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Dal Che Fare n°71   novembre - dicembre 2009

Il Letamaio del Cavaliere,

dei suoi concorrenti, della società borghese

Dopo la conclusione del Grande Fratello, della Fattoria e dell’Isola dei Famosi è andato in scena e ha tenuto banco per tutta l’estate un nuovo Reality: Il Letamaio.

Mai come in questo caso la realtà, quella vera, ha superato la fantasia. Una realtà fatta di comportamenti ampiamente diffusi nel ceto politico (non solo berlusconiano) che degradano profondamente sia le donne che il rapporto tra i sessi. Purtroppo, la gente comune e il mondo del lavoro salariato sono rimasti atoni, se non addirittura ammirati di fronte alle "imprese" di Berlusconi. Ed invece, contro l’ennesima umiliazione delle donne, contro l’ennesimo tentativo di ridurre tutto a merce, contro l’ennesima messa alla berlina di rapporti umani degni di questo nome, contro l’insopportabile ipocrisia dei sepolcri imbiancati e dei falsi moralisti, è necessario reagire, e chiamare, fosse pure nel deserto, ad una lotta a tutto campo...

A noi, francamente, Il Letamaio   on ci ha sorpresi. Non solo perché il rapporto sesso-potere-denaro, nelle società di classe pre-capitalistiche e in particolare in quella capitalistica, ha una lunga storia alle spalle. Ma anche perché lo squallido teatrino organizzato alla corte di re-Sole Berlusconi si è limitato a presentare sulla pubblica scena un modello di comportamento maschile e una prospettiva di "realizzazione" femminile ampiamente diffusi nella società, ben al di là della sfera delle élites borghesi. Lo stesso mondo del lavoro e una parte delle donne vi si stanno a poco a poco assuefacendo. Avrebbero, invece, interesse a respingere e combattere l’uno e l’altra.

Alla base di tale comportamento e di tale prospettiva sta l’affermazione di un rapporto diseguale e mercifi cato tra uomo e donna. Berlusconi e il suo giro di ministre/spogliarelliste/ amanti ufficiali/veline/deputate/lolite/ aspiranti consigliere comunali/prostitute/ imprenditrici rappresentano al meglio tutto ciò. Eppure l’emergere di una simile fogna non ha intaccato la popolarità di Berlusconi proprio perché costui fa da specchio e legittima i più bassi livelli del sentire e dell’agire della nostra società, della società capitalistica nella sua fase di putrefazione, viene da dire. Al di là di qualche eccezione – l’appello di Chiara Volpato alle mogli dei leader del G-8, che ha raccolto 15.000 firme, o il video curato dal sito "Il corpo delle donne", oltre alle certamente numerosissime reazioni di schifo che però non oltrepassano la soglia della sfera individuale- le reazioni pubbliche di rigetto verso quanto emerge da questa vicenda sono state davvero scarse.

Anche, purtroppo, tra i lavoratori e perfino tra le lavoratrici.

Una vera e propria aggressione alle donne

Come si spiega tutto ciò? Non basta dire che la subordinazione che caratterizza i rapporti uomo/ donna è uno dei capisaldi su cui si fonda la società capitalistica. Questa subordinazione, che origina dal doppio sfruttamento e dalla doppia oppressione delle donne, ha suscitato nel passato ribellioni e lotte che hanno permesso faticose, parziali conquiste. È in atto però da tempo una offensiva reazionaria contro le donne che tende a rafforzare nei loro confronti l’educazione ad un ruolo subalterno, se non addirittura servile. L’obiettivo di questa offensiva contro le donne non è quello di riportarle tutte a casa, affinché siano, come in passato, gli "angeli del focolare". È un obiettivo più complesso che tiene conto del fatto   che le donne sono ormai una fetta consistente del mercato del lavoro, ma tende a negare dignità e a stravolgere il senso della loro maggiore autonomia e presenza nel sociale di oggi. Esprime, dunque, una nuova articolazione della vecchia subalternità adeguata ai tempi.

I capitalisti -che sono i mandanti di questa autentica aggressione alle donne- si prefiggono di averle a disposizione come lavoratrici obbedienti, ricattabili, l’emblema della tanto agognata (da loro) flessibilità. Ma pretendono, al tempo stesso, che esse continuino a sobbarcarsi gran parte del peso dell’economia domestica, così da poter tagliare i servizi pubblici e offrire una rendita di posizione "coloniale" ai lavoratori maschi. Che addossino su sé stesse la responsabilità di non essere riuscite a liberarsi dai pesi e dalle umiliazioni di un’esistenza faticosa e subalterna.

E, infine, che continuino ad essere  preda e oggetto di voluttà dei maschi, non solo di quelli ricchi ma di tutto il sesso maschile. Delle pretese pesantissime, non certo inferiori a quelle di altri tempi. Il modello di realizzazione per la donna pubblicizzato dal circuito di Berlusconi, e il modello educativo per le bambine e le ragazze che vi sottostà, servono ad oliare questamacchina di subalternità. Ieri ogni bambina, giocando alle bambole, si preparava a ripercorre le orme della madre lavoratrice domestica,  mentre i maschietti giocavano alla guerra. Oggi il contenuto, la qualità dei messaggi e dei modelli proposti sono cambiati. Strizzano l’occhio alle attese delle ragazze di non essere confinate alla casa, di essere "libere" da questa vecchia servitù. Ma solo per condurle, più facilmente, con la loro stessa collaborazione, entro la gabbia in cui la società capitalistica ha bisogno di tenere prigioniera la donna, la massa delle "donne comuni", sul lavoro e in famiglia.

"Concentrati sul corpo, e poi… vendilo".

La sintesi di ciò che oggi si dice alle bambine è: bisogna concentrarsi sul corpo. Così com’è sicuramente non va bene. Bisogna lavorarlo, plasmarlo, truccarlo, tagliuzzarlo. Eliminando il di più e aggiungendo ciò che non c’è. Bisogna renderlo bello e fin da subito seducente, perché è una merce preziosa ma deperibile, con data di scadenza (riassumibile nel numero 42, inteso come età e come taglia). Bisogna, quindi, imparare ad usarlo appena si può, il prima possibile, per accedere al successo, alla visibilità, al riconoscimento sociale che un destino di operaia o di impiegata non potranno mai garantire. (È un caso che il ministro delle pari opportunità sia una Carfagna?)

Dopo tanto lavoro sul corpo, è ovvio, sarà infatti necessario obbedire all’imperativo categorico di esibirlo ad oltranza per il godimento collettivo nella veste di valletta, velina, letterina, per entrare in qualche modo nello zoo di Maria De Filippi o (somma aspirazione) in qualche reality show o per arrivare, attraverso le grazie del potente, del ricco o del ruffiano di turno, in qualche posizione privilegiata nel mondo della cultura e della politica, per piazzarsi, come sognava la signora D’Addario, come imprenditrice. (In questo contesto, è così difficile comprendere quale sia l’obiettivo che la Lega e il centrodestra perseguono con la campagna contro i costumi femminili delle immigrate islamiche?).

Manca nei modelli ossessivamente  proposti dai media (che non creano nulla, ma amplificano e diffondono ciò che fa comodo al dominio del capitale e delle sue istituzioni) ogni sbocco alternativo, ogni realizzazione personale o collettiva che abbia una qualunque valenza sociale, che non sia, in termini professionali, la caricatura della donna manager, nella realtà ultra-minoritaria, o la dilagante donna poliziotto.

Ciò che si propone alle donne è la compravendita generalizzata di sé, e in tale mercato c’è spazio anche per chi ha un minimo di sensibilità, di cultura, di capacità affettiva, per chi sa ascoltare, o anche solo fingere amicizia. Anche queste "qalità", infatti, hanno un prezzo, e possono essere date in affitto per una serata, assieme alla bella presenza: ché tale è oggi, nei circuiti borghesi più "esclusivi", la condizione dei rapporti umani, da essere monetizzabili fin nelle sfumature, come ha ammesso la stessa D’Addario a il manifesto del 15 settembre 2009: ormai nel mondo dei ricchi si paga non solo per le prestazioni sessuali, ma per tutto, per una passeggiata, una chiacchierata...

Ribelliamoci al degrado,  riprendiamo la lotta a tutto campo.

Va detto con forza che tali carriere sono profondamente degradanti per chi vi aspira e anche per chi le percorre con successo. Va detto  con forza che questa prospettiva di "liberazione" dal peso della vita cui l’attuale società occidentale destina la donna, resta in ogni caso sbarrata alla maggior parte delle donne. Seppur meno inclini alla sottomissione di un tempo, e sottoposte a nuove combinazioni tra oppressione e spazi di autonomia, le donne comuni, se così si può dire, vivono in modo drammatico la contraddizione tra la realizzazione come individuo sociale e quella come donna, e sono sistematicamente scoraggiate dal pretendere i propri diritti, in un cortocircuito di erosione delle conquiste del passato e frustrazioni. Le condizioni di lavoro e di vita sempre più pesanti, i rapporti familiari e umani sempre più difficili, le continue umiliazioni, la volgarità con cui vengono rappresentate, la violenza che continuano a subire: questa è la realtà con cui la stragrande maggioranza delle donne deve fare i conti. E deve farli in assenza di "modelli alternativi", mentre i poteri del mercato e dello stato sono scatenati nel cercare di demolire ogni forma di solidarietà, tra donne, tra lavoratori, tra sfruttati di ogni provenienza, per affermare come normale e positiva la lotta di tutti contro tutti.

A tali modelli di comportamento bestiali il proletariato, le donne e gli sfruttati tutti non sono in grado oggi di opporre né una politica né una ideologia (e dunque una morale) veramente alternative e indipendenti, come è stato nel passato, quando il risveglio della coscienza femminile e le grandi lotte proletarie contro il capitalismo e per la rivoluzione sociale si sono accompagnate alle istanze di riscatto umano e morale degli oppressi e allo sforzo di creare nuove basi per i rapporti umani e sociali, compresi quelli tra i sessi.

Tocca nondimeno a chi ha memoria di questo passato e a chi non vuol farsi travolgere da questo degrado, chiamare ad una lotta anticapitalista, antimercantile a tutto campo. Una lotta urgente e necessaria tanto più oggi, quando la nostra classe è pesantemente condizionata dall’azione congiunta del mercato, della destra con la sua ideologia impregnata di sessismo e di razzismo, e della cosiddetta sinistra che si risveglia dal letargo solo per agitare di quando in quando temi "di bandiera" (aborto, fecondazione assistita, ecc.) salvo poi contrabbandare il massimo dell’asservimento pornografico con la vera liberazione sessuale (Sansonetti, l’ex-direttore di Liberazione, ne sa qualcosa).

Abbasso il denaro, abbasso la merce! Viva il rapporto tra esseri umani pari e liberi!

Come mostriamo in questa pagina, i perni della campagna "moralizzatrice" contro il Letamaio berlusconiano, ovvero la Repubblica e l’Unità, squadernano sulle loro pagine immagini su immagini di ragazze e di donne che veicolano nella sostanza la stessa morale berlusconiana, lo stesso modello femminile, lo stesso tipo di rapporto  uomo-donna, la stessa legittimazione della mercificazione generale come forma inevitabile del vivere umano.

Non potrebbe essere diversamente, perché anche l’opposizione scalfariana e di "sinistra" condivide i pilastri e i "valori" dell’ordine sociale che genera il Letamaio berlusconiano.

Il Letamaio è, infatti, al fondo, la società borghese in quanto tale, che i protagonisti della querelle sulle veline, le escort e quant’altro difendono concordi a spada tratta. Della ragione principale del loro conflitto con Berlusconi&C. parliamo altrove in questo numero del giornale. Qui ci limitiamo ad aggiungere: ciò che essi rimproverano in questa materia al Cavaliere è che è pericoloso sbattere in faccia alla gente come funziona l’attuale società, certi meccanismi di selezione degli "amministratori della cosa pubblica", la miseria umana e intellettuale di coloro che dovrebbero sovrintendere al "bene comune". Questi vizi dovrebbero rimanere coperti, nascosti dalle pubbliche virtù. Come accade nella Chiesa, campionessa assoluta di ipocrisia, che fa ben attenzione ad erigere un muro di omertà intorno ai tanti utilizzatori finali di bambini inquadrati nelle sue fila.

La polemica sui festini del presidente del Consiglio non è, però, un semplice regolamento di conti tra borghesi. Non lo è, perché gli uni e gli altri, mentre si scambiano tra loro colpi sotto la cintola, si rivolgono ai lavoratori e alle donne per inculcare, per una via o per l’altra, l’idea che i modelli da seguire sono comunque i comportamenti proposti dalla classe dominante.

Non lo è perché il degrado delle relazioni sociali e tra i sessi che sta allargandosi nella vita quotidiana provoca tra le donne e tra i lavoratori un profondo malessere, anche se le une e gli altri non se ne rendono conto o non hanno la forza, al momento, di ammetterlo e combatterlo. Su questa contraddizione occorre far leva per attaccare frontalmente la visione borghese dei rapporti interpersonali e tra uomo e donna fondata sulla subordinazione e sulla mediazione del denaro, per far emergere l’esigenza di un altro tipo di rapporti tra gli esseriumani, tra l’uomo e la donna, di ciascuno con il proprio corpo riscattati dalla dimensione mercantile, dalla violenza che essa contiene. Affinché il rapporto tra esseri umani pari e liberi non sia visto come una minaccia dai maschi e come una impossibile utopia dalle donne, ma sia desiderato dagli uni e dalle altre come il più naturale dei rapporti umani.

Dal Che Fare n°71   novembre - dicembre 2009

    ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


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