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Dal Che Fare  n.° 70 gennaio febbraio 2009

L’inchiesta Fiom sulla condizione

dei lavoratori metalmeccanici

"Un tormento di lavoro senza fine per cui si torna sempre a percorrere lo stesso processo meccanico assomiglia a un lavoro di Sisifo; la mole del lavoro, come la roccia, torna a cadere sempre sull’operaio spossato." Engels: La condizione della classe operaia in Inghilterra.

"Tutti i sensi sono lesi ugualmente dalla temperatura aumentata artificiosamente, dal chiasso assordante ecc, astrazion fatta dal pericolo di morte che si cela nell’ammucchiamento di macchine una vicinissima all’altra, il quale produce, con la regolarità del susseguirsi delle stagioni, i propri bollettini industriali di battaglia. L’economizzazione dei mezzi sociali di produzione, che giunge a maturazione solo nel sistema di fabbrica, diviene allo stesso tempo, nelle mani del capitale, depredazione sistematica delle condizioni di vita dell’operaio durante il lavoro, dello spazio, dell’aria, della luce e dei mezzi personali di difesa contro le circostanze implicanti il pericolo di morte o antigieniche del processo di produzione, per non parlare dei provvedimenti miranti alla comodità dell’operaio". Marx: Il capitale.

Da venti anni stuoli di sociologi, giornalisti e studiosi si affannano a spiegare quanto e come tali visioni siano roba vecchia e sorpassata. Il capitalismo, infatti, grazie alle nuove tecnologie, avrebbe (udite, udite) finalmente reso "leggero" il lavoro operaio. Balle colossali.

Il valore dell’indagine...

A smentire questo schifoso e interessatissimo cumulo di bugie provvede, tra l’altro, l’inchiesta svolta dalla Fiom, frutto di un grande lavoro organizzato, che rappresenta la più importante indagine degli ultimi vent’anni sulle condizioni di vita e di lavoro dei metalmeccanici in Italia. Quattrocentomila questionari distribuiti e centomila tornati indietro compilati, fanno piazza pulita delle più indegne e false retoriche sociologiche sulla scomparsa della classe operaia e dimostrano quanto siano di piena attualità le righe scritte da Marx ed Engel circa centocinquanta anni fa.

I metalmeccanici in Italia rappresentano una parte non proprio piccola dell’esercito delle tute blu: compresi gli impiegati, contano circa due milioni di addetti su un totale di 5 milioni di salariati manufatturieri! Eppure, come riconosce la stessa Fiom, l’eco dell’inchiesta è stata scarsa. E non certo perché priva di significatività. Compilare questionari con circa cento domande non è stata esattamente una passeggiata, soprattutto se si considera che a compilarli sono stati nella stragrande maggioranza dei casi operai tra il terzo e il quinto livello, che lavorano per almeno otto ore al giorno per cinque giorni a settimana (e qualcuno anche oltre), costretti a conciliare, soprattutto se donne, lavoro extradomestico e lavoro domestico e di cura. Che per rispondere a tutte le domande è stata necessaria almeno un’ora tanto che, quasi tutti, si sono portati il questionario a casa.

Mai in passato le inchieste sulle condizioni di lavoro avevano raggiunto un così alto numero di questionari compilati e ciò è indicativo del bisogno ancora non adeguatamente manifestato, ma molto diffuso tra i lavoratori, di ridare voce e visibilità al mondo del lavoro, di far conoscere le proprie condizioni, le proprie aspettative, le proprie paure ed il proprio stato di salute.

...e le ragioni del silenzio su essa

Eppure questa importante indagine è rimasta un po’ in sordina. E non ci riferiamo tanto all’eco che essa non ha avuto sulla stampa borghese, la quale ha sempre considerato e trattato come spazzatura tutto ciò che riguarda il mondo del lavoro salariato. Quanto all’eco, piuttosto scarsa, avuta all’interno del sindacato, e, cosa ancor più preoccupante, tra gli stessi lavoratori che ne sono stati i diretti protagonisti. Uno scarso rilievo fondamentalmente da addebitare alle profonde difficoltà politiche in cui attualmente versa la classe operaia e che potranno essere superate solo riconquistando una propria prospettiva di classe.

È a partire da questa necessità che vogliamo segnalare questa importante indagine ai nostri lettori, ai compagni e ai lavoratori. A quanti avvertono che si preparano eventi a cui non sarà più sufficiente rispondere alla stregua del passato. Davanti ai quali non sarà più sufficiente limitarsi a "dire la propria", come in parte accade con l’inchiesta Fiom.

Cosa emerge dall’indagine?

Anzitutto alcuni elementi di carattere generale. L’inchiesta, condotta per lo più in aziende sindacalizzate, ha coinvolto complessivamente 4.000 imprese, la gran parte delle quali medie e grandi; 100mila lavoratrici e lavoratori, di cui oltre 15mila impiegati, più di 3mila immigrati (certamente sottorappresentati rispetto al numero complessivo presente nelle aziende metalmeccaniche) e oltre 20mila donne. Il primo dato che emerge è la smentita di tutti i luoghi comuni sulle reali condizioni di lavoro oggi. "Nel lavoro industriale di oggi, proprio in quello più competitivo ed avanzato, le vecchie pratiche tayloristiche fondate sulla ripetitività, sulla parcellizzazione, sulla spinta all’aumento dell’orario di lavoro, e quelle richieste dalla modifica dei ritmi produttivi, dalla diversa richiesta di qualità dei prodotti, dall’obbligo di una maggiore attenzione e partecipazione di chi lavora al processo produttivo, il vecchio ed il nuovo si sovrappongono e si intrecciano. Non sparisce la vecchia condizione di lavoro, ma si trasforma con un aggravio complessivo della fatica del lavoratore e ancor più della lavoratrice, per cui la fatica che viene dal vecchio spesso si somma con lo stress, la tensione, l’insicurezza sociale prodotta dal nuovo". Insomma, nell’era del tanto celebrato post-fordismo emerge con forza una amara verità. Il fordismo è superato soltanto in un senso: ossia esso è stato ulteriormente perfezionato grazie alla sua combinazione con un più moderno ed efficiente modello di organizzazione del lavoro, il toyotismo. Ebbene, a smentita delle favole raccontate a iosa dagli anni novanta (dai governi, dai padroni e, non nascondiamocelo, anche dai sindacati tutti) sull’avvento del lavoro ormai libero da rigidi e arcaici vincoli di ogni sorta, creativo e soprattutto avamposto di un’era in cui avrebbe dovuto farla da padrone il maggior tempo libero per tutti (ricordate le frottole su come il lavoro flessibile avrebbe permesso ai giovani di lasciarsi alle spalle finalmente i rigidi orari di fabbrica dei propri padri?), dall’inchiesta emergono dati ben più materiali e crudi. Non solo il lavoro oggi (anno 2008!) è parcellizzato e ripetitivo (lo affermano il 65% degli intervistati) ed i ritmi di lavoro sono elevati per gran parte della durata del tempo di lavoro. Ma, a dettare i ritmi ed i tempi di lavoro non è la libera iniziativa del lavoratore (altra grandiosa frottola) bensì, per il 71,6 % degli operai ed il 63% degli impiegati, sono in primo luogo gli obiettivi di produzione prefissati (dai padroni!) ed a seguire i ritmi di lavoro degli altri colleghi, la velocità della macchina, il controllo diretto del proprio capo. Infine più della metà degli operai (il 52,3% ) non può cambiare l’ordine e la priorità dei compiti da svolgere, l’83% non può influire in maniera determinante sul proprio orario di lavoro, il 44,3% non è libero di decidere quando prendere le ferie. Quanto ad orari, il 64% degli intervistati dichiara di lavorare 40 ore a settimana ed il 26,3% oltre 44. Solo una piccola percentuale è disponibile ad un incremento degli orari (a proposito di detassazione degli straordinari!) e quasi la metà li vorrebbe ridurre. "La somma di vecchio e nuovo, la loro contaminazione, produce così un modo di lavorare infinitamente più stressante e faticoso che nel passato". Domanda al volo: tutto c’entra o no con la diffusione tra i lavoratori, soprattutto giovani, di quelle sostanze stupefacenti che illusoriamente "danno la carica" per tirare avanti?

Infine, un dato che emerge con forza è che le donne e gli immigrati rappresentano la parte più sfruttata, meno tutelata, peggio pagata. Le donne e gli immigrati sono inquadrati nella stragrande maggioranza dei casi al 3° livello e non superano mai il 5°. Sono le donne a detenere il primato quanto a lavori precari, flessibili e con una più bassa retribuzione. Infine sono soprattutto le donne e gli immigrati a subire sui luoghi di lavoro intimidazioni, discriminazioni e violenze, anche fisiche.

Insomma, come dice la stessa Fiom, se questa è la condizione dei lavoratori impiegati nelle medie e grandi imprese sindacalizzate, non è difficile immaginare le condizioni di lavoro nelle piccole e piccolissime imprese non sindacalizzate.

Ma, al di là dei dati, come percepiscono la propria condizione i lavoratori? Più della metà degli operai e delle operaie (il 58%) considera il proprio posto di lavoro a norma, dotato cioè delle misure necessarie per lavorare in sicurezza; il 73% degli intervistati ritiene di aver ricevuto una buona informazione sui rischi derivanti dall’utilizzo di materiali, strumenti e prodotti; oltre il 77% dichiara di poter discutere sui posti di lavoro della propria condizione e dell’organizzazione del lavoro; poco meno del 20% degli operai ritiene alto il rischio di farsi male sul posto di lavoro; circa il 70% degli intervistati intravede per l’impresa in cui lavora una situazione o di miglioramento (il 19%) o stabile (il 51%) nei prossimi due anni.

Tra la difesa delle conquiste e realismo operaio

Non si tratta di schizofrenia. Da un lato nelle imprese più sindacalizzate (quelle in cui maggiormente si è risposto al questionario) il padronato non è ancora riuscito a far totalmente piazza pulita delle garanzie strappate dai lavoratori nei decenni precedenti e, quindi, un minimo di "controllo" operaio sulle condizioni lavorative continua a sopravvivere (e, non casualmente, ad essere uno dei principali bersagli confindustriali). Dall’altro lato vi è una forma di "realismo" operaio che non vede altra strada che aggrapparsi alla propria azienda nella speranza (illusoria) di parare i colpi in arrivo. D’altronde non è stato anche il sindacato (Cgil me Fiom comprese) ad educare la classe lavoratrice a vedere la propria sorte legata a stretto filo con quello della propria impresa e della propria nazione? E così, di fatto, a contribuire a dar spazio a tutte quelle derive di tipo localiste e leghiste che per altro verso la stessa Fiom giustamente denuncia come funeste per il movimento operaio?

Rinaldini il 21 settembre, nel suo intervento conclusivo alla manifestazione a Mestre (Venezia) contro le politiche governative, ha detto: "stiamo entrando in una crisi economica che costringerà i lavoratori a scendere in campo. Il sindacato deve predisporsi a governare il conflitto".

La questione, sempre più stringente rimane pertanto la seguente: come e in quale prospettiva i lavoratori devono e possono organizzare un’efficace difesa? Prendere atto delle attuali difficoltà è necessario, ma proprio per affrontarle e superarle. In tal senso l’obiettivo di fondo deve essere quello di lavorare ad una scesa in campo generale contro il governo e la confindustria, e non certo, come sostengono alcuni dirigenti Fiom, quello di ipotizzare "tante resistenze a macchia di leopardo" (qui contro la precarietà, là sulla salute, in un’altra parte contro l’autoritarismo aziendale…). È vero, all’oggi una simile battaglia non è alla nostra portata immediata. Pensare, però, di potervi sfuggire ricercando scorciatoie sarebbe soltanto suicida. Quello che deve essere affrontato è un percorso faticoso, faticosissimo; assolutamente non lineare e travagliato. Ma che non si può saltare. Ed uno dei primi passi in questa direzione consiste nella riacquisizione della fiducia nelle proprie sole forze organizzate. Consiste nel riconquistare l’orgoglio di classe. Perché è vero, oggi il proletariato è costretto ad una vita dura, pesante, avarissima di soddisfazioni e ricca di umiliazioni dentro e fuori i luoghi di lavoro. Un’esistenza da cui naturalmente si vuole scappar via. Ma da cui non si potrà evadere né per vie individuali, né attraverso l’uso di sostanze che aprono le porte di illusori paradisi artificiali in cui per un attimo ci si immagina di aver messo alle spalle la propria quotidianità. Dallo squallore, dalle ansie e dai tormenti del presente se ne potrà venire fuori solo collettivamente, con l’organizzazione e la lotta di classe contro il capitalismo, contro la sua organizzazione del lavoro e di tutta la vita sociale.

Dal Che Fare n.° 70 gennaio febbraio 2009

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


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