti ortodossi, insensibili alle suggestioni dell’avanguardismo piccolo borghese. Se la guerriglia svuota le piazze, noi vogliamo riempirle. Se la guerriglia vuol far paura ai borghesi, noi vogliamo sviluppare la coscienza comunista e la riorganizzazione del proletariato, senza le quali esso sarà travolto nella regressione storica e politica del capitale, per quante punture di spillo questo possa ricevere.

La lotta di alcuni settori del proletariato napoletano nel dopo-terremoto non ha avuto alcun bisogno di "azioni clamorose" per evidenziare le proprie necessità e definire i propri programmi, per sbriciolare l'ordine militaresco che Zamberletti e la giunta Valenzi volevano imporre in città. Era ed è fuori da questa esperienza il militarismo con la sua cronica incapacità di fare un bilancio della propria storia e di legarsi ai livelli effettivi della lotta di massa. La sua "spettacolarità " non deve suggestionare nessuno. Ciò che oggi è clamoroso nella cronaca, sarà irrilevante nella storia. Al contrario, è necessario che si chiuda e definitivamente un’"esperienza fallimentare e avventurista". Il proletariato, e gli operai in primo luogo, non hanno bisogno né di tutori, né di giustizieri, né di sostituti. Sono essi l'unico soggetto possibile della liberazione del lavoro salariato e della lotta contro le istituzioni capitalistiche.

Per dirla in breve: la lotta di classe, la linea marxista di massa sono una cosa; la guerriglia e il terrorismo un'altra. Sono due strade diverse, reciprocamente estranee, l'una irriducibile all'altra. Entrambe sono criminalizzate dallo stato. Ma questo non le rende affatto né uguali, né omogenee, né simili, né assimilabili.

Per cui la questione, a Napoli e fuori, è questa: o l'una, o l'altra.

1° maggio '81 - Carcere di Poggioreale - Pietro Basso Michele Castaldo