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Dal Che Fare n°71   novembre - dicembre 2009

La riforma sanitaria di Hu Jintao

Trascriviamo alcuni passaggi da un documentato articolo di Veronica M. Valdes su "Il sole 24 ore" del 17 giugno 2009 (è la traduzione del testo China’s De-Socialized Medicine pubblicato sul sito della rivista statunitense "Foreign Policy"):

"Oggi molti cinesi non si fanno curare, non se lo possono permettere", perché i pazienti sono costretti a "pagare di tasca propria dal 70 all’80% della spesa sanitaria totale". Il contributo statale alle spese per la salute è, infatti, crollato dal 36,2% del 1980 al 20,3% del 2007, ed in precedenza era ancora maggiore (veniamo a sapere, ohibò, che "la salute era un tema portante della Rivoluzione culturale"…). Dopo un sensazionale sviluppo produttivo, i lavoratori cinesi stanno, in materia di protezione sanitaria, peggio, molto peggio di prima: dai primi anni ’80, infatti, hanno perduto "la rete di sicurezza dalla culla alla tomba, garantita un tempo dall’economia pianificata". "Oggi più di 200 milioni di cinesi non hanno un’assicurazione malattia, i costi delle prestazioni mediche di qualità sono alle stelle, il divario città-campagna è aumentato, i rapporti medico paziente sono pessimi e le proteste si susseguono". Nel 2006 nel Sichuan ci fu una rivolta violenta a seguito della morte di un ragazzino non ricoverato in ospedale perché la famiglia non avrebbe potuto pagare il ricovero ("Il sole 24 ore", 19 maggio 2009).

Dopo avere tentato nel 1998 e nel 2005 due riforme graduali con scarso esito, nella primavera 2009 il governo cinese ha varato "una riforma triennale finanziata con 124 miliardi di dollari che, entro il 2020, darà un’assistenza medica ‘sicura, efficace, conveniente e accessibile’ ad oltre 1,3 miliardi di cittadini". E via con altre cifre importanti: "entro i prossimi tre anni, 5.000 cliniche e 2.000 ospedali saranno costruiti nei distretti rurali e 2.400 cliniche nelle comunità urbane. Inoltre saranno formati 1,37 milioni di medici rurali e 160.000 medici di comunità, e i medici degli ospedali pubblici dovranno lavorare in campagna per un anno prima di poter ottenere una promozione".

Quella che si prospetta è un’assicurazione di base per il 90% della popolazione, garantita dallo stato, che dovrebbe coprire, però, solo i 400-700 farmaci essenziali, e un allargamento della assistenza sanitaria di base che dovrebbe diventare accessibile su tutto il territorio povere (dove oggi il 60% della popolazione non si reca mai in ospedale per mancanza di mezzi economici).

Tutto il resto, non lo si dice, ma si capisce, sarà a pagamento. Si tratta di una riforma "complessa" e "ardua da realizzare" perché richiede regole amministrative molto più stringenti delle attuali, un innalzamento della "etica professionale" dei medici, oggi assai inclini ad "abusare" dei pazienti con "le prestazioni a pagamento" e, naturalmente, la barra ferma (e la tasca aperta) del potere centrale. Molto interessanti una considerazione e le conclusioni. La considerazione: "i dirigenti cinesi hanno imparato che la privatizzazione del sistema sanitario può incidere negativamente sulla salute dei cittadini e che il governo non può rinunciare a intervenire". Le conclusioni: "La riforma avrà profonde implicazioni per centinaia di milioni di cinesi e anche per il resto del mondo. Se funzionasse per il paese più popolato in assoluto, sarebbe un successo clamoroso  che gli aspiranti riformatori ovunque si trovino, anche negli Stati Uniti, potrebbero ritrovarsi presto a copiare".

Dal Che Fare n°71   novembre - dicembre 2009

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