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Dal Che Fare n.72 aprile - maggio 2010

Africa: continente conteso

Un diffuso luogo comune accusa   gli Stati Uniti e le grandi potenze capitalistiche di aver abbandonato l’Africa a sé stessa. Non è affatto così.

Gli Usa e l’Ue non hanno mai mollato la presa sul continente africano. Negli ultimi anni hanno continuato a saccheggiarne le risorse minerarie, senza farsi scrupolo, soprattutto le potenze europee, di suscitare alcune guerre per interposta persona al fine di assicurarse il controllo di intere regioni minerarie. Gli Usa e l’Ue hanno continuato, inoltre, a supersfruttare la forza lavoro dell’Africa, nelle miniere, nelle piantagioni, negli impianti petroliferi del continente o nelle fabbriche e nei campi occidentali, dove i proletari africani sono stati indotti a trasferirsi con sistemi più efficienti di quelli dell’epoca  negriera.

Gli Usa e l’Ue hanno, però, bisogno di affondare più in profondità i loro artigli. Il viaggio di Obama e del neo-ministro degli esteri Hillary Clinton in Africa hanno annunciato l’apertura sistematica di questo fronte della "guerra infinita". Gli obiettivi? Contrastare la penetrazione  economica e strategica in Africa compiuta negli ultimi anni dalla Cina. Catturare il sostegno dei popoli e dei lavoratori africani nello scontro con il colosso capitalistico cinese che si disegna all’orizzonte.

Il discendente degli schiavi al servizio dei negrieri

"Sono venuto qui dopo il G8 per mostrare che l’Africa non è separata dagli affari internazionali. Gli Stati Uniti hanno un interesse costante nei confronti dell’economia e dello sviluppo del continente". Queste le parole di Obama nel suo intervento al parlamento ghanese, durante la visita-lampo del 10 e 11 luglio i due terzi dell’energia consumata.

Attraverso lo snodo pakistano, la Cina si assicurerebbe l’approvvigionamento petrolifero e rafforzerebbe  la propria influenza in Medio Oriente.

Le relazioni tra Pakistan e Cina, ben solide peraltro sin dai tempi della rivoluzione culturale, si stanno intensificando e parte della leadership militare pakistana ritiene la Cina un partner strategico più affidabile degli Stati Uniti.

La presenza della Cina è crescente anche in Afghanistan. Lo scorso anno, 2009. Sulla stessa scia la tournée del segretario di stato Usa, Hillary Clinton, che ha toccato sette paesi dell’Africa sub sahariana. L´area subsahariana è inclusa nell’AGOA (African Growth and Opportunities Act), un accordo internazionale siglato nel 2000 per facilitare l´espansione degli Stati Uniti nei 48 paesi dell’area africana, agevolando, al tempo stesso, le esportazioni verso l´America.

Nel frattempo gli Usa hanno investito 500 milioni di dollari in Mali, Ciad, Niger e Mauritania con il Trans-Sahara Counter Terrorism Initiative, un programma di lotta al cosiddetto terrorismo in terra africana. Gli Usa hanno, inoltre, ristrutturato il corpo scelto Africom: lo scorso dicembre la Forza tattica nel Sud Europa (Setaf) è stata trasformata nello U.S. Army Africa (Esercito Usa per l`Africa), componente del Comando Africa (AfriCom) divenuto operativo in ottobre.

L’obiettivo degli Usa non è certo quello di risarcire i popoli africani del saccheggio perpetrato ai loro danni all’epoca della tratta degli schiavi. Il lavorìo del discendente di questi ultimi salito alla Casa Bianca mira a rinsaldare le catene di dominio sul continente e a assoldare l’enorme riserva di forza lavoro del continente nello scontro economico e, in futuro, militare con la Cina.

L’ "alternativa" cinese

Per mantenere l´impetuosa crescita economica degli ultimi decenni, il gigante cinese ha bisogno di nuovi mercati a cui destinare le merci prodotte, di materie prime in grado di alimentare la produzione stessa e di terre da cui trarre alimenti ad integrazione dell’agricoltura cinese.

Gli investimenti cinesi in Africa sono passati da meno di un miliardo di dollari annui prima del 2004 ai circa 7 miliardi del 2006, secondo dati della Banca mondiale. Pechino si è così lanciata alla conquista dell’Africa e per gli oltre cinquecentomila  cinesi che vi si sono riversati il continente nero rappresenta la promessa di un Far West del ventunesimo secolo.

La Cina è presente in Africa anche militarmente. Pechino partecipa a 6 operazioni di "peace-keeping" (Costa d´Avorio, Liberia, Congo, Eritrea, Sahara occidentale) e ha investito soldi a valanghe per ampliare la sua flotta militare per l’Oceano Indiano, sulla costa del quale (nella città pakistana di Gwadar) sta costruendo un porto gigantesco, porta di accesso e di controllo dall’Asia sull´Africa.

La Cina si presenta agli stati e ai popoli africani come partner paritario che in cambio dell’acquisto delle materie prime "dona" competenze e strutture produttive "autonome".

Cosa realmente intenda il celeste impero per rapporto paritario è esemplificato dal caso Congo. Nel 2008 la Cina ha prestato al Congo 9 miliardi di dollari per costruire ferrovie e dighe. I lavori sono stati appaltati alle cinesi China Railway Group e Sinohydro Corp; il prestito è stato gestito dalla Export-Import Bank of China e in cambio Pechino ha preteso diritti di sfruttamento per le miniere di cobalto e di rame.

Per ora, per le caratteristiche strutturali del capitale cinese, l’intervento  della Cina in Africa si presenta meno rapace di quello occidentale. Ma ciò non significa che esso possa essere un alleato per i lavoratori dell’Africa di fronte alla morsa dell’imperialismo statunitense ed europeo. I lavoratori e i popoli oppressi dell’Africa hanno un solo alleato contro gli schiavisti occidentali di ieri e di oggi, contro  i pretendenti in arrivo da Pechino e contro le corrotte classi dirigenti locali al soldo dei briganti esteri: i lavoratori occidentali  quelli cinesi.

Dal Che Fare n.72 aprile - maggio 2010

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